The Watchers Copyright: © 2024 Warner Bros. Entertainment Inc. All Rights Reserved. Photo Credit: Courtesy Warner Bros. Pictures
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La lezione di papà è stata appresa più o meno bene (sebbene più a livello tecnico che nella forma narrativa), ma Ishana Night Shyamalan ne ha di strada da fare, e anche il tempo per cambiare idea e discostarsi dal genere intriso di mistero che ha reso inconfondibile il cinema del genitore: il suo esordio, The Watchers, è un filmetto curato a livello di regia e fotografia, ha interpreti azzeccati ma non colpisce, di sicuro non fa paura, neanche dal punto di vista dell’analisi psicologica che la protagonista intraprende grazie ai mostri.

A suo agio in un’estetica e in una serie di tematiche che ci appaiono subito datate, e non come fascinazione di un cinema del passato, ma come datato tipo cinema dei primi anni 2000, il film, adattamento dell’omonimo romanzo di A. M. Shine, è un’opera a cui manca qualcosa, e che quindi risulta parziale e irrisolta. Nonostante la sua azzeccata protagonista e la regia coinvolgente ed elegante, è difficile non rievocare la filmografia del padre della regista (in questo caso produttore); basti pensare a The Village del 2004, anche lì una foresta, un mistero, un silenzio costante, ma con una marcia in più che a vent’anni di distanza non lascia inermi.

The Watchers Copyright: © 2024 Warner Bros. Entertainment Inc. All Rights Reserved. Photo Credit: Courtesy Warner Bros. Pictures

Dalla città alla foresta in un batter d’occhi

Non si capisce bene come passiamo dall’introduzione del personaggio di Mina (Dakota Fanning), ventottenne prigioniera di un trauma non superato, con velleità artistiche e un lavoro in un negozio di animali, alla foresta incontaminata nell’Irlanda occidentale dove rimane bloccata e prigioniera. Tutto si svolge molto in fretta, la sceneggiatura lascia qualche mollichina che dovremo poi raccogliere in seguito, ma in modo così raffazzonato da perdersele per strada. Mina ci dice che è infelice per la morte di sua madre, che a volte le piace cambiare identità per vivere la vita di un’altra persona, ci fa capire che in fondo odia sé stessa e di conseguenza non ha buoni rapporti con nessuno, neanche con sua sorella.

Incaricata di trasportare un parrocchetto dorato vicino Belfast, si mette in viaggio rimanendo intrappolata in un luogo inspiegabile, dove Madeline (Olwen Fouéré), un’ex professoressa universitaria, la salva dai pericoli del buio imminente e le svela quali sono le regole per rimanere vivi. Con loro anche un ragazzo e una giovane donna, tutti chiusi nelle ore notturne in un covo e liberi durante quelle del giorno.

Tale covo porta subito alla mente l’iconica cabin in the woods dei classici dell’horror, ma si differenzia per un enorme specchio nel quale i quattro si riflettono; al di là di esso ci sono i watchers, creature interessate ad osservarli, poiché ossessionati dal replicarne le fattezze, la voce, i modi.

Il gioco sull’osservare e sull’essere osservati poteva funzionare, c’erano tutte le basi per andare a fondo e trovare un finale non scontato. Ma The Watchers ha fretta di esporre un concetto dopo l’altro, di esternarli tutti insieme con la convinzione che sia molto più efficace così. Mentre gli abitanti del rifugio guardano in loop i DVD di un reality simil Grande Fratello, le creature della foresta guardano loro. Ma le assonanze brillanti si perdono nel tessuto delle ovvietà, portando solo a punti ciechi.

The Watchers Copyright: © 2024 Warner Bros. Entertainment Inc. All Rights Reserved. Photo Credit: Courtesy Warner Bros. Pictures

L’epica magica che non funziona

Al di là della realizzazione delle creature, così poco convincenti da sembrare uscite direttamente da un videogioco di 15 anni fa, a non attrarci è la simbologia che portano con sé. Gli esseri mostruosi, capaci di assumere diverse sembianze, erano una volta una sorta di fate, accolte dagli uomini. Solo in seguito persero le loro ali e vennero relegate allo spazio della foresta, dove rimanere in eterno per volere degli umani (ma siamo in un film per la TV degli anni ’90?).

Ancora una volta Ishana Night Shyamalan perde l’occasione di rendere le vicende interessanti: lasciando sottointeso il giochetto di Mina sul travestirsi, fa sì che le cose procedano su percorsi banali, lontani da assumersi qualsiasi rischio, o semplicemente lontani dall’approfondire i personaggi principali. Certo, sappiamo che la madre di Mina è morta a causa di un incidente del quale si sente colpevole, e che il suo spirito ribelle l’ha sempre penalizzata nel rapporto con gli altri, ma proprio quando speriamo che Dakota Fanning diventi una sorta di final girl con vibes wicca, tutto rimane incredibilmente piatto. Anche il senso di timore, suscitato da un paio di poveri jump scares.

Calibrando male i tempi, il film ci porta poi alla conclusione in fretta, rivelando un colpo di scena che avevamo capito già da un po’, spiegandoci chi ha costruito quel riparo e perché, ributtandoci come se nulla fosse nel mondo reale, dove Mina finalmente riesce a fronteggiare le sue colpe.

In breve

The Watchers è un compitino, un film scolastico senza velleità di alcune genere; per essere un’opera prima ha una regia interessante da non sottovalutare, per essere l’opera prima della figlia di M. Night Shyamalan lascia totalmente interdetti portando a chiederci perché si sia misurata con una storia del genere, in cui è inevitabile non andare a fare paragoni.

Basato su un soggetto che sembra vecchio in partenza, ha però il merito di riportare Dakota Fanning al cinema in un ruolo da protagonista, sebbene per un’opera che dimenticheremo in fretta.

Godetevi l’illustrazione di Andrea Nugnes, molto più bella del film stesso.

Illustrazione di Andrea Nugnes
Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.