Trilogia Eastrail 177, Glass (2019)
Trilogia Eastrail 177, Glass (2019)

Unbreakable, Split e Glass. Tre film che compongono quella che nel giro di circa due decenni è stata soprannominata la Trilogia Eastrail 177, prendendo il nome dalla tragedia ferroviaria del treno Eastrail 177 con cui si apre il sontuoso Unbreakable.

Unbreakable, la ricerca della verità (2000)

Ancor più de Il Sesto Senso è forse Unbreakable il granitico timbro con cui ci si deve rapportare per capire il cinema di Shyamalan. Se Il Sesto Senso è la progressione e l’esplosione dello Shyamalan twist, condizione che poi influenzerà molto sia l’autore sia il pubblico nella ricezione delle successive opere, in Unbreakable si trovano gli stilemi importanti per capire cosa ha più a cuore Shyamalan.

C’è l’uso del colore che richiama la connessione del regista con l’India e in cui ogni sfumatura cromatica è al pari di un nutrimento dell’anima, oltre che un accordo visivo con un determinato personaggio o situazione. Gli elementi decisamente più marcati, tuttavia, sono la ricerca della fede e la ricostruzione di un passato che porta inevitabilmente a un discorso sul proprio essere, la propria identità.

Se resa concreta ogni cosa può essere reale, Elijah Price (Samuel L. Jackson) provoca lo spettatore con una dichiarazione folle: e se i fumetti fossero la testimonianza di qualcosa di reale? Possono esistere davvero superuomini? Lui ne sa qualcosa di eccessi. L’osteogenesi imperfetta lo ha reso un vero pezzo di vetro, fragilissimo, ma se lui è così debole, dovrà pur esserci nel mondo un suo contrario.

La ricerca della propria identità porta alla scoperta di un passato reso opaco proprio da una vita priva di colori e di stimoli, come quella di David Dunn (Bruce Willis), che scoprirà di non essere solo sopravvissuto a un incidente ferroviario di proporzioni disumane, ma di essere davvero un superuomo. La consapevolezza del proprio essere arriva tramite un lavoro di recupero della fiducia e della memoria (si veda lo scopo dei giovani protagonisti di The Visit) per poi rinascere e rompere gli equilibri preimpostati.

Ecco il modo migliore per vedere Unbreakable: una tavola di fumetti, con dei disegni, degli schemi di lettura e paletti a delimitare grandezze e ambizioni. “La vita reale non si lascia imprigionare nel riquadro di una vignetta”, dice Price riflettendo il cinema di Shyamalan, che ci mostra una porta chiusa e ci chiede di aprirla: varcare la soglia e credere a quello che stiamo vedendo. Questi personaggi così strani e inarrivabili diventeranno credibili e intriganti proprio quando anche noi daremo il nostro contributo, credendo nella loro crescita.

“Unbreakable – Il Predestinato” di Giada Tonello

Split, districarsi nel dolore (2016)

La presenza di Split quasi quindici anni dopo l’uscita di Unbreakable è un’anomalia, motivo per cui questa deve essere annientata.

L’anomalia ha il nome di Kevin Wendell Crumb (James McAvoy), e delle sue molteplici personalità che per anni lo hanno difeso dai soprusi di una madre assente e violenta. In tal senso, la stessa personalità di Kevin è incompleta, proprio come quella di David Dunn, mentre attende l’arrivo della Bestia, la personalità definitiva così da essere completo.

La Bestia è il risultato di un processo di analisi che riguarda la sofferenza umana, non a caso il piatto forte dell’entertainment del film è proprio il rapporto tra le molteplici personalità di Kevin e il personaggio di Casey (Anya Taylor-Joy), ragazza schiva, vittima di abusi, autolesionista, che proprio nel dolore cerca la redenzione, e di conseguenza la vita.

Entrambi, in modo parallelo, si riconnettono con il proprio passato. Kevin lo fa attendendo metaforicamente la Bestia lì dove anni prima ha perso il padre, uno dei passeggeri dell’Eastrail 177. Casey, invece, lo fa riconoscendo i traumi, i dolori e la sofferenza che l’hanno resa la donna che è.

Split è un film in cui i frantumi rappresentano la crisi delle anime dei personaggi narrati. Un evento casuale in due vite in attesa. E come capita spesso nel cinema di Shyamalan, c’è sempre una genesi derivata da un evento traumatico, che diventa anche lo scopo per la ricerca della propria identità. Nella dicotomia tra il bene (David Dunn) e il male (Elijah Price), Split aggiunge altri due personaggi nelle rispettive fazioni.

“Split” di Lorenzo Scipioni 

Glass, la morte rende liberi (2019)

C’è un elemento costante in Glass, sin dai primissimi momenti del film: qualcosa non sta andando come dovrebbe. C’è nuovamente un limite, un blocco, una tavola di un fumetto che ha un “to be continued” in fondo e nessuna pagina subito dopo. Qualcuno o qualcosa sta spezzando questo processo.

Il dubbio è il grande nemico e tarlo dell’essere umano. Siamo o non siamo innamorati di quella persona? Siamo o non siamo speciali? Siamo o non siamo fortemente credenti nelle nostre convinzioni?

Probabilmente Glass tra tutti e tre i film è il meno forte, giacché come capita in ogni capitolo di chiusura bisogna arginare nuove parentesi per arrivare a un obiettivo finale. Glass dunque diventa un atto di fede, la rivalsa di un personaggio criptico come Elijah Price, che scopriremo alla fine, aveva avuto sempre ragione su tutto, stando anche un passo avanti alla manifestazione del dubbio.

Mostrarsi al mondo vuol dire comunicare il proprio amore, la propria parola e il proprio pensiero. Parlare, muoversi, esprimersi, equivale a esistere. Non siamo oggetti inanimati costretti a essere rinchiusi dentro quattro mura, anzi, dobbiamo uscire, mostrarci per quello che siamo.

In Glass la morte rende liberi. In quanto elemento finale della vita stessa, apre un nuovo ciclo in cui la memoria del passato (dai fumetti) può finalmente uscire dai limiti cartacei per raggiungere tutto il mondo.

Simbolica in tal senso è la matrice della verità, spiattellata su ogni schermo possibile, spingendo tutti gli altri “supereroi” nel mondo ad avere fede nelle proprie persone, nelle proprie abilità e soverchiare un sistema fatto di dubbi e incertezze, diventando superiori tramite il passato, la memoria, e anche il dolore. Il domani ha sempre un sapore di speranza.

“Glass” di Leonardo D’Angeli, colori di Leonardo Lotti

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