Bellissime, misteriose, tormentate e inevitabilmente fatali, proprio come la vita. Questa la tagline de Il Giardino delle Vergini Suicide (1999) ma che bene incarna tutta la cinematografia di Sofia Coppola.
Dall’appena citato debutto fino ad arrivare al più recente On the Rocks, passando per trionfi di pubblico e critica come Lost in translation e Marie Antoinette o pellicole molto meno apprezzate come The Bling Ring, è identificabile un file rouge, una poetica che lega ogni film, rendendo la visione di Coppola unica e inimitabile. Aspettando Priscilla (presentato in anteprima nell’imminente prossima edizione del Mostra del Cinema di Venezia), è possibile immaginare come il nuovo film come l’ennesimo tassello all’interno del mosaico costruito fino ad ora dalla regista americana, dove ogni protagonista è un volto unico ma organico nella rappresentazione cinematografica del femminile.
La filmografia
Se c’è una cosa che caratterizza inequivocabilmente ogni film di Sofia Coppola è la centralità dei personaggi femminili, che anche quando affiancate a presenze ingombranti (vedi Bill Murray) o quando non ricoprono il ruolo di protagoniste (vedi Elle Fanning in Somewhere), emergono sempre in maniera nitida al di sopra di ogni controparte maschile, elementi centrali e motori di tutta la narrazione che viene ad instaurarsi.
L’obiettivo di Coppola, in ognuno dei suoi 7 film usciti fino ad ora, è esattamente questo: proporci il suo sguardo sulle donne, uno sguardo che conosce e non giudica, uno sguardo che sa essere onesto ma anche clemente, raramente madre ma certamente mai matrigna nei confronti dei ruoli che ragazze e donne devono interpretare ogni giorno, in ogni secolo, che piaccia o meno.
Si parte dalle adolescenti del Giardino delle Vergini Suicide (che vedrà nascere il sempre efficace sodalizio tra Kirsten Dunst, con i suoi occhi glaciali e disillusi sul volto di una bambina, e Sofia Coppola, pronta a catturare tutto ciò), belle e intrappolate in un destino già scritto, dei gigli in un vaso troppo piccolo che giorno dopo giorno appassiscono sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno li aiuti, ma con la stoicità di andare incontro a questo destino a testa alta.
Arriviamo poi a Lost in Traslation, dove Charlotte (una meravigliosa Scarlett Johansson) vive in un limbo che anticipa la prevedibile fine della sua relazione, fatta di silenzi e assenze, un’incomunicabilità all’apparenza insormontabile e che forse lo è per davvero.
Tre anni dopo, nel 2006, invece, Coppola porta sullo schermo il suo primo ritratto storico, la tanto controversa regina di Francia Marie Antoinette, volto fatto di luci ed ombre che, attraverso una colonna sonora indie rock costruita ad arte, rivive come donna eterna, esempio del suo tempo e dei sentimenti di ogni tempo.
Dalla Francia pre-rivoluzionaria arriviamo all’industria cinematografica californiana dei giorni nostri di Somewhere, in cui si tocca per la prima volta il rapporto padre-figlia, con una giovanissima Elle Fanning che passa dal vivere ai margini dell’universo hollywoodiano dell’apatico padre a diventarne forzatamente il centro, calibrando equilibri e sinergie tra due, di fatto, estranei.
Dallo sguardo di una pre-adolescente fino a quello (di nuovo) degli adolescenti in Bling Ring: storia basata su fatti realmente accaduti, forse il film più pop e meno apprezzato di Coppola che, nel dirigere una Emma Watson criminale in erba, disinibita e priva di morale, decide di concentrarsi maggiormente su una sperimentazione del filone Harmony Korine, perdendo un po’ di vista la scrittura delle protagoniste.
Protagoniste che, però, tornano centrali ne L’inganno, unico film horror/noir della regista e con un cast d’eccezione (Nicole Kidman, Kirsten Dunst, Elle Fanning, Colin Farrell). Tornando di nuovo indietro nel tempo, questa volta alla guerra di secessione, ci si ritrova ancora in un ambiente chiuso, una realtà governata da donne vittime e carnefici, sempre più ambigue, sempre più fraintendibili, in un equilibrio perfetto tra sentimenti e lucidità.
Infine On the Rocks, in cui torna Bill Murray come spalla di Rashida Jones e torna anche il tema padre-figlia, questa volta con uno sguardo più maturo e scanzonato su quello che questo rapporto rappresenta, soprattutto quando si cresce e si deve fare i conti con il peso del nome che si porta.
La visione del femminile
Sette film, sette diversi punti di vista che si intrecciano e si mettono in contrasto per formare un caleidoscopio di ciò che significa essere bambine, ragazze, adulte, ieri oggi e domani. Sette opere in cui la femminilità è ostentata con mai celata malinconia, un rimuginare di sogni infranti prima ancora di essere pensati e un passato onnipresente e mai realmente amico.
Figlia ideologica di Sylvia Plath e sorella di Lana del Rey, Sofia Coppola infatti fa di vezzi e fragilità le proprie armi più letali, che come aghi vanno dritte al cuore e avvelenano di bellezza e nostalgia chi guarda, creando così una sorta di femminismo oscuro, in cui ai soprusi e ai dolori degli universi in cui le protagoniste si muovono, la risposta è una passività aggressiva, uno spirito autodistruttivo sardonico e tenace, tanto destabilizzante da immaginare quanto coraggioso da mettere in scena.
Marie Antoinette, Lux, persino Niki di The Bling Ring, anziché ribellarsi si gettano nel baratro, distruggendo loro stesse, sapendo di non avere possibilità di diversa redenzione, come se il lieto fine fosse solo per le favole e quindi si preferisse scegliere l’epilogo opposto, l’unica via di fuga rimasta.
La solitudine
In questo album di ritratti si staglia, annebbiato ma netto, il ritratto della solitudine, elemento comune per tutte le ragazze di Coppola: donne, chi più e chi meno, incastrate sempre in un mondo che non le vuole e non le comprende, in cui il rifugio in loro stesse, nelle paure, nelle ansie, negli eccessi e nelle vendette è il solo spazio concesso. La ricerca del proprio posto nel mondo è un tema caro e ricorrente nel cinema, ma attraverso la macchina da presa di Coppola va oltre tutto ciò e diventa quasi un atto di titanismo, il tentare fino alla fine di far funzionare tutto, di rispettare le altrui aspettative, di rientrare nei canoni, solo per ritrovarsi sempre più sole e sbagliate, sempre meno comprese e circondate da individui che non hanno alcuna intenzione di comprendere.
E così come sole sono le protagoniste, così si procede a costruire le ambientazioni: collegi isolati nei boschi, hotel Hollywoodiani abbandonati nel deserto, Paesi stranieri in cui la mancanza di casa si traduce in mancanza di affetti veri. L’isolamento fisico nei film è riflesso della distanza emotiva che ogni figura mette in atto, volontariamente o meno, ponendo gli altri personaggi, così come il pubblico a debita distanza, sia per difesa che per attacco.
E così, attraverso questi silenzi, questi discorsi mai fatti, Sofia Coppola ritrae con i suoi film la promessa di un mondo interiore che non verremo mai a conoscere, concedendoci solo uno sguardo marginale, fatto di colori pastello e fiori, ampi spazi da cui è impossibile uscire ma anche entrare, in un alternarsi ritmico di dolcezza e paura, sorrisi innocenti e depressione, pasticcini e veleno.
Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2023.
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