Rusty il selvaggio (Rumble Fish)
Rusty il selvaggio (Rumble Fish)

Nel novero dei film sul teppismo giovanile c’è un film imperfetto, intitolato Rusty il selvaggio (Rumble Fish, 1983), e diretto da Francis Ford Coppola.

Un’opera coraggiosa ma piena di difetti che oggi, a riguardarla, lascia un forte senso in inconcludenza. Adattato dall’omonimo romanzo di formazione di Susan Eloise Hinton, è una storia di inadeguatezza e violenza giovanile, che racconta di un ciclo sociale temporalmente fermo nel sottomondo urbano americano. La sua forza sono gli attori: in primis Matt Dillon e Mickey Rourke.

Rusty il Selvaggio, erede senza trono

Rusty James (Matt Dillon) è uno spericolato e impulsivo teppista, fratello minore di “Quello della moto” (Mickey Rourke), re indiscusso del sottomondo teppista di Tulsa, Oklahoma. Insieme ai suoi amici Steve (Vincent Spano), Smokey (Nicolas Cage), B.J. Jackson (Chris Penn), passa le giornate cercando un modo per superare l’ombra imponente del fratello sparito da sei mesi.
Ma quando “Quello della moto” torna, Rusty James scopre che il re del teppismo di strada è profondamente cambiato, pur restando un concetto insormontabile nella bizzarra esistenza di tutti i ragazzi di Tulsa.

Coppola adattò nello stesso anno un altro libro di Susan Hinton, The Outsiders (I ragazzi della 56a strada); potrebbe essere logico comparare il libro con il suo adattamento cinematografico ma non in realtà così fondamentale.

Il dramma dei personaggi di Rusty James e “Quello della moto”, fratelli così diversi eppure così legati, è reso in maniera magistrale dai due giovani attori. Mentre il giovane gonfia la voce e il petto per sembrare più forte e minaccioso, Rourke usa un tono estremamente basso, dosando i gesti come un predatore naturale, rapido e preciso.

Teppismo filosofico

Il sottomondo del teppismo e della criminalità giovanile è stato trattato in modi migliori in molti altri film, tutti molto diversi da Rusty il selvaggio, soprattutto in virtù della sua incompletezza narrativa.

Uno dei peggiori difetti in questo ambito, è il personaggio di Steve, così diverso dall’ambiente di violenza degli altri, di cui non si esplora degnamente il legame che lo unisce a Rusty James. Anche l’effettivo dramma della società ferma, della gabbia sociale che “Quello della moto” vede, detesta, e da cui vuole salvare il fratello, è abbozzato solo in parte.

Si intravede il guerriero mitico delle leggende che Tulsa stessa racconta su di lui, e grazie alla fisicità di Rourke si delinea la figura del saggio folle che ora vede le cose in maniera differente, ma non se ne afferra concretamente l’essenza, rimanendo sempre come qualcosa di vago, elusivo. Lo stile lento e riflessivo del film, girato in pellicola bianco e nero ad alto contrasto con lenti sferiche, segno di una precisa scelta citazionistica (al cinema espressionista tedesco) e artistica, non basta a garantire al film l’agognato taglio epico.

Trattieni e rilascia la tua violenza

Apocalypse Now (1979), al di là del genere completamente diverso, dipinge una società ricolma di una feroce violenza che sguazza allegramente sia nell’assurdo che nel quotidiano dei soldati americani; diventa così un “ritratto della follia”, umana, bellica e sociale.

Rusty il selvaggio doveva essere la controparte urbana di questo “Quadro della follia”. Pur senza avere il respiro epico per durata, il film doveva raccontare l’assurda e selvaggia violenza di questi ragazzi che non hanno futuro né guide, ma che sono incatenati ad un passato eterno che ritorna e perdura sempre, seguendo dunque il mito del ragazzo più grande e più forte su cui si raccontano molte leggende.

Se in Apocalypse Now la leggenda si svela piano piano e solo alla fine appare l’uomo che la incarna, in Rusty il selvaggio è il contrario: la leggenda è subito svelata, visibile e narrata in continuazione, e l’uomo che l’ha creata è presente e vivo per svelarcene gli errori e per cercare di salvare da essa stessa l’unica persona a cui tiene veramente.

Non doveva avere il taglio socio-politico del film sul Vietnam, ma la pervasività filosofica di spiegare questi comportamenti umani attraverso i due fratelli, il mitico e saggio “Quello della moto”, e l’impetuoso e inadeguato Rusty James.

In breve

Naturale prosecuzione sociale e filosofica de I ragazzi della 56a strada, che ha un taglio più umanistico e drammatico in senso classico, Rusty il selvaggio non è un film all’altezza delle sue stesse qualità stilistiche, risultando quasi deturpato, sfregiato di una parte sostanziale di scrittura.

Ma non per questo non dovrebbe rientrare in un ripasso della filmografia di Coppola, poiché rimane un film importante a livello tecnico, artistico e soprattutto recitativo.

“Rusty il selvaggio” (1983) di Matteo Verrocchi

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Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.