La Confessione di Nicola Sorcinelli. Cattleya, Nieminen Film
La Confessione di Nicola Sorcinelli. Cattleya, Nieminen Film

La Confessione è il cortometraggio di Nicola Sorcinelli, scritto insieme ad Andrea Brusa e interpretato da Romana Maggiora Vergano e Andrea Arcangeli, presentato in concorso in Cortometraggi Panorama Italia alla 22ª edizione di Alice nella Città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma.

La fine del mondo è lo scenario della fine di un altro mondo: quello personale, il corso di una relazione. La sofferenza privata, i dubbi, prevalgono sulla catastrofe universale, annientando il senso di pericolo e amplificando invece il proprio malessere e la malinconia di un amore che sta per finire. Abbiamo fatto qualche domanda al regista Nicola Sorcinelli.

L’intervista

Perché ambientare la fine di un amore in un altro tempo e all’alba di un’apocalisse?

Ne La Confessione la fine del mondo ha diverse valenze, diversi significati per me. Il primo, e se vuoi il più didascalico (lo dico in un’accezione positiva) è sicuramente paragonare la fine di un amore alla fine del tuo mondo, almeno in quella parentesi che noi raccontiamo, quella bolla che si crea quando un dolore di quel tipo diventa così totalizzante da non vedere quello che hai intorno. Quel dolore diventa l’unica cosa che conta in quell’istante.

E qui subentra la seconda valenza dell’apocalisse: ci serviva per esaltare, esasperare il fatto dell’isolamento, quella confessione, quella dichiarazione, quella fine di un amore è talmente ingombrante da creare un distacco dalla realtà per cui anche la fine del mondo passa in secondo piano.

E poi c’è una terza valenza, per me, che però rischia di spoilerare un po’ il finale, ma in realtà se hai vissuto un’esperienza di questo tipo, ovviamente mi riferisco alla fine di un storia, quei meteoriti che noi settiamo in modo così eclatante per tutta la durata del film, alla fine quello che arriva davanti ai nostri personaggi è un qualcosa di più piccolo, delicato, lontano e quindi più accettabile. Di quel dolore che sembra così estremo poi, col tempo, con uno sguardo più maturo, riesci ad accettare anche i lati più teneri. 

La scelta di ambientarlo in un’epoca passata lo rendeva più universale. L’amore e quel tipo di dolore non credo siano mai cambiati nel corso dei secoli. Aggiungo anche un’altra cosa, nella fase della creazione di un mondo, ovviamente, sono intervenute tutte le mie passioni e ispirazioni, per creare qualcosa che mi appartenesse totalmente. 

In pochi minuti assistiamo alla rappresentazione di un sentimento incredibilmente intenso. Come hai lavorato sui dialoghi e sulla direzione degli attori in questo senso?

Grazie mille innanzitutto! Per quanto riguarda i dialoghi con Andrea Brusa abbiamo cercato di riassumere quelle che potevano essere le varie fasi emotive all’interno di un momento come questo. Ovviamente scavando anche in momenti personali vissuti da entrambi. Ci siamo resi conto che ci sono dei passaggi abbastanza comuni che si ripetono all’interno di situazioni come queste. L’estrema paura iniziale. Paura di far soffrire l’altro. La non accettazione che si trasforma in rabbia, per poi trasformarsi in tenerezza, per sfociare poi in animalità e passione e tornare alla dolcezza e alla ricerca di un’accettazione.

In preparazione alle riprese, abbiamo dedicato del tempo a esplorare il testo attraverso diverse letture. Sul set, abbiamo continuato a lavorare sui personaggi anche con l’uso della musica che è uno strumento che ho sempre ritenuto fondamentale nel lavoro con gli attori. La location straordinaria di Campo Imperatore ha certamente contribuito a creare un’atmosfera magica, favorendo la concentrazione e la creatività di tutti.

Come hai scelto i due (eccezionali) interpreti?

Romana e Andrea sono sicuramente due dei più bravi attori della loro generazione. Quindi non ho avuto tanti dubbi nel proporgli questa storia. 

Il contrasto tra personale e universale richiama quello che Lars Von Trier aveva raccontato con Melancholia. È tra le tue ispirazioni?

Forse inconsciamente. Lars Von Trier riesce a raccontare il senso della fine in modo eccelso. Melancholia è un film straordinario quindi avvicinarmici in qualche modo anche solo come ispirazione mi spaventa, anche perché lì l’apocalisse ha un significato molto più complicato e difficile.

Nicola Sorcinelli. Foto di Alessandro Cantarini

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.