The Breakfast Club, illustrazione originale di Chiara Luzi
The Breakfast Club, illustrazione originale di Chiara Luzi

Sabato, 24 marzo, 1984. Shermer High School, Shermer, Illinois. 60062

Brian, The Breakfast Club

Questo è l’inizio di The Breakfast Club, dopo una citazione di David Bowie, e sulle note di Don’t You (Forget About Me) dei Simple Minds, la voce di Brian (Anthony Michael Hall) risuona come un monito, leggendo quello che è l’incipit di un compito assegnato ad un gruppo di adolescenti finiti per vari motivi in punizione, ma questo lo capiremo solo alla fine.

A riempire la scuola vuota, con i suoi spazi che senza studenti sono come tristi involucri di cemento e armadietti, ci sono le parole di chi ha passato con compagni sconosciuti una delle giornate più significative della sua vita; ridendo, piangendo, ballando.

Come in un teen movie

Il film usciva nel 1985, inserendosi nel filone teen del coming of age ambientato in una scuola superiore: un sottogenere che non ha mai smesso negli anni di raccontare lo spietato microcosmo che forgia caratteri e personalità, a volte si riconducibile al periodo più bello della propria vita, molte altre a quello più soffocante.

Cinque studenti che non hanno nulla in comune vengono messi insieme in una stanza per scontare la loro pena, più precisamente nella biblioteca della scuola, dove sono controllati dall’odiosissimo vicepreside che assegna loro un tema da scrivere: in 1000 parole descrivere chi si pensa di essere, describing to me who you think you are sono le parole del prof. Vernon. Ci può essere una richiesta più stupida (e in parte pericolosa) da fare a dei ragazzi che ogni giorno lottano per ritagliarsi un posto sensato in una realtà che ne ignora i bisogni?

Di film così ne abbiamo visti decine, specialmente se come me avete la fissa per stereotipate categorizzazioni giovanili che, innegabilmente, segnano gli adulti del futuro, eppure The Breakfast Club ha qualcosa in più: una tensione tangibile che si mischia alla leggerezza dell’adolescenza, per questo è ancora oggi una tragica e irruenta ode generazionale che continua a parlare di noi urlandoci in faccia ciò che significa avere meno di vent’anni e non essere ascoltati. Niente nell’opera di Hughes è superficiale, tra una battuta e l’altra si respira una rabbia così ingestibile da spezzare il silenzio, incarnata in primis dal personaggio di John Bender (Judd Nelson), che aggressivamente si scontra senza esclusione di colpi contro Vernon, pronto a combattere qualsiasi potere o imposizione, anche a suo discapito.

Tutti dietro alle sbarre (anche cervelloni e atleti)

I cinque personaggi sono simboli, archetipi di una divisione interna alla struttura sociale della scuola in cui si stabilisce chi è da ammirare e chi invece è un perdente, chi indirizza i gusti e le idee dei propri seguaci e chi ne è vittima. A questo si aggiunge un’ulteriore suddivisione, non tutti i vincenti infatti vengono ammirati (o temuti) per gli stessi motivi; alcuni attirano l’attenzione per una macchina nuova, altri per aver dato fuoco a un armadietto.

C’è Brian, il cervellone, che partecipa a club di matematica e fisica per interagire con gli altri ed è ossessionato dai suoi voti, poi Allison (Ally Sheedy), un po’ cleptomane e un po’ bugiarda compulsiva, con seri problemi emotivi. A loro due si contrappongono i tre caratteri “forti” del club della punizione, ovvero Claire (Molly Ringwald, la stessa di Sixteen Candles e Pretty in Pink), ricca e viziata, Andrew (Emilio Estevez), l’atleta e infine Bender, il delinquente punk (non che sia punk come Johnny Rotten, ma è così che Vernon lo definisce dimostrando subito il divario verbale prima che generazionale).

Sembra non abbiano nulla in comune, è la prima volta che si parlano, appartengono a fazioni diverse, gruppi sociali rivali, eppure a legarli è la necessità di dimostrare qualcosa, derivante dal rapporto con i loro genitori. Tutti e cinque si sentono non considerati, non ascoltati, in trappola all’interno di un progetto di vita disegnato per loro ma mai approvato, e allora le loro maschere sono l’unico modo per esprimersi, per proteggersi. In più la maggior parte delle volte si rivelano vittime di abusi, psicologici e fisici, proprio da parte della loro famiglia.

Hughes li fa sbattere emblematicamente contro sbarre di ferro, mentre provano a scappare durante la punizione di quasi nove ore: quelle sbarre hanno la stessa valenza dell’infrangimento dell’immagine iniziale o dell’imprecazione di Bender che riusciamo a sentire tramite un’eco rimbombante, e a leggere sulla sua faccia. Quel carcere fatto di ruoli e ribellione è l’unico spazio in cui possono soffrire e gioire, vivere, e non si ripresenterà più qualcosa del genere.

The Breakfast Club, John Hughes

Quello che forse ancora non sapete di The Breakfast Club

L’impatto che The Breakfast Club ha avuto sulla cultura pop si può spiegare solo attraverso una frase: Eat my shorts, che tradotto è Ciucciati il calzino, emblematica esclamazione del delinquente dei cartoni animati per eccellenza, Bart Simpson. Eat my shorts è ciò che Bender urla al vice preside, guadagnandosi ulteriori sabati di detenzione. La doppiatrice di Bart, Nancy Cartwright, lo disse la prima volta per scherzo, improvvisando durante un tavolo di lettura, il resto è storia.

Bender, interpretato da Judd Nelson (presente anche in St. Elmo’s Fire di Joel Schumacher del 1985), insieme al resto del cast di The Breakfast Club, viene inserito nel gruppo dei Brat Pack, formato da attori e attrici statunitensi conosciuti per la loro partecipazione a film manifesto coming of age degli anni ’80. A loro si aggiungono tantissimi nomi, tra cui quello di Rob Lowe e Robert Downey Jr.. Il termine deriva da Rat Pack, coniato da Lauren Bacall a proposito di artisti, musicisti e attori, nonché amici, che si esibivano e si incontravano tra gli anni ’40 e ’50.

A rispondere alla schiera di nuovi attori pronti a spazzare via il passato c’è il personaggio del vice preside Richard Vernon, interpretato da Paul Gleason, esperto di ruoli detestabili, come quello del truffatore in Una poltrona per due (1983) e del poliziotto ottuso in Die Hard (1988). Risulta praticamente impossibile non associare il suo viso a una sensazione straripante di disprezzo, questo perché è sempre stato abile nel caratterizzare i suoi personaggi insopportabili.

Il poster del film, che vede i cinque ragazzi insieme in una composizione perfetta a piramide, è opera della fotografa Annie Leibovitz. Subito riconoscibile, la locandina è stata oggetto di tantissime parodie e omaggi, iniziati con The Texas Chainsaw Massacre 2 del 1986 e continuati fino a noi, come per il recente Spider-Man: Homecoming.

The Breakfast Club è disponibile in streaming su NOW: questo 24 marzo passatelo con le ragazze e i ragazzi del Breakfast Club! L’illustrazione in copertina è di Chiara Luzi.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.