“Ancora Pinocchio?”, “Non hanno niente di nuovo da inventare?” sono solo alcuni dei commenti alla notizia dell’adattamento Netflix di Guillermo Del Toro, che quest’anno si aggiunge anche a quello Disney di Robert Zemeckis. Molti pensano che sono state fatte fin troppe versioni dell’altissimo romanzo di Carlo Collodi. Altri ancora riportano alla memoria collettiva come insuperabile l’amatissimo Pinocchio di Luigi Comencini, andato in onda su RAI Uno in forma di miniserie nel 1972.
Certo, il Pinocchio di Comencini era senz’altro uno dei più fedeli al testo originale, un capolavoro senza tempo. Guillermo Del Toro tuttavia ha scelto di rileggerlo in una chiave nuova, più attuale, a partire da un diverso contesto: non più l’Italia post-unitaria ma quella della Seconda Guerra Mondiale.
Una scelta azzardata ma azzeccata
Pinocchio è un racconto italiano. Certe situazioni risultano subito comprensibili a noi italiani, perché conosciamo la nostra cultura e la nostra storia. Il pubblico internazionale non può comprendere fino in fondo il senso di smarrimento dettato dall’unificazione italiana. Non può capire quei contadini e quei paesani che di punto in bianco si sono trovati parte di un Tutto che prima di allora non esisteva. Ed è così che Del Toro traspone il romanzo di Collodi dal particolare all’universale.
Se l’Unità d’Italia è un evento che ha portato gli italiani in un nuovo mondo, la Seconda Guerra Mondiale ha portato tutto il mondo in una nuova realtà. Il senso di smarrimento e di abbandono che si avverte in Pinocchio permane.
Cosa cambia oltre al contesto storico
La Fata Turchina non c’è più. È sparito quel concetto tradizionale di madre che si prende cura del figlio, anche se in modo un po’ brusco. Anche perché Geppetto vale per due. La Fata Turchina viene rilevata a un Deus ex Machina con le sembianze di un Serafino, che fa da contraltare a un altro essere con il suo stesso volto: una Sfinge che controlla la morte.
Il Pinocchio di Guillermo Del Toro riesce così a essere mistico ed incredibilmente umano al tempo stesso. Geppetto non è più quella figura idealizzata del romanzo. È un uomo con problemi, passioni ed emozioni. È un essere umano e, come tutti, a volte sbaglia. Non capisce subito Pinocchio, perché il ragazzino è un prodigio scolpito nel legno. Una marionetta che improvvisamente prende vita e deve imparare tutto del mondo. Pinocchio non è disobbediente, è ingenuo. Non è egoista, è solo curioso ed entusiasta di indagare quel magico posto che è il mondo.
Il problema è che un simile miracolo non può essere compreso in una realtà modesta come quella del villaggio di Geppetto. La gente lo addita come un demone, viene emarginato e additato come “diverso”. Oltre a chi vuole lucrare su di lui, gli unici che riescono a comprenderlo sono degli emarginati a loro volta.
Il primo è il Conte Volpe, che non solo diventa la versione antropomorfa della Volpe, ma sostituisce anche Mangiafuoco. È colui che vuole lucrare su Pinocchio senza nessuno scrupolo, in parte perché è guidato dalla disperazione (il suo circo si sta avviando verso il fallimento), in parte per semplice avidità. Con lui c’è Spazzatura, la scimmia ammaestrata che prende il posto del Gatto e riesce a comunicare con Pinocchio solo tramite i burattini, di cui muove i fili.
Spazzatura riesce a capire Pinocchio, così come il Grillo Parlante, che è molto diverso da quella figura irritante e spocchiosa che compare nel romanzo.
Ma è giusto così: perché nel libro di Collodi il Grillo è la voce della coscienza e a nessuno piace sentirla. Qui, invece, il Grillo altri non è che un semplice insetto, costretto dalla “Fata” a fare da coscienza a Pinocchio.
Altra figura fondamentale: Lucignolo.
Lucignolo è un personaggio indagato in profondità. Già nel libro si poteva intuire che figura malinconica fosse. Del Toro ha il dono di rendere esplicito ciò che nel romanzo è delicatamente sottinteso. Lucignolo è un ragazzo fragile, che si sente inadeguato. All’inizio fatica ad accettare Pinocchio solo perché è condizionato dallo sguardo malevolo degli adulti. Quando riesce davvero a guardarlo negli occhi, comprende che ha davanti solo un ragazzino solo come lui. Non c’è malizia negli occhi di un bambino. E un bambino ne vede un altro per ciò che è davvero.
E lo stesso fanno Geppetto, il Grillo e Spazzatura. Nella loro apparente semplicità, loro riescono a vedere oltre il duro legno di pino e riescono, finalmente, a leggere l’anima pura e candida di un ragazzo che vorrebbe solo essere accettato.
E alla fine, anche Pinocchio riesce ad accettarsi per ciò che è: non deve fingere di essere qualcun altro. Lui è perfetto esattamente così com’è.
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