L’anello che indossava fu il solo modo possibile per riconoscere il corpo martoriato di Emmett Till, Bobo per le persone che lo amavano. Aveva 14 anni e viveva a Chicago, “nel Nord”, dove negli anni Cinquanta la vita degli afroamericani era molto diversa – difficile e rischiosa, ma comunque migliore – rispetto alle piantagioni del Sud. Nell’agosto del 1955, anche per volere dei membri più anziani della sua famiglia, fa visita agli zii in Mississippi, dove il suo essere ragazzo di città non lo aiuta per niente. Anzi, gli è fatale.
Seppur avvisato dalla madre, Emmett non può immaginare la violenza, l’odio e il razzismo che nel Mississippi lo aspettano, a ogni suo movimento, a ogni suo gesto. Tre giorni dopo il suo arrivo, qualcosa accade nel negozio dove di solito i suoi cugini e gli altri ragazzi delle piantagioni si fermano a comprare bibite e caramelle, il Bryant’s Grocery and Meat Market di Roy e Carolyn Bryant.
Emmett rivolge uno sguardo, forse una parola in più del dovuto a Carolyn Bryant, da sola in negozio, e da lì inizia l’incubo. Per giorni i cugini, già consapevoli dei linciaggi avvenuti in precedenza, vivono con il terrore Emmett venga riconosciuto e punito dal marito della donna. La notte del 27 agosto 1955 proprio lui insieme al fratellastro J.W. Milam piomba in casa, rapisce Emmett, lo sevizia e lo uccide. Né lui, né Milam né Carolyn Bryant – che durante il processo arrivò ad accusare Till di molestie sessuali – furono mai assicurati alla giustizia per il crimine commesso e il coinvolgimento. I due uomini una volta assolti furono persino in grado di confessare l’omicidio durante una celebre intervista, poiché sicuri di non poter essere processati due volte per lo stesso reato.
Till: che il mondo veda
L’ingiustizia e il dolore attorno alla morte di Emmett Till si espanse in tutta la nazione e oltre, fino all’Europa, diventando il primo vero innesco del Movimento per i diritti civili, prima di Rosa Parks, prima di Martin Luther King.
Questa è Storia. E il volto che ne divenne il simbolo fu quello di Mamie Till-Bradley, la madre di Emmett, che ebbe il coraggio di lasciar vedere al mondo l’orrore che quegli uomini, quel sistema, quella società erano riusciti a perpetrare al figlio.
Il primo gesto rivoluzionario di Mamie Till fu quello di voler immortalare il corpo di Emmett, seviziato, torturato e gonfio per tutto il tempo trascorso nel fiume Tallahatchie. Chiese ai fotografi accorsi al suo arrivo in Mississippi di scattare le foto del cadavere di Emmett. Chiese, anzi ordinò contro ogni resistenza, un funerale a bara aperta (open casket) affinché tutti vedessero.
Quelle fotografie insieme alle numerose che ritraggono Mamie dall’arrivo della bara a Chicago fino al processo in Mississippi, stabiliscono un tema fondamentale nel racconto di questa tragedia: il tema dello sguardo. Guardare e vedere è necessario per capire, per empatizzare, per ferire, per portare dentro a un dolore che altrimenti non sarebbe condivisibile e per non lasciare che accada mai più niente di simile.
Lo stesso concetto vale già dal titolo per l’accurata docu-serie Let the World See – Agli occhi del mondo (disponibile su Disney+) ma vale anche per il film di Chinonye Chukwu, appunto, Till – Il coraggio di una madre (2022), che prova a restituire una parte di questa tragedia attraverso l’artificio del cinema. Immaginando cioè ciò che di Mamie non abbiamo mai potuto vedere, oltre le foto.
Till in una costante riattualizzazione
In molti l’hanno letto come un film pretenzioso, con la patina da Oscar – a cui non è riuscito ad arrivare – ma non la potenza del gran film che era destinato a essere. È vero? Dipende. Dipende da chi è che lo legge e a quale scopo.
Se si cerca qualcosa di rivoluzionario, nell’estetica e nel linguaggio, è il caso guardare altrove. Per esempio il terzo e l’ottavo episodio di Lovecraft Country, che trovano il modo di inserire il personaggio e il funerale di Emmett Till nella sceneggiatura, in maniera del tutto originale.
Se invece si guarda con attenzione a chi realizza questo film e per chi lo fa – a chi si rivolge – diventa molto più chiaro il senso dell’intera operazione.
Negli Stati Uniti Till – Il coraggio di una madre esce a ottobre 2022, solo sette mesi dopo la promulgazione dell’Emmett Till Antilynching Act, la legge che definisce il linciaggio un crimine d’odio a livello federale. È firmato da Joe Biden, ben 67 anni dopo la morte di Emmett Till, 67 anni in cui il peso di un vuoto legislativo si è sentito terribilmente. Quella stessa violenza che ha ucciso Till si è trasformata, senza mai sparire del tutto, tanto che per contrastarla è nato e si è rafforzato il movimento Black Lives Matter. Un movimento che, ricordiamolo, all’inizio nasce dalle donne: madri, sorelle, mogli, compagne unite dal dolore e dal lutto.
La regista Chukwu sceglie di rappresentare proprio quel dolore, riattualizzando la storia di Mamie ed Emmett Till proprio nel momento in cui gli Stati Uniti hanno il dovere di riascoltarla e non dimenticarla.
Se il dolore messo in scena vi sembra eccessivo forse è perché in fondo anche voi vorreste d’istinto distogliere lo sguardo, ma è ancora una volta Mamie (un’intensa Danielle Deadwyler) a non permetterlo, a costringere il mondo a guardare a soffrire insieme a lei.
Till – Il coraggio di una madre è uscito in sala il 16 febbraio. Nel cast comprende anche Whoopy Goldberg, Jalyn Hall, Sean Patrick Thomas e Haley Bennett.
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