Ne divoriamo una o due al mese, forse di più. Ore e ore di episodi che diventano parte di noi, di come parliamo, di cosa parliamo, di cosa memiamo. È impossibile fare una classifica completa delle più belle serie TV del 2022, ne abbiamo viste troppe. Ci limitiamo a consigliarvi le nostre preferite.
Pam & Tommy | Su Disney+
Fondamentalmente una storia d’amore, quella tra Pamela Anderson e Tommy Lee, raccontata da Craig Gillespie che ci mette tutto il suo stile pop, fuso alla lettura dei fatti storici e all’interpretazione del dramma e degli eventi accaduti durante lo scapestrato matrimonio tra la bionda attrice di Baywatch e il batterista dei Mötley Crüe. La fine degli anni ’90 coincide con la fine di quell’amore, più precisamente quando la vendetta di un uomo scontento del temperamento di Tommy Lee si abbatte su quel sentimento, frantumandolo e ripassandoci sopra, ma soprattutto distruggendo per sempre l’immagine pubblica di Pamela Anderson.
La storia la conosciamo tutti ma non è mai stata raccontata come l’ha fatto Gillespie: Pam & Tommy è la favola che poteva essere, è la deriva degli insuccessi e del tempo che passa, è l’inizio della propria privacy spiattellata sullo sporco, anonimo e irrintracciabile World Wide Web. Più di qualsiasi altra cosa, però, è un ragionamento sul corpo femminile: cosa deve sopportare Pamela per dimostrare che, nonostante il proprio lavoro basato sull’apparenza, quel corpo è suo e di nessun altro e dovrebbe essere l’unica a decidere quanto, come e dove mostrarlo? Qui la recensione integrale.
Atlanta | Su Disney+
Fino all’ultimo ha combattuto testa a testa con The Bear e Scissione nella mia personale classifica del 2022, ma poi Atlanta vince sempre, perché non esiste niente che le somigli. Il 2022 ha visto la sua conclusione dopo anni di attesa, con la terza e la quarta stagione che negli USA sono uscite a distanza di pochi mesi, come un tutt’uno. Cosa che ha perfettamente senso, dato che la terza stagione, l’ultima al momento disponibile in Italia, è incompleta e composta da cinque episodi antologici su dieci. Cinque storie verticali e autoconclusive in cui non solo la trama principale si blocca e lascia spazio a digressioni stilistiche ed esperimenti narrativi, ma in cui gli stessi protagonisti non sono inclusi. Non lasciatevi scoraggiare dall’apparente mancanza di senso, che spesso vi porterà su Google a cercare dimettere ordine tra i vostri pensieri.
Ogni episodio è più entusiasmante dell’altro, se vi lasciate trasportare dove Hiro Murai (principale regista) e Donald Glover (autore e co-protagonista) decidono di trascinarvi. Può essere un luogo della mente, un trip di allucinogeni, un non meglio identificato universo parallelo in cui tutti i personaggi cambiano identità per la durata di un solo episodio. O ancora, un modo di dire, uno stereotipo, un atteggiamento che con precisa e irresistibile ironia diventano il fulcro di intere sceneggiature di trenta minuti. L’obiettivo di Atlanta è sempre quello di scardinare i punti di riferimento di chi la guarda, ribaltando la prospettiva e le certezze del pubblico generalista.
Better Call Saul, stagione 6 | Su Netflix
L’ultima stagione sulla discesa agli inferi di Jimmy McGill e l’ascesa del cinico avvocato Saul Goodman non è stata solo la coronazione, coerente nei minimi dettagli, di una storia iniziata quasi quindici anni fa col primo episodio di Breaking Bad. È stata l’apoteosi della serialità come arte autonoma, nipote della letteratura e sorella (non più minore) del cinema.
Esaltandone lo specifico nella minuziosa tessitura dei particolari che sedimentano, maturano e liberano significato di capitolo in capitolo, nella dialettica di pause e accelerazioni, attese e sorprese, nel progressivo cesellamento di figure che acquistano nell’immaginario la consistenza di individui reali.
Come il protagonista e la partner che gli ruba (davvero) la scena, due facce di un unico discorso sulle contraddizioni dell’umano, fra amore e solitudine, colpa e redenzione, legge e giustizia, scelta e fato. Con loro e con gli altri tasselli di questa grande opera collettiva, il prequel e il sequel riscrivono se stessi. Inseguendo, raggiungendo e superando il (capo)lavoro di partenza.
Il Signore degli Anelli – Gli anelli del potere | Su Prime Video
La trepidante attesa del ritorno nella Terra di Mezzo di Tolkien è stata la costante estiva che ha accumunato gli appassionati de Il Signore degli Anelli, che il 2 settembre hanno finalmente visto esaudirsi il loro desiderio. Composta da otto episodi disponibili su Prime Video, Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere è ambientata nell’epoca della Seconda Era della Terra di mezzo e racconta l’ascesa di Sauron e la forgiatura degli Anelli del Potere.
Il rischio di cadere all’interno di una banalizzazione della saga madre era dietro l’angolo, ma questa serie TV, nonostante alcuni difetti, argina il pericolo presentandosi come un prodotto ambizioso e più che riuscito. La messa in scena mastodontica, la fotografia rivelatrice di senso, le musiche soavi, i personaggi – sia nuovi che già conosciuti – e la storia hanno contribuito a donare a noi spettatori una sola sensazione: un ritorno a casa. Qui la recensione integrale.
Boris 4 | Su Disney+
E poi, ci sono certe cose che non fai perché ti sono state imposte, ma perché te le senti. Cose che non sono obblighi di lavoro o di contratto, ma creazioni che vengono dal cuore. O magari, dagli occhi del cuore: quelli di Boris, la serie che ha fatto di questa espressione una risata. E che sembrava essersi interrotta dopo la morte di Mattia Torre, uno dei tre mitici sceneggiatori che a Boris hanno dato l’anima. Perché nessuno, dagli attori ad ogni singolo componente della troupe, avrebbe più voluto realizzare anche solo una puntata. Se non per celebrarlo, a modo loro, a modo suo, con questa quarta stagione che fa rinascere quella risata e la spinge talmente a fondo da arrivare a commuovere. Una risata che viene dal cuore, o meglio: dai suoi occhi.
Cabinets of Curiosities | Su Netflix
Cabinets of Curiosities è un vero e proprio caleidoscopio di orrori e meraviglie, un’esperienza visiva e sensoriale unica. Guillermo Del Toro introduce ogni episodio come se stesse presentando uno spettacolo di cabaret, parlando come il presentatore di un circo. Ed è proprio questa l’essenza della serie: racconti antologici che si aprono davanti al pubblico come scrigni di stupore e terrore, delle vere e proprie attrazioni. Con questa serie, Del Toro è riuscito a dipingere alla perfezione il concetto di sublime: qualcosa di magnifico e spaventoso al tempo stesso.
Altro dettaglio non trascurabile, il regista è lo showrunner della serie, ma ha dato ampio spazio a registi sconosciuti, preziosa visibilità in un mondo complicato come quello dell’industria cinematografica e seriale. Dal momento che la serie ricalca le atmosfere lovecraftiane e che alcuni episodi sono tratti da racconti di Lovecraft, è chiaro che il regista stia facendo le “prove generali” prima di coronare il sogno della sua vita: la messa in scena cinematografica de Le montagne della follia. Prova generale, a mio avviso, ampiamente superata.
Leggi anche la selezione dei migliori film del 2022, scelti dalla redazione.
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