Non vi emozionate troppo guardando le immagini di Ticket to Paradise, care e cari amanti delle commedie romantiche fatte bene, purtroppo è un altro buco nell’acqua con una sinossi debole che alla lontanissima ricorda quei film che ci facevano ridere, amare e sognare.
Peccato perché ci sono due delle star più amate del genere ed è solo grazie a loro che il film scorre senza intoppi, ma anche senza brivido. Julia Roberts e George Clooney sono gli unici motivi per cui non perderlo, quando compaiono sulla scena il film riprende a brillare, annullando i tempi morti. Ma perché non è abbastanza? Forse è la spensieratezza del passato a mancare.
Essere figli degli anni ’90
Una fortuna e una condanna, aver vissuto gli anni migliori delle rom com: da un lato chi ha visto film come Pretty Woman (1990) o Se scappi, ti sposo (1999) al cinema sa cosa significhi assistere ad una commedia romantica che risponda a tutti i prerequisiti fondamentali (romanticismo, ironia, dramma, lieto fine), dall’altro è destinato a storcere il naso ad ogni nuova uscita che si ritenga dentro al genere appena citato.
Si fa presto a liquidare una commedia romantica, apparentemente un genere che non ha bisogno di molta accuratezza per funzionare, ma è qui che i veri esperti dissentirebbero, perché basta fare un giro su Netflix per capire come le idee di venti anni fa siano scomparse dietro alle produzioni di film low budget e veloci, con una star di punta al massimo e una trama senza originalità.
È per questo che Ticket to Paradise è un film da bocciare, e forse la colpa non è neanche totalmente della scrittura dietro al film.
Film diversi per tempi diversi
Nel film di Ol Parker David e Georgia Cotton (Clooney e Roberts) sono i due genitori divorziati della neolaureata Lily (Kaitlyn Dever), che dopo una vacanza a Bali decide di abbandonare tutti i suoi progetti per rimanere lì e sposare Gede (Maxime Bouttier), un ragazzo appena conosciuto. I due proveranno ad unire le forze, sotterrando un’ingombrante ascia di guerra, per rimanere uniti e convincere la figlia a non fare l’errore che hanno fatto loro 25 anni prima.
Gli eroi di questa storia non sono innanzitutto gli unici protagonisti, e di fatto costituiscono il residuo romantico dei cult anni ’90 e ’00: non c’è scoperta o sensata leggerezza, lo sguardo disilluso degli anni che stiamo vivendo si riflette nella coppia divorziata. Momenti di amarezza espressi da una sceneggiatura incoerente e sprazzi d’odio con battutine al veleno ci fanno capire che è il momento di mandare giù il boccone amaro e dimenticare il genere per come lo conoscevamo. Ma il finale sarà ancora peggio di così (continuate a leggere solo se non vi interessa degli spoiler).
Da queste premesse non ci aspettiamo più il lieto fine o il bacio indimenticabile, abbiamo preso atto della situazione e già il fatto che David e Georgia non si insultino ogni due parole ci solleva. La figlioletta opta per una vita nella natura incontaminata con il suo Gede, non diventerà un avvocato ma passerà tutti i suoi giorni in bikini. I suoi genitori hanno constatato che il loro non era un amore perfetto, eppure, sul finale, rinunciano a partire e si tuffano di nuovo, in senso fisico e figurato, smontando quelle poche certezze che avevamo maturato durante la visione.
Alti e bassi, illusioni e delusioni, un film poco riuscito a partire dai controsensi interni. E forse nulla è recuperabile, in questo nuovo filone romantico, che costringe ad una scintilla finale, in totale disaccordo con tutto ciò che ha mostrato per due ore.
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