Rapito, Foto di Anna Camerlingo. 01 Distribution
Rapito, Foto di Anna Camerlingo. 01 Distribution

Presentato in Concorso al Festival di Cannes 2023, Rapito di Marco Bellocchio in pochi mesi ha conquistato parecchi riconoscimenti: ha superato il milione di incasso alla seconda settimana di programmazione, si è aggiudicato il Globo d’Oro della stampa straniera e sarà in programma al prossimo Toronto International Film Festival (7/17 settembre). La sceneggiatura del film è di Marco Bellocchio e Susanna Nicchiarelli con la collaborazione di Edoardo Albinati Daniela Ceselli e la consulenza storica di Pina Totaro.

Dopo Esterno Notte il regista torna a un formato tradizionale per raccontare uno spinoso capitolo di storia italiana. Popolato di fantasmi e visioni, ma soprattutto di esseri umani accecati da un potere definito divino eppure incredibilmente terreno (nell’accezione più negativa che si possa pensare), Rapito è un horror senza belve o mostri nati dalla fantasia, ma basato su fatti veri in cui la manipolazione è il sortilegio più pericoloso per conquistare la mente di chi non sa difendersi.

Non è un caso che il film abbia avuto una forte risonanza anche all’estero, dove storie così, forse, assumono un fascino diverso, per nulla impregnato dalla vergogna di chi sente più vicina quella verità.

Strappato alla propria vita

1958, quartiere ebraico di Bologna, nella casa della famiglia Mortara i bambini giocano a nascondino prima di essere messi a letto dalla madre (Barbara Ronchi), con cui condividono la preghiera prima di dormire: all’interno del rito, la recitazione dello Shemà Israel, si sentono uniti, parte di una comunità forte, protetti.

Ma neanche la loro religione può proteggerli dall’ossessione di chi sarebbe disposto a sacrificare tutto, pur di segregare chiunque sotto ad un unico credo: così nella a tarda sera un gruppo di soldati irrompe per stravolgere l’equilibrio della famiglia Mortara. Inviati dal Papa, sono incaricati di prelevare il loro bambino di sette anni, il sestogenito Edgardo (Enea Sala), che a quanto dicono sarebbe stato battezzato a loro insaputa, diventando quindi parte della chiesa cattolica e destinato ad essere cresciuto come un cristiano.

I genitori non riescono a capire inizialmente quanto sta per consumarsi, mentre il padre, Momolo (Fausto Russo Alesi), in preda al panico minaccia di gettare il bambino, estremamente impaurito, dalla finestra pur di non darlo ai soldati (decretando così, irreparabilmente, una pericolosa incomunicabilità con Edgardo), Marianna, la madre, lo nasconde sotto alla gonna, come se fosse un riparo magico, e bastasse quel gesto per salvarlo dal rapimento.

Perché di questo si tratta: su volere di Pier Gaetano Feletti (Fabrizio Gifuni), capo dell’ufficio bolognese della Santa Inquisizione, Edgardo viene strappato ai suoi cari senza alcuna pietà. Secondo le norme dello Stato Pontificio, poiché cattolico dopo il sacramento ricevuto, deve essere cresciuto da cattolici.

In un mondo comandato da uomini convinti di avere tra le proprie mani il potere del divino, sapientemente consegnato a loro dall’alto, la libertà personale, culturale e religiosa viene calpestata. La famiglia Mortara inizia quindi ad attirare l’opinione pubblica sull’accaduto, volendo riavere il figlio a tutti i costi. Ma non basta l’appoggio dell’Europa di fronte al volere di papa Pio IX (Paolo Pierobon), ostinato nell’annientamento di chi non siede al tavolo di Gesù, degli ebrei come di chiunque altro non riconosca il suo potere.

Rapito, Foto di Anna Camerlingo. 01 Distribution

Sogni e visioni nel percorso di Edgardo

Sebbene il sovrannaturale sembri permeare ogni tassello della narrazione, non è negli insegnamenti che il bambino riceve la sua rappresentazione più interessante. Mentre il mondo di Dio viene costantemente celebrato, protetto e ricordato nelle preghiere del Papa e dei preti, come in quelle della famiglia Mortara e della comunità ebraica, è nelle visioni inconsce e nei sogni che l’inspiegabile assume forme ancor più affascinanti ed enigmatiche. Come spesso succede nei film del regista, l’onirico ha un ruolo fondamentale, rivelatorio e al tempo stesso trascendentale. Come in Buongiorno, Notte i sogni di Chiara lasciano emergere un ripensamento, un cambiamento che non ha il coraggio di ammettere, un’elaborazione silenziosa, in Rapito quello di Edgardo compensa il terrore e lo spaesamento, salvando Gesù.

In Rapito l’incubo del Papa fa da contraltare violento e incerto al sogno di Edgardo, puro e silenzioso. In preda alla paura di essere sopraffatto dalla vicenda del piccolo Mortara, Pio IX si lascia condizionare dalle vignette satiriche e dagli articoli della stampa (soprattutto estera) che ne affossano l’immagine, sminuendolo e umanizzandolo. Sogna una notte di essere immobilizzato da un gruppo di uomini ebrei, dall’aspetto torvo e minaccioso, entrati di nascosto nella sua stanza per circonciderlo.

Anche Edgardo sogna, si ritrova di fronte a quella figura che fino a qualche tempo prima era per lui sconosciuta: Gesù. Ai piedi di un enorme crocifisso il bambino decide di liberare dai chiodi l’uomo che tutti dicono sia stato ucciso dal suo popolo. Cadono uno a uno sul pavimento di marmo della chiesa, l’uomo finalmente libero scende dalla croce, si guarda intorno, e se ne va. La critica di Bellocchio si esprime in questa scena mettendo a tacere ogni guerra o prevaricazione grazie al limpido ragionamento di un bambino che pone rimedio a qualcosa di cui si sente responsabile, per colpa di una dottrina che sta ormai entrando a far parte di lui.

Attraverso lo sguardo di un bambino

Marianna si fa promettere che, nonostante tutto, Edgardo continui a recitare ogni sera la preghiera, mantenendo il legame con le proprie origini. Ma la percezione del piccolo cambia, un po’ per sopravvivere alla sua nuova casa, e un po’ perché quelle storie, sul figlio di Dio e il suo sacrificio, iniziano a far parte lentamente di lui. Prima impaurito dalla rappresentazione violenta e reiterata di santi e martiri insanguinati, trova poi attraverso un’accettazione inconsapevole la strada per rispondere a tutte le domande che gli si affollano in testa.

La dimensione dello sguardo di Edgardo è la linea guida della percezione che Bellocchio vuole dare ai suoi spettatori. Mentre gli anni si susseguono e le dinamiche di potere cambiano, mettendo la chiesa cattolica in una posizione sempre più difficile, il suo modo di guardare le cose, gli eventi, le persone è la direzione principale della storia. Sarà così fino alla fine, dove un Edgardo ormai uomo combatte tra l’indottrinamento al quale è stato sottoposto e la coscienza del passato: lo scontro tra queste due parti genera reazioni rabbiose e allucinate, che minano il suo equilibrio, deteriorato per sempre.

Rapito, Foto di Anna Camerlingo. 01 Distribution

Come al solito Marco Bellocchio confeziona abili e perturbanti lezioni di storia che rileggono i fatti a favore di una lucida interpretazione di ciò che andrebbe scritto, invece che rimosso. E Rapito riporta a galla una storia vera in cui, come in tante altre, la libertà individuale o quella culturale non hanno importanza di fronte a coloro che gestiscono ogni cosa, compreso il cuore o la mente di chi si ritrova prigioniero di un destino mai desiderato, o un battesimo imposto.

Nel cast anche i bravissimi Filippo Timi nel ruolo del Cardinal Antonelli, Renato Sarti, Paolo Calabresi e Davide Mancini.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.