Al centro di un’estate all’insegna del ritorno in sala, Oppenheimer di Christopher Nolan si è conteso la scena con Barbie di Greta Gerwig negli Stati Uniti con una distribuzione in contemporanea, attirando anche l’attenzione di chi, come il pubblico italiano, doveva aspettare ancora settimane.
Quel momento è arrivato, il nuovo film di Nolan è al cinema, ma non lasciatevi incantare dall’IMAX, dietro c’è un buon biopic ma non è necessario urlare al capolavoro: dove Nolan aveva la possibilità di osare, ha scelto di rimanere in una safe zone sfruttando elementi classici per un buon film biografico che si addentra nella Storia recente, limitandosi però solo a questo. I pregi dell’opera stanno nella tecnica, per apprezzarla però serve la profondità della sala cinematografica e la mancanza di pretese di assistere a qualcosa di irripetibile prima di entrare.
Le previsioni su Oppenheimer e la spocchia di Nolan
Per chi si aspettava uno stravolgimento dello sguardo in termini di fascinazione e attrazione, Oppenheimer potrebbe essere una delusione; almeno personalmente, insoddisfatta in precedenza da Tenet, con la sua sceneggiatura pretenziosa e ingarbugliata, e Dunkirk, mosso da forti ideali ma debole nella resa, prevedevo per un soggetto come quello di Oppenheimer un grande ritorno alla magia degli incastri, narrativi e visivi, con cui Christopher Nolan ci aveva incantato con Memento, The Prestige, Inception. La stessa che aveva ridotto in brandelli per Interstellar, esasperandola. La previsione era che, come dalle ceneri di una fenice, l’incantesimo sarebbe tornato a bruciare, scrollandosi di dosso un po’ di quella arrogante ridondanza maturata negli anni.
Oppenheimer non è nulla di tutto questo: è un bel film, perché sarebbe una bugia affermare il contrario, ma nella sua costruzione si fatica a scorgere le qualità del capolavoro o, se questa parola sembra troppo ingombrante anche a voi, del film indimenticabile poiché risultato di una qualche piccola rivoluzione, narrativa, visiva o concettuale che fosse. Anche un biopic può essere veicolo di affascinanti innovazioni, ma non è questo il caso (purtroppo).
La fascinazione dell’essenza delle cose (ma solo all’inizio)
Da un regista come Nolan e da una figura come Robert Oppenheimer (Cillian Murphy) ci si aspettava un racconto volutamente sopra le righe, una lettura sconvolgente, una vera e propria esplosione narrativa. Tutto ciò viene promesso all’inizio, nei primi momenti che descrivono l’ascesa del giovane fisico partendo dagli studi all’università. La struttura invisibile della fisica irrompe nei pensieri del giovane Oppenheimer tenendolo sveglio di notte, abbagliandolo con la sua forza dirompente.
Se il regista riesce ad impressionarci con luminosi flash di elaborazioni mentali e sogni di un uomo immerso nella scienza della materia al limite della sanità mentale, rientra poco dopo nei binari tranquilli di una descrizione meno visionaria. Lo sguardo si assesta dedicandosi ad un biopic classico, privo di coraggio, ben fatto sì, ma con la tendenza a comunicarsi retorico, tanto da volgere il pensiero ai più classici dei film biografici, patinati e conformi, lasciando che lo spettatore si senta quasi colpevole a tornare con la memoria a A Beautiful Mind e alla descrizione artefatta del “genio” (senza nulla togliere al film di Ron Howard che è figlio del suo tempo).
Ciò a cui si poteva rinunciare
Il regista ripone la sua fiducia in una serie di scelte che vanno ad appiattire la resa del film, come la smania di raccontare tutto senza la priorità di raccontare il protagonista: perché di fatto si rimane senza aver appreso completamente la psicologia di Robert Oppenheimer. Mentre ogni tassello si assesta in un puzzle storico, le emozioni del personaggio principale si sciolgono in un paio di visioni post esplosione (prevalentemente poco ispirate) e in qualche sguardo sconvolto, senza affrontarne l’enigmaticità.
Anche qui Nolan cede all’ossessione di voler scombinare il passato e il presente e si serve del bianco e nero e del colore per differenziare i momenti: la scelta, didascalica seppur caratterizzata da una splendida fotografia, si perde nella sceneggiatura che finisce con lo scombinare la divisione in un flusso che dovrebbe lasciarle confluire, ma che di fatto provoca solo un’evitabile confusione.
Dulcis in fundo: Albert Einstein. Costituisce sempre un rischio dare corpo ad un personaggio talmente radicato nel nostro immaginario che ogni rappresentazione ci sembrerà ridicola o sottotono, esagerata o fuori luogo. Questo accade per l’Einstein che si confronta con Oppenheimer nel film (interpretato da Tom Conti); c’è qualcosa di sbagliato in quei vestiti, quei gesti, quelle espressioni, qualcosa che rientra nel disegno di biopic comfort zone intrapreso stavolta da Nolan.
Ciò per cui non perderlo al cinema
Sebbene non vinca dal punto di vista narrativo, Oppenheimer di Christopher Nolan ha grandi pregi su un altro fronte che riguarda le emozioni più dirette, che arrivano ancor prima della comprensione delle immagini.
Ad emozionare a livello sensoriale è la gestione del sonoro, che vibra dentro più degli avvenimenti mostrati. Le esplosioni non vengono mostrate, neanche durante le prove generali a Los Alamos, si percepisce il forte calore, la luce accecante, gli effetti devastanti, ma prima di ogni valutazione arriva la potenza del sound design, che rimbomba violento nella cassa toracica, nello stomaco, provocando un coinvolgimento puro nel suo essere primitivo. La colonna sonora di Ludwig Göransson si compenetra al sound design dei rumori della bomba, che vista attraverso gli occhi degli altri fa ancora più paura. Per goderne totalmente la visione in sala è fortemente consigliata.
A non passare inosservato è anche l’incredibile mosaico di attori e attrici, primo fra tutti Cillian Murphy, così simile al vero “Oppie” negli scatti di Philippe Halsman, così come Robert Downey Jr, nel ruolo di Lewis Strauss, con una delle più intense interpretazioni della sua intera carriera fino ad ora. Lo stesso vale per Emily Blunt e Florence Pugh, vittime di una caratterizzazione estremamente grossolana, eppure brillanti.
In breve
Oppenheimer di Christopher Nolan è un buon biopic ma non merita di essere osannato: uscendo dalla sala ci si chiede perché il regista non abbia insistito su dettagli silenziosamente brutali invece di imboccarci con una serie di trovate didascaliche.
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