Siamo tutti figli dei b-movies, anche un regista che ha segnato indelebilmente la storia della settima arte come Francis Ford Coppola arriva dal cosiddetto cinema di seconda categoria.
A battezzarlo fu proprio il re di questo universo low-budget, il recentemente (ahimè) scomparso Roger Corman, che gli commissionò un’opera che avrebbe dovuto ricalcare lo Psyco di Hitchcock, da girare in Irlanda con un budget di ventiduemila dollari (avanzati da una sua precedente produzione) e ovviamente da farsi in tempi record. Fu così che l’allora ventiquattrenne Francis Coppola diede vita nel 1963 a Dementia 13, uscito in italia come Terrore alla 13ª ora.
Tra sceneggiatura e regia
A scrivere la sceneggiatura a quattro mani con lui fu un altro pilastro del cinema underground, quel Jack Hill che firmerà cult assoluti come Coffy e Foxy Brown.
Il primo lungometraggio del cineasta di Detroit si apre con un non-omicidio. Louise assiste alla morte per infarto di suo marito e ne occulta il cadavere per questioni d’eredità. Recatasi al castello della famiglia del defunto, gli Haloran, scopre del misterioso decesso della sorellina del suo ormai ex-marito, avvenuto molti anni prima. Inutile dire che tra la madre, i due fratelli, la cognata e la servitù non ce n’è uno sano di mente. Frattanto inquietanti apparizioni della bimba morta tormentano i personaggi e, come se non bastasse, un misterioso assassino comincia a far fuori tutti con un’ascia.
Se da una parte abbiamo una sceneggiatura evidentemente troppo piena di elementi, dall’altra abbiamo una regia che riesce a incastonarli in maniera saggia e appassionante, con una concezione visiva ispiratissima che talvolta raggiunge il metafisico (fin dalla prima scena: una barca che sembra fluttuare sul nulla tanto sono oscure le acque, non sarebbe stato così strano vedere il colonnello Kurtz far emergere la sua pelata!) e talvolta efferatezze che per l’epoca non dovevano essere facili da digerire.
La trama prosegue per la propria strada senza particolari intoppi fino al colpo di scena a metà del film e, anche successivamente, gli atti si susseguono senza confusione che, per una sceneggiatura così ricca, è un mezzo miracolo.
Il legame con Psyco
Sarà anche il caso, a questo punto, di chiedersi cosa ci azzecchi il Maestro del Brivido con tutto ciò. A parte la deriva slasher è nella struttura narrativa che Coppola copia a piene mani da Psyco: la nostra protagonista, infatti, muore a metà dell’opera, mentre il suo aguzzino prosegue con il suo disegno di morte.
Il significato che hanno queste due scelte narrative così simili è, però, profondamente diverso. Da una parte Hitchcock ci porta a convivere con l’assassino prima della sconvolgente rivelazione finale, empatizzando con il suo disagio, con le conseguenze psicologiche della cruenta matriarca. Il trauma genitoriale è difficile da scrollarsi di dosso, tanto da renderci dei burattini. L’effetto dunque è relativo a un passato, a un fuori scena che possiamo solo immaginare.
Coppola dall’altra parte rimane nel presente e rappresenta la famiglia come un trauma costante e perpetuo da cui è impossibile fuggire. Nemmeno la piccola defunta Kathleen ci è riuscita. Persino i componenti acquisiti come Louise rimangono intrappolati senza poter fuggire. Non dobbiamo immaginare nulla, quello che è stato e quello che sarà è davanti ai nostri occhi: è una prigione molto più concreta di quella di Norman Bates. Il laghetto che pare così importante per tutti, e che è teatro di violenze e apparizioni, è simbolo di tutto ciò: nero e senza fondo, attrae tutti dentro di lui senza lasciare scampo. Anche il castello, terribile e maestoso, è prima una casa e solo dopo luogo d’orrore: è proprio il suo stato di abitazione che raccoglie e restituisce traumi genetici e relazionali a trasformarlo da focolare a scenario stereotipato dell’horror. Anzi, a dirla tutta, non c’è alcun mutamento, i due piani rappresentativi coesistono e la conseguenza di questa coabitazione concettuale e metacinematografica è la follia dei suoi abitanti, trucidati uno dopo l’altro.
La famiglia come luogo di dolore è un argomento molto caro al regista: in Non torno a casa stasera Natalie fugge prima di crearne una, ne Il padrino è il tema principale, ma è in Segreti di famiglia, un vero capolavoro troppo poco nominato, che risiede tutta la poetica dell’afflizione parentale made in FFC.
Cos’è Terrore alla 13ª ora
Terrore alla 13ª ora ha tutti i pregi e i difetti di un b-movie. Viene naturale chiedersi, per esempio, perché dopo solo qualche scena a nessuno interessi più del fratello morto all’inizio del film. Viene naturale chiedersi inoltre da dove salti fuori il dottor Caleb (un grandissimo Patrick Magee, famoso per aver interpretato lo scrittore in Arancia Meccanica) e perché voglia improvvisamente risolvere ogni mistero.
Viene naturale chiedersi se l’elemento soprannaturale è da leggere come tale o no e cosa ci azzecchi con tutto il resto. Viene naturale chiedersi anche che razza di film sia: un thriller? Un horror? Una storia di fantasmi? La vera domanda, quando si guarda un film simile, deve però essere una sola: è necessario chiedersi tutto ciò? Assolutamente no.
Un film deriso anche dallo stesso Coppola ma che rimane un’opera prima godibile, sincera, perfetta rappresentazione di un’intera epoca cinematografica ma realizzata da un ventiquattrenne, profetica riguardo a quello che sarà lo stile di uno dei registi più grandi di sempre. Una pellicola piena di suggestioni e che è suggestiva in ognuna d’esse. Ci sono sequenze che sono un piacere per gli occhi e per il cuore di chi ama la settima arte, imperfezioni che solo chi ama veramente il cinema può comprendere e sorriderne.
Ma Terrore alla 13ª ora non è solo questo: è spietato, violento, un horror che apre i corpi, un thriller metafisico sui luoghi abitati dai traumi famigliari. Coppola inizia qui la ridefinizione degli elementi realistici del dramma cinematografico, perdendo gli istantanei particolari della rappresentazione canonica e dando valore persuasivo all’immagine, anche in un campo commerciale come questo dei film da drive-in che non dovevano fare altro che portare il pubblico generalista davanti allo schermo.
Il movimento della New Hollywood trova nuovi modi di imitare la realtà con la ricchezza degli elementi espressivi e stilistici dei propri autori che finalmente pongono esplicitamente inquietanti interrogativi sul reale senso della nostra esistenza, sottolineando l’inquietudine della vita, la sua instabilità, i lati oscuri e profondi come quelli del laghetto di Terrore alla 13ª ora.
L’autore dell’approfondimento di Terrore alla 13ª ora, è Andrea Guaia di Shiva Produzioni. Continua a seguire FRAMED anche su Instagram e Telegram.