L’Orvieto Cinema Fest 2024 torna dal 22 al 29 settembre 2024 con un ricco concorso internazionale di cortometraggi. Anche quest’anno ve lo raccontiamo su Framed Magazine con una selezione quotidiana di film in programma.
I cortometraggi che abbiamo visto all’Orvieto Cinema Fest 2024 il 26 settembre
Sopa Fria di Marta Monteiro (Portogallo, 10′)
Il racconto di ricordi e prigioni (fisiche e mentali), la memoria di una reiterata violenza domestica in un tempo in cui parlarne non era una cosa comune (o ammissibile). Marta Monteiro con il suo Sopa Fria (ispirato a Sopa, dell’illustratrice Joana Estrela), realizza uno scenario animato che si popola di personaggi bidimensionali e senza volto, e ritagli di fotografie, oggetti tridimensionali che dovrebbero suggerire calore domestico, ma che invece, volutamente, stridono con lo squilibrio dei rapporti umani.
La narratrice ripercorre la sua vita, il rapporto con il marito e i figli, la disparità nella coppia e la sensazione di annegare. L’acqua è un elemento che torna, come se la donna fosse immersa in un oceano denso dal quale non riesce ad emergere, allo stesso modo la casa, con gli spazi che le si stringono addosso, comunica la difficoltà soffocante di vivere in una realtà dalla quale sembra impossibile fuggire.
L’animazione è un veicolo potente e riuscito per trasmettere l’insofferenza e la sottomissione di una donna vittima di un matrimonio sbagliato, che solo nella totalità del nero riesce a riprendere fiato.
Silvia Pezzopane
Viaje de Negocios di Gerardo Coello Escalante (Messico, 13′)
La felicità è un attimo, che spesso si nasconde prima che la verità la faccia svanire. Il piccolo Daniel lo scopre a sue spese, quando il coloratissimo e vistosissimo paio di scarpe che arriva da “un viaggio di lavoro” del padre al Six Flags si trasforma nella prova di un doppio tradimento. Non è un pezzo unico né è speciale, come pensava Daniel. Non è nemmeno qualcosa che il padre ha acquistato pensando a lui, ma solo un modo per farsi perdonare l’assenza nel fine settimana.
Simpatico, brillante e d’un tratto drammatico, come solo un’emozione improvvisa dei bambini sa essere, il film di Gerardo Coello Escalante racchiude bene un sentimento complesso. Fatto sì di gelosia, ma anche di desiderio di essere visti di più, amati di più. E meglio, anche (e soprattutto) da bambini.
Palestine Islands di Nour Ben Salem e Julien Menanteau (Palestina, 22′)
Le isole a cui fa riferimento il titolo sono i campi profughi come quello di Balata, dove il film è ambientato. Prigioni a cielo aperto, in cui il popolo palestinese non è mai completamente libero di muoversi. Maha, come altri adolescenti, prova a vivere ignorando il muro che separa la sua gente dalla sua vera casa (Jaffa, in questo caso), fino a quando viene scossa dalle condizioni di salute del nonno. Cieco e malato, l’anziano uomo desidera rivedere il mare un’ultima volta prima di morire, ma non può perché significherebbe andare al di là del muro israeliano.
Inizia qui la complessa e un po’ disperata messa in scena di Maha che, grazie a un registratore e alla voce di un amico, prova a far credere al nonno che l’occupazione sia finalmente finita.
È un piano impossibile, eppure nella sua ingenuità mette in evidenza la brutalità di uno stato occupante che tiene sotto scacco un’intera popolazione, costringendola a vivere esistenze sospese, in isole sulla terra.
Valeria Verbaro
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