Tempo fa si parlava spesso di Humans of New York, quel progetto fotografico che raccontava storie newyorchesi-newyorchesi, in cui chiunque poteva credere anche se pochi avevano anche il privilegio di riconoscere qualcosa di sé, qualcosa che apparteneva solo a quella città, e al proprio posto in essa.
Pilar Fogliati in Romantiche fa un’operazione simile, offrendo al pubblico una commedia intelligente, ben scritta, divertente, bella davvero come non se ne vedevano da tempo in Italia (finalmente!). Ritrae però anche una città che può riconoscersi solo dall’interno, con il sottile piacere che ne consegue per tutti gli spettatori e soprattutto le spettatrici di Roma che senza dubbio conoscono già almeno una persona che somiglia a Eugenia, Uvetta, Michela o Tazia e a tutto il microcosmo che ruota attorno a loro.
In altre parole, Pilar Fogliati è credibile in ognuno dei quattro personaggi che crea, da interprete, regista e co-sceneggiatrice (insieme a Giovanni Veronesi). Sì, perché Romantiche è a tutti gli effetti una sua opera, un esordio potente e ben costruito che mette in luce non solo il talento comico di Fogliati ma anche la sua autoconsapevolezza di capacità e mezzi.
Romantiche è principalmente un film di scrittura. Non mancano le visioni registiche ed estetiche, come l’abbattimento della quarta parete, il piano sequenza finale sulla storia di Eugenia o le scene fra gli ossi di seppia di Uvetta, tuttavia è nella fitta sceneggiatura, in quel che si racconta e come lo si racconta, che raggiunge il suo picco.
La struttura di Romantiche
Romantiche si può definire un film a episodi, quattro momenti ben delimitati in base alla protagonista di turno. Ogni storia – che come suggerisce il titolo contiene anche una relazione – è un cortometraggio a sé, eppure c’è sempre un dettaglio sullo sfondo che la lega alle precedenti, fino a richiudere un ideale cerchio dall’inizio alla fine.
Eugenia
Eugenia Praticò è la fuorisede del Sud, palermitana, con il sogno del cinema, una sceneggiatura in mano da anni e quel senso generale di distrazione, dispersione e disperazione che spesso Roma provoca a chi tenta la vita da artista, come se non arrivasse mai il momento giusto. Il suo luogo d’elezione, ovviamente, è il Pigneto, dove si concentrano tutte le storie, i fallimenti e i piccoli successi quotidiani di una ragazza che, alla trentesima candelina sulla torta, non è ancora disposta ad arrendersi e rinunciare al suo sogno.
Uvetta
Uvetta Budini di Raso è l’aristocratica del centro di Roma, che in città non resta mai più di un paio di mesi all’anno. Viaggia di continuo, sempre ospite da qualche parente o amico ancora più ricco. Gli occhi sgranati e stralunati di Fogliati descrivono bene questo archetipo di romana che non è poi così difficile incontrare in città. La sua alienazione dal mondo è improvvisamente interrotta dal desiderio di fare qualcosa, persino lavorare, e da un incontro speciale al momento giusto (Ibrahim Keshk).
Michela
Michela Trezza è la ragazza di provincia, da Guidonia, sveglia e brillante, solo un po’ ingenua e conservatrice. Sembra che nulla riesca a turbarla, ma a tormentarla è un vecchio amore adolescenziale (Giovanni Anzaldo), mai vissuto e mai sopito, che le instilla dubbi sulle scelte compiute, sulla linearità, la semplicità, a tratti la banalità, della vita che conduce. Pilar Fogliati ci fa sorridere ma mostra anche un fuoco in Michela che solo lei può decidere se alimentare o spegnere, lasciando a noi la riflessione sulle conseguenze.
Tazia
Tazia De Tiberis, infine, rappresenta la ricca borghesia del quartiere Parioli-Roma Nord e quell’arroganza che spesso ne contraddistingue lo stereotipo nella rappresentazione comune. Ha tutto e vuole il controllo su tutto: sul proprio aspetto, sulla vita sentimentale delle amiche e persino sui desideri inconfessati del suo ragazzo (Edoardo Purgatori). La verità è che è sola e trova inaspettatamente spazio di crescita nell’incontro con la sex worker Rula, da cui impara a non basarsi sulle apparenze e soprattutto a rimettere in prospettiva la vita e le scelte compiute fino a quel momento.
…e un filo rosso
In tutti e quattro i casi si tratta di storie di passaggio, di presa di coscienza di personaggi appena trentenni che si affacciano su una nuova fase dell’età adulta, quella in cui spesso le aspettative schiacciano di più.
Non a caso a connetterle è la figura della psicoterapeuta, interpretata da Barbora Bobulova, con cui ognuna ha delle sessioni di terapia. Ed è proprio nella creazione di un fil rouge fra le quattro protagoniste e il pubblico che si trova l’unico difetto del film, se proprio lo si deve dire, poiché con la presenza della dottoressa diventa superfluo il meccanismo social dello scrolling dell’app di Instagram che introduce ogni episodio.
Un dettaglio ridonante, ma anche in questo caso divertente – leggete i nomi dei profili Instagram che scorrono sullo schermo per crederci – che rivela in ogni caso un’inventiva e un’attenzione ai particolari non indifferenti.
Romantiche dunque non è che solo una parte del viaggio di Eugenia, Uvetta, Michela e Tazia, un percorso metaforico alla ricerca di un’altra Sé, un’altra storia, un altro sogno. È bello però farne parte e lasciarsi coinvolgere.
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