Semidei è il film documentario di Fabio Mollo e Alessandra Cataleta, con la sceneggiatura di Armando Maria Trotta, Giuseppe Smorto, Massimo Razzi, Fabio Mollo, che ripercorre la storia dei Bronzi di Riace: le due enigmatiche e misteriose statue rinvenute il 16 agosto del 1972 ed esposte attualmente al Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria. Un’opera suggestiva, ricca di sovrapposizioni di materiali e linguaggi, apre la visione su due reperti artistici unici e sulla terra che li ha accolti, la Calabria; così da abbracciare e diffondere un messaggio universale che arriva a chiunque guardi il film.
Presentato il 15 febbraio al Sudestival, dopo essere stato proiettato a Venezia alla ventesima edizione delle Giornate degli Autori, Semidei è tra i cinque film finalisti dei Nastri d’argento nella sezione Cinema, Spettacolo, Cultura.
Abbiamo avuto modo di intervistare i due registi: Fabio Mollo e Alessandra Cataleta, a proposito del misticismo che si fonde al presente instaurando un rapimento quasi magico.
L’intervista
Come avete lavorato sul film a quattro mani? Come vi siete coordinati durante la preparazione e la realizzazione?
Alessandra Cataleta: La Regione Calabria e la Calabria Film Commission avevano deciso con Palomar di affidare questo film a Fabio, il quale l’aveva già scritto un anno prima, almeno la prima stesura, con Massimo Razzi, Giuseppe Smorto e Armando Maria Trotta. Dopo un anno di gestazione sulla scrittura sono partite le riprese, proprio in occasione dell’anniversario dei cinquant’anni del ritrovamento dei bronzi (16 agosto 2022, N.D.R).
Io e Fabio ci conosciamo e ci stimiamo da molti anni; lui era impegnato con Nata per te, quindi ho dato il via alle riprese, soprattutto su tutta la parte che è di azione e di pedinamento dei personaggi e sulla ricerca di essi. Ci siamo sempre coordinati per qualsiasi cosa, sui possibili protagonisti è stato veramente immediato il consenso reciproco. Ci siamo sempre trovati d’accordo su Damiano ad esempio, su Angela e su Carlotta. In generale c’era un’armonia speciale in generale fra tutti i comparti, rispetto alla fotografia e anche al montaggio, che è firmato a due (da Filippo Montemurro e Mauro Rossi, N.D.R). Semidei è stato un film davvero collettivo, un incontro di superpoteri se vogliamo.
C’è stata una preparazione, e poi una serie di cambiamenti: inevitabilmente, come spesso accade, si inizia a tradire lo script originale, perché la realtà finalmente prende il sopravvento su tutto il resto. Poi quando Fabio ha terminato Nata per te ed è arrivato e abbiamo continuato a lavorare insieme.
Semidei non è solo un film sui Bronzi, ma sulla Calabria e sulle persone che la abitano: come avete scelto gli interventi e cosa volevate raccontare attraverso i personaggi del vostro film?
Fabio Mollo: Diciamo che l’idea è stata quella di raccontare i Bronzi non solo rispetto al loro passato, ma contestualizzandoli nel presente, perché ci siamo accorti che non sono soltanto due statue dei tempi antichi, quindi due opere d’arte che vengono dal passato, ma sono vivi nel nostro presente soprattutto grazie al loro messaggio di pace e al loro monito contro la guerra fratricida.
Quindi abbiamo sentito che il loro messaggio era valido 2500 anni fa, nella Grecia antica, ma anche e soprattutto oggi, rispetto a quello che stiamo vivendo; non solo relativamente alla Calabria, ma riguardo a quello che sta vivendo l’umanità. In merito alla ricerca dei personaggi cercavamo qualcuno che potesse permetterci di raccontare quanto è importante oggi questo messaggio dei Bronzi attraverso il loro vissuto la loro esperienza, facendo un po’ da specchio e da riflesso.
La cosa bella è che questi personaggi vivono tutti in Calabria, un po’ per dare un’unità di luogo alla storia ma anche perché l’aspetto che ci piaceva sottolineare di questa Calabria è proprio quello dell’accoglienza: è una terra sì, con tantissimi problemi e grandissime difficoltà, ma che ha saputo accogliere e che continua a farlo. Continua ad accogliere le persone, gli immigrati che vengono dall’altra parte del Mediterraneo, come ha saputo accogliere gli stessi Bronzi. E quindi l’idea era raccontare attraverso le persone di Calabria, mettendoci anche le donne rifugiate ucraine che vivono a Gioiosa Ionica, quanto il messaggio dei Bronzi ancora oggi vive dentro tutti noi ed è importante per tutti noi.
Il racconto dei Bronzi funziona come un pretesto per approfondire il presente: sfruttate una sovrapposizione di linguaggi, la loro aura mistica e le esigenze concrete delle persone. Come avete stabilito questo dialogo?
F.M.: Ha richiesto molto lavoro, dico la verità, molto anche nel montaggio. Come diceva prima Alessandra, il film ha preso questa forma veramente facendolo; succede spesso nei documentari ma qui è successo in modo fondamentale, nel senso che noi avevamo l’idea e l’ambizione di provare a raccontare il film unendo passato e presente, realtà e finzione, quantomeno realtà intesa come cinema del reale e cinema sull’arte, e riuscire a farlo con un linguaggio che poi è quello della versione definitiva.
Però abbiamo capito che poteva funzionare solo facendolo, all’inizio ci è sembrata un’idea ambiziosa, molto rischiosa, e per fortuna siamo stati supportati da Palomar, dai nostri produttori, che ci hanno dato tanta fiducia e anche tanto tempo per poter poi arrivare alla struttura definitiva. Il merito è anche dei due montatori straordinari che ci hanno affiancato e ci hanno permesso di creare questa struttura, andando a tentativi, definendola un pezzo alla volta per poi trovare la forma definitiva.
Credo che quello che forse ha fatto più da collante di tutto, e che ha permesso questo azzardo, sia stata proprio l’aura magica che emanano i Bronzi e che in un certo senso pervade tutti gli aspetti del film, tutti i suoi elementi iperrealistici in un certo senso.
A.C.: Fabio parlava appunto di commistione di cinema del reale e documentario sull’arte: in realtà poi sulla terza mano di scrittura, cioè al montaggio, anche il documentario di creazione è stato un linguaggio importante, che ha fatto da trait d’union rispetto a tutto. A me piace pensare che la grande armonia della lavorazione e dell’effetto finale sia stata corroborata dalla bellezza dei Bronzi e dal messaggio che volevamo fortemente comunicare.
Il film inizia con le parole del critico e filosofo Georges Didi-Huberman: l’immagine spesso ha più memoria e più avvenire di colui che la guarda. Per voi che valore ha l’immagine artistica per la società futura, mettendoci ovviamente anche il cinema?
F.M.: Io sono cresciuto a Reggio Calabria durante anni molto difficili: negli anni ’90 c’era la terza guerra di mafia, quindi erano momenti un po’ tosti. Non vengo dal mondo del cinema ma in realtà sono finito in un cineclub all’età di 15 anni e per altri motivi, non quelli della passione per il cinema perché non lo conoscevo bene, e lì ho scoperto questa forza del cinema di cui tu parli, cioè la forza che ha il cinema non solo di raccontare la società in quanto ne diventa specchio, ma anche quello di poterla…cambiare? O perlomeno di suggerire dei percorsi per dei cambiamenti.
Credo che sia questo il valore più bello che per me ha il cinema; è quello che cerco di fare nelle storie che racconto e quello che abbiamo cercato di fare anche nel momento in cui abbiamo raccontato i Bronzi, perché il cinema ha questa forza e deve continuare ad averla.
Per rispondere alla domanda, in questo momento la cosa bella è vedere che questa forza è stata ampiamente riscoperta, e lo riscontriamo anche da ciò che sta succedendo nelle sale in questi mesi, per fortuna. Forse anche visto quello che stiamo vivendo come società, il cinema ancora di più può avere questo ruolo, recuperandolo dopo anni in cui sembrava essere stato stato messo da parte. Quindi quando abbiamo ragionato sul fare Semidei, volevamo che potesse avere questa ambizione e questa forza.
I Bronzi li vediamo inizialmente attraverso lo sguardo di chi gli sta di fronte nella prima esposizione del 1981: come avete lavorato sui materiali di repertorio e quanto è stato emozionante ritrovarvi in quegli sguardi?
A.C.: Questa è stata una delle prime nostre suggestioni, sia di senso che di estetica. Ci siamo documentati con gli scritti, gli studi e con i documentari realizzati fino a quel momento sui Bronzi, però quello che ci ha davvero colpito sono stati gli scatti delle prime esposizioni, tutti in controcampo: erano le foto dei primi occhi che guardavano queste statue straordinarie.
Essendo stata una suggestione fondante del film, siamo andati a ricercare quel tipo di prospettiva e l’abbiamo trovata appunto nei materiali d’archivio, cercando poi di riproporla oggi, mostrando anche i passaggi davanti ai Bronzi dei nostri protagonisti: è stato un collante molto spontaneo, è emerso naturalmente. Volevamo che fossero i Bronzi a guardare, volevamo che gli spettatori guardassero il mondo con gli occhi dei Bronzi di Riace.
Voi quando avete visto per la prima volta le due statue e ricordate come vi siete sentiti? Cosa vi ha colpito?
A.C.: Io li avevo visti quando ero bambina ma non me lo ricordo benissimo. Quindi in realtà c’è stata l’attesa di vedere i Bronzi perché li ho sempre ammirati in foto, bidimensionali, sempre come due star se vogliamo, registicamente parlando; era l’attesa di conoscere finalmente i protagonisti del film che andavo a girare. Anche lì c’è stato qualcosa di estremamente misterioso, riprendendo le riflessioni di Huberman, abbiamo scandagliato anche il concetto di desiderio per qualcosa di ignoto, che è il messaggio che emanano la due statue. Il desiderio di futuro è un’altra ispirazione importante.
E mi piaciuto anche moltissimo guardare dal vivo le persone che osservavano i Bronzi, gli stessi guardiani, chi lavora lì al museo, che spesso si ferma più di una volta al giorno a salutarli. C’è anche chi ha le preferenze; per deformazione professionale, ma anche per amore per la gente, mi metto spesso a fare domande inopportune, per cui ho chiesto a una signora che lavorava lì quale fosse il suo preferito e lei con gli occhi totalmente innamorati si è rivolta al bronzo A e ha detto lui, vengo a salutarlo ogni giorno. I Bronzi raccolgono questo, un desiderio di bellezza, di futuro, ed è quello che ho sentito anche io quando li ho visti.
F.M.: Per me è diverso perché sono cresciuto al cospetto dei Bronzi, essendo di Reggio. Non ho il ricordo della prima volta che li ho visti perché hanno sempre fatto parte del nostro panorama, un po’ come l’Etna sul fondo dello Stretto: è qualcosa che appartiene veramente alla mia conoscenza sin dall’infanzia.
Però posso dire che grazie al lavoro che abbiamo fatto su Semidei, grazie alle persone che hanno raccontato la loro bronzite, come quella che descriveva prima Alessandra della signora che lavora al museo oppure dello stesso Daniele Castrizio che invece li studia da sempre, penso di averli “visti” per la prima volta. Attraverso l’amore e il fascino che esercitano su di loro.
Il documentario mi ha permesso di vederli veramente per la prima volta, quindi di staccarli dalla visione quotidiana e ordinaria provando a concepirli per quello che realmente sono. Mi auguro che riesca a fare lo stesso con chi lo guarderà, che permetta non solo a chi non li ha visti di conoscerli ma anche a chi li ha visti tante volte di conoscerli in modo profondo.
Quanto è sentito in Calabria l’anniversario del ritrovamento dei Bronzi?
F.M.: Sono sincero, non è così sentito, nel senso che la cosa di cui ci siamo resi conto, e che raccontiamo anche nel documentario, è che c’è stato un momento in cui i Bronzi sono un po’ caduti in un semi-oblio, ed è vero che forse la cosa più dolorosa è che questo oblio riguardasse anche noi calabresi. Non dico che sono completamente ignorati, assolutamente, però sicuramente il giorno del ritrovamento dovrebbe essere una celebrazione molto importante, da festeggiare tutti gli anni e non soltanto l’anno del cinquantesimo anniversario.
Noi ci auguriamo che succeda, ad esempio ci piacerebbe con il sindaco di Riace, il 16 agosto di quest’anno, proiettare il documentario sulla spiaggia dove sono stati ritrovati, e magari trasformare questo evento in un piccolo rituale, in cui tutte le estati ci sia qualcosa nello stesso luogo che li ha accolti la prima volta.
Avete già una distribuzione per il film? Dopo le Giornate degli Autori, il Sudestival, arriverà al cinema?
F.M.: Sì! Possiamo annunciarlo ufficialmente, il viaggio al cinema di Semidei inizia con la prima proiezione che sarà il 20 febbraio al cinema Barberini di Roma alle 21, e da lì in poi inizierà una distribuzione, che come sappiamo nel mondo del documentario è una distribuzione “diffusa”, quindi con una serie di proiezioni sparse per tutta Italia nell’arco della primavera. Stiamo pianificando anche le altre date, a Reggio Emilia, Torino, Reggio Calabria, Cosenza, la Sicilia, e molte altre.
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