The Creator
The Creator © 2023 20th Century Studios

The Creator, per la regia e sceneggiatura di Gareth Edwards, esce nei cinema italiani il 28 settembre. Un film fantascientifico che è una delle più grandi rapine di idee e scene viste al cinema. Privo di originalità, pomposo e oltremodo risibile nel suo essere un martellante diluvio di citazioni. Neanche il film di Super Mario era così pieno di rimandi ad altre opere.

Nelle Filippine si sta girando…

Costato 80 milioni, e girato in varie parti del mondo, il film ha luogo in un futuro prossimo che strizza l’occhio a quella fantascienza anni ‘50 che concepiva mondi lontani, e futuri panorami per la Terra, nati dal progresso scientifico e da un esito non ben definito dell’allora Guerra Fredda. The Creator sembra infatti l’adattamento di un romanzo della collana Urania, uno dei peggiori.

In questo futuro la Terra è divisa tra blocco occidentale, che nel film è costituito solo dagli Stati Uniti, e blocco orientale, denominato Nuova Asia. Il conflitto tra le due superpotenze ha avuto origine da un incidente nucleare a Los Angeles, la cui colpa è ricaduta sulle Intelligenze Artificiali. L’Occidente, cioè gli Stati Uniti nel film, è dunque contrario all’IA, e fa guerra al blocco orientale che invece ne fa largo uso.

Già questa premessa ci catapulta in piena Guerra Fredda, ma il vero conflitto arriva al decimo minuto di film. Vediamo la guerra ed è la più grande guerra mai narrata al cinema: quella del Vietnam.

Sembra di vedere nuovamente il napalm, ma questa volta a sganciarlo è la Morte Nera di Darth Fener, perché gli Stati Uniti hanno varato una stazione missilistica, denominata Nomad, che orbita sopra il pianeta e attacca le basi della Nuova Asia. Ancora una volta siamo allo scontro ideologico tra fascismo e comunismo, tra Impero e Alleanza Ribelle.

I ribelli orientali diventano dei viet-cong robot che attaccano gli sparuti plotoni occidentali che operano nella Nuova Asia, i quali falliscono ogni operazione terrestre e si riparano dietro la pioggia di fuoco lanciata da Nomad.

Platoon 2049 – La trama

Il nostro Luke Skywalker/Benjamin Willard si chiama Joshua (John David Washington), ed è un sergente statunitense che ha perso i genitori nell’incidente di Los Angeles. Dopo aver fallito una prima missione di infiltrazione in Nuova Asia, dove è rimasta uccisa, forse, la sua moglie autoctona (Gemma Chan), viene nuovamente arruolato per partecipare all’operazione di eliminazione del capo scientifico della Nuova Asia, il misterioso Nirmata, il Fu Manchu/Bin Laden/Professor Frankenstein del 3000.

Non per caso i soldati degli Stati Uniti additano le milizie della Nuova Asia, e specialmente gli scienziati, come terroristi. Joshua però troverà solo una bambina robot, un Simulant di nome Alphie (Madeleine Yuna Voyles). E questi robot dal volto umano non sono “assolutamente” la maldestra copia dei replicanti di Blade Runner, che è solo uno dei film “citati” da The Creator.

Edwards stesso e Chris Weitz, sceneggiatori del film, devono essere in realtà Johnny 5 di Corto Circuito (1986) e Gizmo di Gremlins (1984) travestiti da esseri umani. Li possiamo immaginare, per tutto il tempo della stesura dello script, davanti a una tv e a tutti i film usciti dal 1975 a oggi, riportati poi nella sceneggiatura stessa. Agli spettatori resta la ricerca dei film “citati”, e soprattutto la – ancora più ardua – sfida nel trovare un’idea originale in di The Creator.

Le musiche di Hans Zimmer sono di una pomposità esacerbante. Sembra di rivivere Pearl Harbor, ma quello del 2001 di Michael Bay. Il montaggio è infatti allievo della sua scuola, frenetico, come la regia di Edwards, che non riesce ad accordare la giusta epica a dei momenti di trama che potevano risultare veramente profondi e spirituali.

Illustrazione di Leonardo D’Angeli (@leosverse) con i colori di Francesca Benzi (@fluorobenzene)

Citare o rubare, questo è il dilemma

Nel volersi riallacciare a un tema attuale e bollente come quello dal conflitto umano-IA, Edwards ha cavalcato l’attuale paura delle intelligenze artificiali che si trova in molti altri film di quest’anno, come l’ultimo Mission Impossible. Il film ricicla anche i temi – ben più criticabili e sottilmente razzisti – del “pericolo giallo” e del “white savior”, su cui scivolano spesso gli sceneggiatori che vorrebbero mettere al centro della storia persone bipoc e razzializzate ma finiscono con il glorificare il personaggio bianco di turno.

Bastava Avatar come Balla coi Lupi tra le stelle, e soprattutto non c’era bisogno di rimpiazzare le guerre indiane con la guerra del Vietnam, in un clima di Guerra Fredda buonista in cui gli Stati Uniti sono l’impero del male e l’Asia è la nazione spirituale moderata e aperta al dialogo, alla fratellanza dei popoli.

Invece del “terrore giallo” sembra si voglia fare ammenda con “il salvatore venuto da Oriente”, personaggio ottenuto mescolando l’eletto della saga di Matrix con Jimmy di X Men – Conflitto Finale (2006). Voler dare un taglio così manicheo e semplicistico ad un nostro futuro, forse anche possibile, riduce ogni analisi politica e sociale ad una favola della buonanotte. Questi sono modelli di trama accettabili nella Terra di Mezzo o in una galassia lontana lontana, perché lì ci permettiamo di sognare il mondo stesso e la possibilità di distinguere con precisione il bene dal male nella società.

E poi quando si ruba in maniera così plateale da oltre trenta film, viene da chiedersi se il film sia un’opera postmoderna o semplicemente post-rapina. Film d’explotaition così li giravano Claudio Fragasso e Bruno Mattei nelle Filippine.

Citare è un’arte che richiede abile mimetismo o ironica evidenza, ma che soprattutto richiede una mano dolce e gentile.

Non andare al cinema, sogna piuttosto

Perché qualcuno dovrebbe andare a vedere un collage di centomila idee e scene prese da altri film? Piuttosto guardate gli originali, e addormentatevi. Sognerete sicuramente qualcosa di più interessante di The Creator di Gareth Edwards.

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Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.