Never Too Late è la nuova serie prodotta da Rai Fiction e Propaganda Italia, e presentata in anteprima ad Alice nella città.
Scritta da Camilla Paternò, Federica Pontremoli e Simona Coppini in collaborazione con Salvatore de Chirico, e diretta dallo stesso De Chirico e da Lorenzo Vignolo, vede un’ambientazione futuristica pervasa di emergenze e sentimenti volutamente legati al presente. Ci parla di una generazione che si affaccia per la prima volta sul mondo, anche se il mondo in questione non ha ossigeno e prevede un green lockdown – ovvero una separazione dell’uomo dalla natura al fine di poterla curare.
Dove il progetto di raccontare una serie di possibilità tragicamente avverabili si accompagna al desiderio di amplificare la voce della nuova generazione di ragazze e ragazzi, Never Too Late punta i riflettori su questioni climatiche e ambientali urgenti accompagnandole al passaggio di tale generazione dall’infanzia all’adolescenza.
Salvatore de Chirico, collaboratore alla sceneggiatura, produttore creativo e co-regista di Never Too Late, ha risposto alle nostre domande.
L’intervista
Come sono stati accolti i primi episodi di Never Too Late dal pubblico di Alice nella Città?
L’anteprima è andata molto bene, nonostante Alice nella Città abbia avuto un programma corposo, così come quello parallelo della Festa del Cinema; spesso i prodotti innovativi e originali, anche nuovi, che non hanno una fanbase e che sono sconosciuti come il nostro, rischiano di rimanere un po’ schiacciati, e invece c’è stato un bel riscontro, e chi lo ha visto era sinceramente sorpreso da quello che abbiamo fatto. Quando racconti Never Too Late ci sono due reazioni, che sperimento sempre e sono le stesse che ho avuto anche io all’inizio; la prima è dire wow, perché l’idea è molto bella e anche molto ambiziosa, la seconda è un po’ di paura, di “come si fa una cosa del genere in Italia“?
Questo è un lavoro che non nasce da una mia idea originale, ma nella quale entro in corso d’opera prima collaborando come sceneggiatore, poi come showrunner, ovvero produttore creativo, andando a curare tutta la parte di creazione di questo mondo: costumi, scenografie, casting, scelta delle location etc, e poi regista insieme a Lorenzo Vignolo.
Quando mi sono approcciato alla revisione registica delle sceneggiature ho fatto una serie di ragionamenti, l’idea di fare un progetto di questo tipo, con un’eco distopica e la componente di coming of age, scimmiottando gli americani, stando in un mondo post apocalittico di quelli molto cupi, oppure unicamente fantascientifico, vista l’ambientazione futuristica del 2046, non mi interessava né da un punto di vista autoriale, né da un punto di vista registico.
A livello di scrittura avrebbe raffreddato molto il cuore della storia, che secondo me è un cuore pulsante, da un punto di vista registico per le scelte legate al budget, si sa che per fare bene questi racconti serve un budget molto alto. Questa è una serie sperimentale per una piattaforma molto giovane come Raiplay, che ha fatto uno sforzo sia produttivo che di coraggio per sviluppare questa idea, insieme alla produzione Propaganda Italia, tra le poche in Italia a non aver paura a lavorare con il genere.
Entrando nel mondo di Never Too Late la realizzazione risulta da subito molto credibile, anche grazie alla fotografia, come avete lavorato in questo senso?
La fotografia nasce da una scelta che abbiamo fatto a monte con il direttore della fotografia Paolo Bellan: tornando sull’aspetto da post apocalittico cupo raccontato ad un target pre teen, è una scelta che trovo proprio moralmente sbagliata, anche perché già il mondo in cui vivono è cupo.
Per quanto abbia amato alla follia prodotti come The Last of Us, o Anna di Niccolò Ammaniti, per rimanere su una produzione italiana molto più grande della nostra, sono consapevole che siano indirizzati ad un target diverso, perché non sono pre teen e nonostante ci sia il racconto coming of age dei protagonisti, si avvicinano da un punto di vista estetico e cinematografico ad altri territori, come The Road, l’adattamento del romanzo di Cormac McCarthy, o La terra dei figli tratto dal fumetto di Gipi.
Questo mondo lo volevamo invece colorato, proprio da un punto di vista fotografico, quindi il lavoro di fotografia raccoglie anche il lavoro fatto con costumi e scenografia a livello di palette. Abbiamo praticamente quasi escluso il verde, e abbiamo poi scelto questi rossi, arancioni, gialli, blu nei colori per le scenografie. I personaggi della serie reagiscono a ciò che stanno vivendo, hanno trovato una chiave. La discarica, in cui passano spesso il loro tempo, è il simbolo del mondo di prima, di cui conserva le tracce, come gli ombrelli che formano una sorta di albero. Marta Marrone (la scenografa di Never Too Late, N.D.R.) con il suo team ha fatto un lavoro incredibile, con pochi mezzi a disposizione si sono inventati uno scenario credibile.
La fotografia doveva essere quindi colorata, per trasmettere la vitalità di questi ragazzi, che paradossalmente è proporzionale e contraria a ciò che gli viene negato. Anche in condizioni complicate, trovano un modo per abitare quel mondo.
I costumi ricordano i volumi e i tagli spaziali da fine millennio e passaggio agli anni ’00
Sui costumi abbiamo riflettuto in modo molto funzionale: ci siamo immaginati il collasso ambientale, cercando di trasformare la povertà dei mezzi in linguaggio. Ci siamo basati sulla filosofia delle tre R, REDUCE; REUSE e RECYCLE.
In questo scenario ci sono le temperature alte, tempeste di sabbia, magari piogge improvvise, i vestiti sono quindi a strati, fatti di materiali tecnici, riciclati da quelli che erano i vestiti dei genitori, e quindi con la costumista Marta Genovese abbiamo creato questo look che è semplice e al tempo stesso distintivo, con la grande intuizione dei respiratori che è nella sceneggiatura sin dalle prime stesure.
Come avete proceduto alla caratterizzazione dei personaggi: ragazzi del futuro ma anche del presente?
Partendo da quelle che erano le bellissime sceneggiature di Federica, Simona e Camilla, che raccontavano questi adolescenti del 2046, e da istanze universali come i primi amori, le amicizie, i primi tradimenti, le ansie, i sogni verso il futuro, siamo andati a lavorare insieme ai giovani attori scelti sui dialoghi, durante le letture del copione, per trovare un linguaggio autentico e reale per la loro generazione.
Ad esempio Jacopo (interpretato da Roberto Nocchi, N.D.R.), il nostro protagonista, è un nerd ma non il solito nerd timido, al contrario, è una persona affamata di vita, e si rivela infatti il motore inconsapevole del nostro racconto. Abbiamo anche cercato, con la casting Florinda Martuciello, di smarcarci da logiche per cui gli attori vengono scelti in base a quanto sono già conosciuti, in base ai followers, volevamo dare possibilità a volti nuovi, attori emergenti.
Come è stato dedicarsi ad un pubblico così specifico e un target spesso difficile da intercettare?
L’ho trovato interessante sotto vari punti di vista, innanzitutto come spettatore che ama quel tipo di racconto. Ho cercato di metterci dentro I Goonies, Stand by Me, la prima stagione di Stranger Things, il primo film di Harry Potter, per il rapporto tra Jacopo e Maria ci siamo ispirati molto a quello tra Harry ed Hermione, ma anche quello tra Dawson e Joey in Dawson’s Creek. Al tempo stesso tra i riferimenti c’era anche il mondo che aveva tratteggiato Spike Jonze nel suo mediometraggio Scenes from the Suburbs e il videoclip GENER8ION: Neo Surf ft. 070 Shake di Romain Gavras.
Perché parlare primariamente a questo pubblico? Perché gli anni prima dell’adolescenza sono un periodo particolare, dove si esce da una dimensione di estensione di una persona adulta, e si comprende non solo la propria individualità, ma il peso delle proprie scelte e la possibilità di influire, nel bene e nel male, su quello che si tocca. La serie poggia su una grande metafora sviluppata da una scrittrice britannica: solitamente pensiamo agli alberi come a qualcosa di individuale, quando in realtà sono interconnessi, interlacciati attraverso un sistema sotterraneo, come se fosse una rete, e comunicano tra loro. Rapportando questo concetto agli esseri umani, ci fa capire che individualmente siamo tutte isole, ma collegate da radici sotterranee, la nostra possibilità di intervento ha delle influenze sugli altri.
Questa è una generazione che in un certo senso denuncia una mancanza di rappresentazione, e citando Rebecca Solnit, questa crisi è in primis una crisi di narrazione. Noi abbiamo provato a dare un megafono a questi ragazzi del 2046 per dire che no, non va bene, non è possibile continuare così e non tutte le scelte degli adulti sono giustificabili.
In un certo senso quindi parla anche agli adulti
Nel nostro piccolo, abbiamo l’ambizione di parlare anche ai genitori, creare una conversazione. La serie non è didascalica, non vuole dare lezioni, bensì parlare del presente. L’attivista e scrittrice Adrienne Maree Brown dice che esiste un elemento di fantascienza nell’azione climatica, che stiamo plasmando il futuro che vogliamo e che non abbiamo ancora vissuto all’interno di una battaglia di immaginazione.
Se guardiamo, sviluppando questo concetto, ad oggi, a questo tipo di narrazione, ci chiediamo: esiste un modo per salvare il mondo? Al di là della visione manichea che prende in considerazione qualcuno dall’alto capace di salvare tutto evitando la fine, su base individuale Adrienne Maree Brown risponde che ce ne sono mille di modi per migliorare le cose, ed è quello che volevamo dire con questa serie.
Ovviamente c’è la grande responsabilità delle generazioni dei padri, e non ci siamo inventati niente, ma rispetto a questa tematica facciamo un’ulteriore considerazione: gli adulti di Never Too Late sono praticamente l’evoluzione dei Fridays For Future di oggi, che diventano genitori, e anche se mossi da motivazioni comprensibili, come l’amore per un figlio, la paura, desiderio di fare la cosa giusta, fanno scelte egoistiche, individuali. Gli adulti sono dei ragazzi che sono cresciuti, fallibili come tutti gli esseri umani, in questo caso non sono riusciti a salvare il mondo, e ciò porta a dimenticare il punto di partenza.
I ragazzi capiscono invece che l’unico modo che hanno di salvarsi, con i rischi e i sacrifici che comporta, è farlo insieme. Ma non sono loro che ci salveranno, e mi preme dirlo perché ci deresponsabilizzerebbe, però sono coloro in grado di insegnarci a migliorare, perché hanno una sensibilità molto diversa, quello che possono fare con tutti gli strumenti a disposizione è aiutarci.
Never Too Late è distopia o drammaticamente possibile?
Never Too Late per me è un distopico neanche troppo distopico, purtroppo, perché i dati ci dicono che c’è un’accelerazione in corso, dell’aggravarsi delle condizioni climatiche. Entro il 2030 avremo un grado e mezzo in più di temperatura, ogni estate supera il record di calore dell’estate precedente, c’è la siccità, le piogge torrenziali, basta pensare a quello che è successo in Emilia in questi giorni o andare a prendere gli uragani in America.
In questo senso ho pensato alla sensazione che ho provato durante la pandemia; la pandemia è stato un mondo distopico, se ci avessero raccontato un mese prima che il mese successivo noi, persone del ventunesimo secolo, ci saremmo trovati chiusi in casa, ad uscire con delle mascherine, a distanziarci, a chiamarci su skype, ad avere il coprifuoco, e il permesso per allontanarsi oltre i 400 metri da casa, non ci avremmo creduto. Però con una grande velocità ci siamo quasi abituati a una certa idea di normalità in quelle condizioni, quindi mi sono detto: in questo 2046 esiste una normalità, e qui vorrei far muovere i protagonisti, che sono abituati a quello che noi abbiamo chiamato green lockdown, in cui la natura è separata dalle persone.
E dove la trasgressione più grande è fare il bagno nel mare
Ma tu pensa i nostri ricordi d’infanzia, con delle scenografie che si ripetono, come appunto la vacanza al mare. Immagina di togliere tutte queste scenografie: non c’è più un prato nei picnic del liceo, non c’è più la campagna dei nonni, non c’è più il mare d’estate, è una possibilità che fa paura. E quindi questo crea un senso di vuoto, da quel punto di vista lì io mi sono immaginato che questi ragazzi si annoiassero molto.
Perché hanno un’età di merda e vivono in un mondo di merda
E nonostante questo trovano il modo di vivere ciò che hanno, come Jacopo, che esce la sera, si inventa un meccanismo per disattivare i chip sotto pelle e prova a costruire una possibilità di fuga. Con Never Too Late abbiamo cercato di esplorare in maniera coraggiosa il presente evitando di indagarlo guardando al passato, ma proiettandolo in un futuro vicino.
Dal 22 Novembre Never Too Late arriva su RAI PLAY. Continua a seguire FRAMED anche su Instagram e Telegram.