Orvieto Cinema Fest 2024 si è concluso dopo una settimana di eventi che hanno coinvolto tutta la città dal 22 al 29 settembre. Tutti i vincitori di un concorso sempre più internazionale, che si è confermato appuntamento amato dal pubblico, con un’attenzione multidisciplinare ad attualità e ambiente.
La settima edizione
Una settimana ricca di emozioni, che ha visto la città di Orvieto accogliere appassionati di cinema, artisti e giovani registi, confermandosi come uno dei festival di cortometraggi più interessanti del panorama italiano.
ll festival ha proposto un’ampia selezione di opere provenienti da diversi paesi, affrontando con sensibilità e profondità temi attuali come l’ambiente, la convivenza tra culture, e le sfide personali e collettive. Le serate di proiezione, che si sono tenute in una location suggestiva come il Teatro Mancinelli, hanno visto una presenza costante in sala, dimostrando l’interesse crescente del pubblico per il cinema indipendente e la grande qualità delle opere in concorso.
L’Orvieto Cinema Fest non è stato solo un’occasione per celebrare il talento dei filmmaker emergenti, ma anche un punto di incontro tra discipline artistiche, come dimostrato dalle numerose iniziative parallele, tra cui la mostra video-fotografica The Ice Builders e la collaborazione con realtà sociali attive sul territorio come il progetto “Inter-azioni”. Ecco di seguito i corti vincitori, annunciati sabato 28 alla presenza di Boris Sollazzo, che ha presieduto la cerimonia, e della giuria composta da Carlo Sironi, Paolo Fossati e Liliana Fiorelli.
I premi
- Il primo premio della Giuria composta da Carlo Sironi, Paolo Fossati e Liliana Fiorelli va a Bye bye Turtle di Selin Öksüzoğlu
Il ritratto scanzonato e dolente di un piccolo villaggio e di due donne, l’una giovane e l’altra ancora bambina che non possono nè fuggire nè tornare. Il racconto riesce a far intravedere cosa comporta sentirsi figlie e le contraddizioni di una nazione vastissima attraverso una storia intima e apparentemente molto piccola e lo fa con una grazia e una gioia inusuali.
La recensione di Silvia Pezzopane
Due figlie, due ritorni, due storie parallele che si incontrano su altipiani deserti ricoperti di nebbia e silenzio. Inci, una bambina che si allontana da casa per lasciarsi alle spalle la malattia della madre, incontra la giovane donna Zeynep, che lontana da casa ha trascorso gli ultimi anni ed è tornata per andare a trovare suo padre e portargli un regalo.
Dalla mattina alla sera, in Bye bye turtle le due viaggiano senza fermarsi, e nonostante l’età e le diverse esperienze hanno sensazioni affini, solitudini complesse. Si incontrano su note nostalgiche, quelle di una colonna sonora che incornicia femminilità prigioniere, luoghi vasti che in realtà si stringono come gabbie attorno alle due protagoniste. Presentato alla scorsa Berlinale, il cortometraggio di Selin Öksüzoğlu sorprende per il suo ritmo dolce e cadenzato, che conquista.
- Il secondo premio della Giuria composta da Carlo Sironi, Paolo Fossati e Liliana Fiorelli va a Four Holes di Daniela Muñoz
Un ritratto genuino, innovativo e sorprendentemente emozionante di un rapporto padre-figlia che provano a conoscersi più a fondo e riscoprire origini e punti di contatto. L’incontro in un luogo caro al padre con un linguaggio caro alla figlia alla ricerca di un modo di raccontarsi comune e dirsi “ti voglio bene” in un modo originale.
La recensione di Silvia Pezzopane
Four Holes nasce dal desiderio di ritrarre le abitudini di José, uomo anziano con la passione per il golf, che trova nelle sua vita attuale tutto ciò che può desiderare, senza volere nulla di diverso. L’incontro tra regista e protagonista è empatico e a tratti divertente, i due sono legati da simili problematiche di udito, e questo crea dei malintesi di comprensione, ma soprattutto un intesa colma di tenerezza e considerazione, dentro e fuori le riprese.
Lo stile di Daniela Muñoz Barroso è originale e sperimentale: mette in scena il ricordo di un passato, ma anche gli scenari del presente, i rumori e i colori, gli spazi in cui un uomo carismatico come José trascorre le sue giornate scandite da giardinaggio, golf, sport da guardare in TV. Mostra le sue foto, quelle del servizio militare nel Sahara, si sofferma su alcuni scatti, felice di quel passato che lo vede giovane. Adottando una comunicazione che fa del cinema nel suo divenire il tratto distintivo, la regista documenta una vita in pochi minuti, il tempo di fissare una giornata di sole, il suono delle palline, la voce di José.
- Il terzo premio della Giuria composta da Carlo Sironi, Paolo Fossati e Liliana Fiorelli va a In the waiting room di Moatasem Taha
Un figlio e una madre, sospesi in un’attesa ospedaliera simbolica, in equilibrio sulle sfide della Storia. Quando il cinema di breve formato incontra una spiccata profondità di sguardo, si fa ponte tra vicende private e universali. È così che un piccolo film, grazie a un’attenta scrittura, può consentire un respiro ampio, trascendere i limiti del tempo, farsi cura.
La recensione di Valeria Verbaro
Hussien, giovane uomo palestinese, accompagna la madre Rashida in un ospedale israeliano per un controllo. Per tre mesi l’anziana donna non è uscita di casa, onorando come da tradizione il lutto per la morte del marito. Mentre però Hussien è costretto a lavorare al computer per una scadenza imminente, Rashida tenta di socializzare come può, parlando solo arabo e non ebraico.
Comico nei toni, nei dialoghi, nelle interazioni e nelle interpretazioni, In the Waiting Room diventa in realtà un corto drammatico se guardato senza mai perdere di vista il contesto. Rashida è una donna anziana costretta a capire una lingua che non le appartiene, ma che parlano le istituzioni. E non si tratta di una semplice barriera linguistica. Nonostante la cordialità dei personaggi israeliani in quella stessa sala d’attesa, il torto che subisce Rashida, costretta a portare con sé il figlio per fare da interprete, è molto più profondo. E lei stessa lo sottolinea rifiutandosi di parlare ebraico da oltre 70 anni. Dal 1948.
- Menzione speciale a Yuching Tsai, attrice del corto Peipei
- Menzione speciale a Il burattino e la balena di Roberto Catani
- Il Premio SNCCI va In the Waiting Room di Moatasem Taha
- La Giuria SNCCI ha conferito la menzione speciale a Z.O. Zona orientale di Loris G. Nese
Per la capacità di raccontare in modo chiaro e lucido la storia e l’identità dei quartieri marginali, in cui si snodano le vite dei giovani protagonisti in bilico tra un passato difficile e il desiderio di un futuro diverso. Attraverso differenti linguaggi, il documentario e l’animazione, l’opera riesce a far emergere luci e ombre delle periferie di Salerno legate a segreti e faide tra clan.
La recensione di Emanuele Bucci
«Una non-città, quasi di cartone»: così viene definita, nel vecchio reportage che apre Z.O. di Loris G. Nese, l’altra Salerno. Non quella del centro storico, ma quella della speculazione edilizia, un agglomerato di palazzoni nati e cresciuti caoticamente, orfani di passato e di servizi pubblici e sociali che garantiscano un presente, e un futuro. Viene da lì il protagonista, che rievoca la sua storia (narrata dalla voce ruvida di Francesco Di Leva), tra i sogni calcistici della Salernitana alla fine degli anni ’90 e gli incubi di un’infanzia già sporcata dalle faide criminali dei padri.
Da documentario d’archivio, allora, il corto si fa (anche) memoriale noir del Purgatorio di una coscienza nell’Inferno della società. Con la rabbia in bianco e nero de L’odio di Kassovitz e l’espressionismo della Gomorra di Garrone, ma in un’animazione che ricorda i carboncini graffiati di Simone Massi, onirici e crudamente materici a un tempo. C’è tutto questo nel teatro delle ombre di Z.O. Dove il discorso su una realtà e una vita si fa esperienza visiva, e quel buio che nutre e minaccia di inghiottire i personaggi rimane attaccato addosso.
- l premio Giuria Giovani va a Palestine Islands
Come giuria giovani abbiamo scelto di premiare il cortometraggio Palestine Island per la capacità di raccontare con originalità, delicatezza ma anche profondità una storia di speranza in un contesto di conflitto. La fotografia e la regia ci immergono nella storia, nei sentimenti dei personaggi, nei loro legami e anche nel contesto in cui vivono creando un forte impatto emotivo. Inoltre lo abbiamo scelto per l’attualità del tema che affronta, del dolore causato dalla guerra ma anche dell’impossibilità fisica e simbolica di superare i confini imposti. Confini che la protagonista con la sua immaginazione supera, ricordandoci che, dove i muri dividono, l’arte può creare una via per sognare e costruire un futuro diverso.
Recensione di Valeria Verbaro
Le isole a cui fa riferimento il titolo sono i campi profughi come quello di Balata, dove il film è ambientato. Prigioni a cielo aperto, in cui il popolo palestinese non è mai completamente libero di muoversi. Maha, come altri adolescenti, prova a vivere ignorando il muro che separa la sua gente dalla sua vera casa (Jaffa, in questo caso), fino a quando viene scossa dalle condizioni di salute del nonno. Cieco e malato, l’anziano uomo desidera rivedere il mare un’ultima volta prima di morire, ma non può perché significherebbe andare al di là del muro israeliano.
Inizia qui la complessa e un po’ disperata messa in scena di Maha che, grazie a un registratore e alla voce di un amico, prova a far credere al nonno che l’occupazione sia finalmente finita. È un piano impossibile, eppure nella sua ingenuità mette in evidenza la brutalità di uno stato occupante che tiene sotto scacco un’intera popolazione, costringendola a vivere esistenze sospese, in isole sulla terra.
- Il premio Miglior colonna sonora assegnato da Isaac Cugini, GDMusic, va a Almost forgotten
FRAMED Magazine è media partner dell’Orvieto Cinema Fest 2024, seguici su Instagram e Facebook. C’è anche il canale Telegram aggiornato quotidianamente per scoprire i cortometraggi in concorso. I daily del festival sono a cura di Silvia Pezzopane, Valeria Verbaro, Emanuele Bucci e Francesco Gianfelici.