Chi cerca l’autenticità ha più probabilità di trovarne una versione addomesticata e commerciabile, e forse non noterà la differenza. Ma, quando decide di vivere come un vichingo sui fiordi norvegesi, Martin questo ancora non lo sa.
La trama
Con la scusa di partire per un team building, Martin (Rasmus Berg) abbandona la moglie e due figlie piccole in Danimarca e si stabilisce sulle montagne norvegesi attorno al Kvitfjell. Vive di caccia e raccolta, fabbrica un abito con pellicce di animali selvatici, si esercita nel tiro con l’arco: sono i dieci giorni più duri della sua altrimenti placida esistenza. Un giorno, mentre si allena, trova delle tracce di sangue sul terreno. Seguendole si imbatte in Musa (Zaki Joussef), ferito alla gamba a causa di un incidente stradale costato la vita ai suoi due loschi compagni di viaggio (o forse no?). Martin aiuta Musa a rimettersi in piedi, Musa aiuta Martin a trovare un luogo dove la sua sete di autenticità verrà appagata. Ma non tutto andrà secondo i piani.
La natura? Ancora matrigna
Martin è alla ricerca di una sensazione di potenza, di valore, di confronto diretto con la natura selvaggia che lo faccia sentire vivo. Non ne può più della mediocrità del suo lavoro d’ufficio, del logorìo della vita in famiglia, dell’insensatezza del tran tran cittadino. Quelli che gli sembrano dei limiti ormai intollerabili sono però, a ben vedere, le uniche circostanze in cui un essere umano non particolarmente brillante come lui può sperare di prosperare sulla Terra. La prima mezz’ora di Wild Men fa a pezzi l’ego del protagonista con un piglio comico minimale e assurdista, impiegando ottimamente il contrasto tra l’impressionante panorama dei fiordi e la risibile disperazione di un uomo in lotta con sé stesso.
Il coraggio? Temporaneamente irraggiungibile
Il vecchio Martin era tranquillo e pacifico, il nuovo Martin non esita ad entrare in conflitto col mondo civilizzato per ottenere quello che vuole: la polizia norvegese ne è presto al corrente. Non è propriamente uno scontro tra titani, quanto una gara a chi è meno impacciato nel rivendicare per sé il diritto del più forte. L’ispirazione per la squadra investigativa peggio assortita della Scandinavia è venuta al regista Daneskov durante la fase di location scouting, quando si è imbattuto in una minuscola stazione di polizia, aperta due giovedì al mese, con un cartello di avviso scritto in Comic Sans. E un tale approccio non può non farci pensare a Fargo dei fratelli Coen, al paradossale (e goffo) ingresso del crimine in una cittadina sonnolenta, ai margini di una natura soverchiante.
La felicità? Finalmente condivisa
Nonostante nessuno dei due abbia delle grandi lezioni da imparare dal contatto con la montagna, Martin e Musa possono almeno contare sulla loro amicizia per evitare le conseguenze più serie della propria (malintesa) intemperanza virile. Senza dimenticare l’aiuto del malinconico detective Øyvind (Bjørn Sundquist): l’unico ad aver accettato il disagio emotivo come parte integrante dell’esperienza umana.
In breve
Wild Men è un film che non percorre fino in fondo né la strada della satira primitivista né quella del chase movie, pur servendosi di entrambe per riflettere su un’identità maschile che, più che tossica, è ormai comicamente dissociata. E se la mancanza di una linea narrativa forte è il suo più grande limite, è anche un espediente efficace per evitare caratterizzazioni stereotipiche. Tra rivalsa testosteronica e alienazione quotidiana, Wild Men sceglie l’evasione in una quiete domestica nostalgica e idealizzata.
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