Antony Starr in una scena di The Boys 4
Antony Starr in una scena di The Boys 4. Courtesy of Prime Video

QUESTO ARTICOLO CONTIENE SPOILER SULLA QUARTA STAGIONE DI THE BOYS

Quando nel 2019 chiesero a Garth Ennis, co-autore e sceneggiatore dei fumetti di The Boys, perché la prima stagione dello show televisivo avesse ottenuto un simile successo, lui rispose che era per la sua capacità di rispecchiare il mondo reale. In particolare, «la sensazione che tutti siano sporchi, e che l’unica domanda sia se preferire uno status quo abbastanza corrotto o un mondo del tutto nuovo ma pericolosamente folle. Se vuoi un mondo pre o post 2016».

Il 2016 era l’anno dello shock collettivo chiamato vittoria (per molti a sorpresa) di Donald Trump alle Presidenziali americane. A dimostrazione che l’obiettivo della trasposizione di Eric Kripke era già chiaro. Ma oggi, nel 2024, dopo una quarta annata che ha nuovamente spiazzato e fatto discutere, persino i più distratti si sono dovuti arrendere all’evidenza: The Boys è una serie politica, ed è la satira (definitiva) degli USA contemporanei, in cui il bivio di cui parlava Ennis c’è ancora, più allarmante che mai.

Le nuove puntate sulle gesta dei supereroi meno eroici di sempre (combattuti dai meno rassicuranti tra gli agenti governativi) hanno confermato che la creatura targata Amazon (perfetto paradosso da capitalismo postmoderno) è uno dei prodotti più significativi del panorama seriale di oggi. E ciò malgrado questi 8 episodi presentino molti limiti, soprattutto di scrittura, rispetto ai precedenti. Ma la sua grandezza è (ancora) tutta nella sua capacità di cogliere, alla sua consueta maniera brutale e sopra le righe, le linee di tensione sempre più incandescenti su cui danza la società statunitense e, di riflesso, l’intero Occidente contemporaneo.

United States of Patriota

The Boys 4, nel bene e nel male, è “Patriota-centrica”. Dietro la sua apparenza corale, e a dispetto del titolo riferito alla squadra un tempo capitanata da Billy Butcher/Karl Urban (e ora, tra difficoltà e indecisioni, da LM/Laz Alonso), il potentissimo e disturbato super-essere affidato alla verve di Antony Starr è il vero, assoluto protagonista. Non un protagonista positivo, naturalmente, e il fatto che tra gli spettatori della serie (in particolare Oltreoceano) ci sia chi fa il tifo per lui ci dice solo quanto gli autori abbiano svolto fin troppo bene il loro compito.

The Boys 4 Courtesy of Prime Video - 2
The Boys 4 Courtesy of Prime Video

Perché se questa è un’anti-epopea sull’America, Patriota è la quintessenza della nazione fondata nel 1776. Non come spesso si dipinge retoricamente, né come parte dei suoi cittadini avrebbero voluto o vorrebbero fosse, ma come, più tristemente e crudamente, è. Nel mix di fragilità interiore e violenza del personaggio, qui spinta a livelli inediti per lo show stesso (pensiamo all’agghiacciante “ritorno del Figliol prodigo” al contrario che è l’episodio 4×04), c’è la pericolosa contraddizione del Paese militarmente ed economicamente più forte sul pianeta. Dove la ricerca della felicità è un diritto ma non quello a cure gratuite, e un’arma da fuoco può finire con inquietante (e costituzionalmente garantita) facilità in mano a chi la usa per fare stragi nelle scuole o, perché no, attentare alla vita di un candidato alla Casa Bianca.

Patriota è tutto questo, è un bambino infelice col potere di scatenare un massacro, cresciuto tra abusi inenarrabili (del resto, all’origine degli USA come li conosciamo ci sono guerre civili, popoli sterminati e altri ridotti in schiavitù) e pronto a riversare la sua rabbia su chi percepisce come un ostacolo. La domanda ricorrente sul perché il personaggio non usi le sue capacità per spazzare via una volta per tutte i suoi nemici, se non l’umanità intera da cui è sempre più distaccato, sta appunto nel suo unico vero punto debole, la psiche, e segnatamente le emozioni. In questo, lo potremmo accostare al Dr. Manhattan di Watchmen, ancora più elevato a proprietà divine ma comunque soggetto alle oscillazioni di una coscienza irrisolta.

Come e più di Dr. Manhattan, Patriota non riesce a lasciarsi alle spalle il suo (disfunzionale quanto profondo) bisogno d’amore. Che non può essere colmato solo da un figlio poco convinto di volerlo emulare, ma necessita ancora di un riconoscimento da parte di quegli esseri umani percepiti come inferiori eppure irrinunciabili come “altro” (e spettatori) del proprio gigantesco sé. In fondo, come il Paese di cui è incarnazione, Patriota può superare e nullificare consapevolmente tutti i confini morali in nome della propria volontà di (onni)potenza, ma non può davvero rinunciare a qualcuno che, dall’esterno, lo veda e lo giustifichi come “il buono”.

Ma l’antieroe-villain di Starr è anche l’America che si rivolta contro se stessa, quella del tycoon e della sua narrazione ultra-complottista che ha già causato, tra le altre cose, l’assalto a Capitol Hill del 2021. La personificazione del sistema (in fondo Donald Trump è un miliardario che punta a conservare, se non a restaurare, una mitica “grande” nazione, in tutti i suoi squilibri etnici, sessuali, socioeconomici e culturali) è anche la scheggia impazzita che lo fagocita, aprendo a scenari imprevedibili. E in questa stagione, difatti, Patriota riplasma a propria immagine e di fatto nullifica sia la gerarchia della Vought sia, alla fine, la stessa architettura istituzionale a stelle strisce. Costruendo il suo regime populista personale, si serve degli stessi mezzi di chi pensava di controllarlo (media e social media compresi).

The Boys 4, luci e ombre degli antieroi

Il percorso di Patriota è il cuore di questa stagione, dunque, ma ciò finisce con l’andare a scapito proprio dei “Boys”, che non sembrano godere di una caratterizzazione altrettanto sicura e di uno scopo parimenti forte e integrato col disegno complessivo della serie. Alcune delle loro sottotrame risultano grossolanamente forzate e in definitiva poco utili ad approfondire i protagonisti (la morte-resurrezione del padre di Hughie/Jack Quaid). Altre appaiono potenzialmente più interessanti (la nuova relazione di Frenchie/Tomer Capon e i suoi sensi di colpa) ma gestite frettolosamente, altre ancora allungate in dinamiche ridondanti (Butcher che entra ed esce a più riprese dal team).

Meglio collocata nell’allegoria di queste puntate è la Annie/Starlight di Erin Moriarty. L’ex eroina (e tra le poche, nella serie, a voler essere davvero tale) è l’anti-Patriota mancata, il sistema (è pur sempre una super, malgrado abbia rinunciato a vestirsi e comportarsi come tale) che tenta di salvarsi riformando se stesso. Inciampa però negli errori e nelle zone d’ombra che hanno nutrito la voglia di rivalsa di Firecracker/Valorie Curry. La luce dell’America liberal è sbiadita (come i poteri di Starlight) da anni di compromessi e dal legame strutturale con i propri avversari, figli e sintomi dello stesso problema, di uno stesso modo di vivere che ha generato marginalità, alienazione, odio.

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The Boys 4 Courtesy of Prime Video

Quasi opposto e non meno interessante il percorso di A-Train/Reggie Franklin, la nascita (forse) di un eroe davvero inaspettato e in cui si potrebbero leggere i dilemmi di una comunità afroamericana divisa tra chi è riuscito a diventare parte dell’élite senza che il razzismo di quest’ultima sia mai stato davvero archiviato. E i nodi, anche in questo caso, finiscono col venire al pettine.

Il nemico in casa

Dove invece la quarta stagione di The Boys non sbaglia un colpo è nell’introduzione e definizione dei nuovi personaggi, che con Patriota ne portano avanti l’inquietante e radicale discorso allegorico. In fondo, di prodotti della cultura pop statunitense che alludono criticamente al trumpismo e alle sue derive ne abbiamo avuti (e presumibilmente avremo) un’infinità. Ma la serie di Kripke & Co. ci ricorda che il “mostro” politico si nutre del “mostro” che l’ha cresciuto.

Gli USA regressivi, suprematisti, omofobi, maschilisti, antiabortisti e ormai apertamente golpisti che popolano gli incubi di mezza America (e non solo) esistono davvero, e sono perfettamente riassunti nelle deliranti campagne di Firecracker e nei ritrovi esclusivi a casa di quella parodia (BDSM) di Batman che è Tek Knight/Derek Wilson. Ma gli oppositori di tutto questo, il “nemico” più insidioso ce l’hanno in casa.

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The Boys 4 Courtesy of Prime Video

Lo ha ben chiaro la Sister Sage di Susan Heyward. Richiama ancora a Watchmen questa “Ozymandias” la cui intelligenza senza eguali è votata però a provocare il conflitto irreparabile anziché arginarlo. E malgrado senso e forma dei suoi piani saranno afferrabili per intero solo con la quinta e ultima stagione, fa riflettere (e rabbrividire) come gli USA di Patriota-Trump abbiano la loro principale stratega in una figura che dovrebbe incarnarne l’antitesi: giovane donna nera emarginata dalla società dei ricchi maschi bianchi.

Quasi a suggerirci come l’ascesa delle nuove destre (non solo Oltreoceano) si regga sulla complicità, attiva o passiva, di una nuova working class istruita ma ormai irrimediabilmente nichilista, che rinuncia alla lotta (e persino al voto) o addirittura si fa spin-doctor del leader più reazionario per ritagliarsi la propria nicchia di comfort e potere all’inferno. O forse per dare il colpo di grazia a un genere umano giudicato irredimibile.

D’altronde, il piano di Sister Sage non funzionerebbe se non potesse contare sui migliori alleati di Patriota, ovvero i suoi antagonisti. Non tanto e solo la Victoria Neuman di Claudia Doumit, ma soprattutto Butcher, complementare al “super” che vorrebbe ad ogni costo eliminare. Ce lo dimostra il finale di stagione, che proprio grazie all’incursione (e definitiva metamorfosi) del personaggio di Karl Urban spiana la strada all’aspirante despota in costume. Un esito anticipato e rappresentato plasticamente dai dialoghi col Joe Kessler di Jeffrey Dean Morgan (che, guarda caso, era il Comico nel film di Watchmen del 2009), proiezione del lato più oscuro, ma anche più autentico, di Butcher.

Ovvero, quello di un uomo che ha preso parte a guerre, torture, uccisioni per il mondo in nome degli interessi del proprio governo. In nome di un’America che solo apparentemente è migliore di quella incarnata dalla Vought e dai suoi super-divi ormai sfuggiti ad ogni controllo. Ma che siano, a conti fatti, di una pasta fin troppo simile ce lo dice la disposizione di Kessler (e Butcher) a compiere un genocidio per prevalere sull’altra parte.

La voce “sdoppiata” di Billy allora sembra un po’ quella degli USA di Joe Biden (da ultimi), che mentre criticano (ma non troppo) la pulizia etnica di Israele in Palestina, continuano a rifornire d’armi il loro alleato in Medio Oriente. Ed è altrettanto difficile, nella conclusione di The Boys 4, considerare Butcher realmente alternativo a Patriota. La cinica razionalità dell’uno e il narcisismo distruttivo dell’altro si tengono, a ben vedere, insieme. E ci stanno portando verso l’Apocalisse.

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Emanuele Bucci
Gettato nel mondo (più precisamente a Roma, da cui non sono tuttora fuggito) nel 1992. Segnato in (fin troppo) tenera età dalla lettura di “Watchmen”, dall’ascolto di Gaber e dal cinema di gente come Lynch, De Palma e Petri, mi sono laureato in Letteratura Musica e Spettacolo (2014) e in Editoria e Scrittura (2018), con sommo sprezzo di ogni solida prospettiva occupazionale. Principali interessi: film (serie-tv comprese), letteratura (anche da modesto e molesto autore), distopie, allegorie, attivismo politico-culturale. Peggior vizio: leggere i prodotti artistici (quali che siano) alla luce del contesto sociale passato e presente, nella convinzione, per dirla con l’ultimo Pasolini, che «non c’è niente che non sia politica». Maggiore ossessione: l’opera di Pasolini, appunto.