Una scena di Quattro Figlie di Kaouther Ben Hania

La nostra prima visione di Quattro Figlie (titolo originale: Les Filles d’Olfa) risale a maggio 2023, durante il Festival di Cannes, a cui fanno riferimento anche i virgolettati della regista presenti in questo articolo. Il film è al cinema in Italia con ArtHouse e I Wonder Pictures dal 27 giugno 2024

«Ho quattro figlie. Due sono ancora con me, due sono state catturate dal Lupo», è l’estrema sintesi di Olfa Hamrouni, che introduce così la sua storia nel documentario Quattro figlie di Kaouther Ben Hania, il primo film tunisino a tornare in concorso per la Palma d’oro a Cannes dopo 50 anni (l’ultimo fu Sejnane di Abdellatif Ben Ammar, 1974).

Vincitore del premio al Miglior documentario sulla Croisette, lo scorso marzo è stato in corsa per gli Oscar 2024 e, dopo l’anteprima italiana al Biografilm di Bologna, arriva nelle nostre sale il 27 giugno.

Quattro figlie e il racconto della Tunisia

Kaouther Ben Hania entra, come regista, in un discorso più ampio sul racconto africano contemporaneo, già aperto da una massiccia presenza di cineasti a Cannes e arrivata all’apice con la candidatura di ben due documentari africani agli Academy Awards (il secondo è l’ugandese Bobi Wine: The People’s President) e con la vittoria dell’Orso d’Orso della Berlinale 2024 a Mati Diop per il suo Dahomey.

Una scena di Quattro Figlie
Una scena di Quattro Figlie

Ben Hania lo fa scegliendo un argomento con cui l’Occidente crede di aver familiarizzato nell’ultimo decennio, il terrorismo dello Stato islamico (Isis). Lo fa, tuttavia, ribaltando la prospettiva e costringendo il pubblico a entrare dentro le dinamiche di una famiglia stravolta prima dalla Rivoluzione dei Gelsomini (2010) e poi dall’avvento del Lupo, del Daesh, dentro le mura di casa.

Il Lupo in casa: il Daesh

Fuori dalla narrazione, sospesa nel non detto, rimane una Tunisia impoverita, collassata per il debito pubblico, la corruzione e la disoccupazione e disillusa per le promesse disattese della rivoluzione, per una democrazia che stenta ad affermarsi nonostante la caduta del regime di Zine El-Abidine Ben Ali. In questa cornice migliaia di giovani tunisini tra il 2011 e il 2015 vengono irretiti dal proselitismo dello Stato islamico che promette un’alternativa a ciò in cui la Rivoluzione ha fallito.

È in quegli anni che la Tunisia diventa il Paese di provenienza della maggior parte dei foreign fighters dell’Isis, come confermato dai report delle intelligence statunitensi e del Parlamento europeo (2016).

Al confine fra testimonianza e racconto

Nessuno l’aveva mai raccontato al cinema, non come l’ha fatto Ben Hania in Quattro figlie. Un’opera mista, al confine tra realtà, finzione e sperimentazione narrativa, l’unico modo per narrare una storia che altrimenti farebbe troppo male, senza sottrarla al controllo diretto delle sue protagoniste.

Ben Hania, già nota per L’uomo che vendette la sua pelle (2020), primo candidato all’Oscar in assoluto della Tunisia, costruisce il racconto di fronte agli occhi dello spettatore rendendo subito chiaro che Olfa Hamrouni interpreta se stessa. Non recita davanti alla telecamera ma crede di dare indicazioni che serviranno poi alla vera attrice, Hend Sabri. Sabri, invece, diventa la coscienza del film, la voce interna che interviene nei momenti in cui lo spettatore stesso vorrebbe intromettersi, a chiedere le motivazioni e le intenzioni di Olfa, donna dura e madre controversa, amorevole e brutale.

Olfa Hamrouni e Hend Sabri in una scena di Quattro Figlie
Olfa Hamrouni e Hend Sabri in una scena di Quattro Figlie

Il doppio e lo sdoppiamento in Quattro Figlie

Scena dopo scena lo sdoppiamento di Olfa diventa più familiare, gli sguardi in macchina meno stranianti e ci si accorge che ogni parola pronunciata è la ricostruzione fedele di un fatto reale, anche il più violento.

«Realizzare questo film è stato emotivamente molto intenso, perché sono sempre io la mia prima spettatrice, come spesso accade nei documentari, dove accadono cose non scritte davanti alla macchina da presa», rispondeva Kaouther Ben Hania nei giorni dello scorso festival di Cannes, a una nostra domanda sui dubbi e le scelte compiute nel mettere in scena questa storia. «Quando le ragazze hanno iniziato a parlare delle loro sorelle ho iniziato anche io a piangere e a chiedermi cosa fosse giusto tenere e cosa tagliare. Si tratta della loro vita, è una decisione morale».

Tra il 2015 e il 2016, al tempo dei fatti narrati, Rahama e Ghofran erano adolescenti, Eya e Tayssir bambine. Quattro figlie, quattro sorelle. La regista non racconta come il Daesh entra nella loro quotidianità, ne mostra solo le conseguenze attraverso i ricordi e le ricostruzioni sceniche, come fosse uno spettacolo teatrale: le prove per indossare l’hijab, la radicalizzazione, il rifiuto di tutto ciò che era la loro vita precedente, sotto lo sguardo prima fiero e poi terrorizzato di Olfa. 

Una tragedia personale e collettiva

Ben Hania lascia che siano le due figlie minori a spiegare alle due attrici, che interpretano le sorelle scomparse, cosa è accaduto prima del loro definitivo arruolamento, svelando poco a poco la tragedia personale e collettiva di cui si sono ritrovate protagoniste.

I nomi e i volti di Olfa, Rahma e Ghofram per anni hanno infatti popolato la televisione tunisina, diventando simboli di una lotta tragica che interroga e sollecita il pubblico fin dal primo minuto, quella di una madre-Antigone contro l’opinione pubblica, lo Stato e la legge internazionale per riavere le sue figlie in Tunisia e per garantire loro un processo fuori dai confini della Libia, dove sono state incarcerate dopo un blitz statunitense.

Le sorelle terroriste, così come i notiziari si riferivano alle ragazze, sono le grandi assenti di questo dramma, ma è il vuoto che lasciano a dare senso al racconto e alla sua forma, così anomala nel panorama cinematografico, in cui la realtà dialoga continuamente con la finzione.

Quattro Figlie
Una scena di Quattro Figlie

Kaouther Ben Hania mostra determinazione e coraggio nel voler andare fino in fondo a questa storia, costruendola da diversi punti di vista, tutti femminili, in un contesto, come quello della radicalizzazione islamica, dove alle donne non è concesso alcuno spazio mediatico.

Dalle parole di Olfa e delle sue figlie si impara a capire da vicino, cos’è stato l’Isis nel suo momento di massima diffusione e i motivi economici e sociali che ne hanno permesso un’infiltrazione così capillare. Non è uno sguardo occidentale né aderente alle rappresentazioni dominanti, eppure è riuscito a penetrare sottopelle in uno dei Festival più prestigiosi ed eurocentrici del mondo, in uno dei Paesi più colpiti dal terrorismo islamico, trovando subito decine di distribuzioni internazionali. Fino ad arrivare agli Academy Awards, espressione massima del cinema occidentale.

È il segnale di qualcosa di straordinario, la capacità del cinema di dare sempre nuova forma a convinzioni e visioni.

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