I can’t pay no doctor bills, But whitey’s on the moon, Ten years from now I’ll be payin’ still, While whitey’s on the moon. Recitava così Gil-Scott Heron nella sua celebre spoken word del 1970, una denuncia sociale in forma di poesia che torna subito alla memoria di fronte a un film destinato a farsi ricordare, Nickel Boys.
Non solo perché il regista RaMell Ross la cita – consapevolmente o meno – in una sequenza fondamentale, ma perché esattamente come in quelle strofe di oltre cinquant’anni fa, in questo film c’è la potenza e la libertà stilistica del componimento poetico dentro una grammatica prestabilita (quella del cinema). E dentro un contesto storico molto preciso, apparentemente conosciuto, ma che nasconde ancora orrori e segreti.
Ispirato a una storia vera e tratto dall’omonimo romanzo premio Pulitzer di Colson Whitehead (in Italia edito da Oscar Mondadori come I ragazzi della Nickel), arriva in anteprima italiana come film di apertura di Alice nella città 2024, dopo aver conquistato Telluride e New York Film Festival.
Perché è importante la trama di Nickel Boys
Florida, metà degli anni Sessanta. Elwood Curtis (Ethan Herisse) è un adolescente afroamericano tranquillo, educato e studioso. Abbandonato sia dalla madre che dal padre, trova nella nonna Hattie (Aunjanue L. Ellis-Taylor) il suo primo grande punto fermo. Il secondo è il reverendo Martin Luther King. Conosce infatti a memoria tutti i discorsi di cui riesce a trovare le registrazioni. È At Zion Hill, tuttavia, quello che gli permette di rispondere alla più importante domanda su se stesso, sul perché non riesca a tollerare le ingiustizie. Anche se farlo, a volte, potrebbe salvargli la vita.
“Dobbiamo credere nel profondo dell’anima che siamo qualcuno, che siamo importanti, che meritiamo rispetto, e ogni giorno dobbiamo percorrere le strade della nostra vita con questo senso di dignità e importanza“. Queste sono le parole di King che già Whitehead sceglie di riportare nel romanzo, per descrivere Elwood, e che RaMell Ross cita con la stessa precisione, nascondendo brevemente sullo sfondo di una scena anche la copertina dello storico vinile. E non è un semplice dettaglio, è la chiave per capire davvero il personaggio.
Elwood, infatti, pur non avendo mai commesso un crimine viene ugualmente condannato dalla società, perché nero. Accusato ingiustamente del furto di un’auto, finisce dentro la Nickel Academy, riformatorio in cui – come molti altri – viene torturato e vessato, psicologicamente e fisicamente. La sua unica speranza resta sempre quella di poter chiedere giustizia per tutto il male subito.
Non c’è modo, tuttavia, di vincere questa assurda battaglia per la libertà. A spiegarglielo è l’unico vero amico che Elwood ha alla Nickel, Jack Turner (Brandon Wilson). Puoi scontare la pena o essere espulso per l’età, oppure provare a scappare ed essere ucciso, sono solo questi quattro i modi per andarsene, secondo lui. Elwood insiste ad aggiungerne un quinto: denunciare. Il suo tentativo però lo porta a una tragica fine di cui in parte Turner si sente responsabile. Forse per questo, una volta riuscito a evadere, sceglie di assumere il nome e l’identità di Elwood, portare avanti la sua visione del mondo e avere il coraggio di denunciare ancora, quando molti anni dopo si presenterà l’occasione per farlo.
Un adattamento rivoluzionario
Colson Whitehead è uno scrittore straordinario e Nickel Boys rappresenta già il suo secondo premio Pulitzer, dopo La ferrovia sotterranea (già adattata da Barry Jenkins, altro grande talento poetico nel cinema). La particolarità delle pagine di Whitehead è la capacità di scolpire immagini molto chiare nella mente del lettore usando meno parole possibili, ma molto precise. Nickel Boys stesso conta poco più di 200 pagine, ma ogni frase è un ritratto. Un lavoro di adattamento cinematografico classico sarebbe molto semplice, ma non aggiungerebbe nulla alla grandezza del materiale letterario.
Ciò che fa RaMell Ross, perciò, è rivoluzionario perché pur avendo a disposizione le parole di Whitehead, inizia il suo film dal montaggio, tutto un altro tipo di scrittura cinematografica, per poi tornare alla sceneggiatura. Sono i raccordi tra le immagini a creare così strati di senso, giustapposizioni di tempi diversi (passato e presente), fotografie, dettagli e concetti che a tratti possono anche disorientare, soprattutto se si ha poca familiarità con il romanzo originale, spesso dato per scontato da Ross, come se questo film non fosse separabile dalla lettura, pur essendo al tempo stesso un’esperienza totalmente diversa.
Lo si capisce da alcuni nomi che Ross lascia nel film pur non spiegandone mai l’identità (Percy, per esempio, è il padre di Elwood) o dalla scelta di rivelare l’esistenza del Boot Hill, il cimitero segreto della Nickel, oltre la metà del film, ribaltando invece la consapevolezza immediata della morte che si ha fin dalla prima pagina, fin dalla prima frase di Whitehead: “Anche da morti i ragazzi portavano guai“.
La centralità del punto di vista e il significato del finale
La scelta più radicale di Ramell Ross tuttavia è nella cinematography, nella fotografia e nelle modalità di ripresa di Nickel Boys. Quasi l’intero film, infatti, è ripreso in soggettiva, alternando lo sguardo di Elwood a quello di Turner. Una scelta che tecnicamente si traduce in una “danza” della regia, ha affermato Brandon Wilson in conferenza stampa a Roma.
Nei dialoghi soprattutto, cioè, è necessario recitare al di qua della macchina da presa, rimanendo invisibili ma sempre presenti, guidando lo sguardo e lasciandosi guidare. Nelle scene individuali, invece, è un tipo di ripresa che permette di indugiare sui dettagli, solo in apparenza insignificanti. Scarpe, mani, biglie, luci e ombre, la frutta nel vassoio della mensa e quella profumata degli alberi di casa. Là dove si posa lo sguardo nasce un ricordo, resta il passaggio di una vita da non dimenticare, anche quando tutto e tutti intorno cercano di annientarla.
Quella di Ross inoltre è una regia che aggiunge sicuramente qualcosa in più al già forte legame fra i due protagonisti e sottolinea un concetto essenziale per capire il finale.
Turner ed Elwood alla fine convivono in un’unica persona, frutto di una stessa esperienza che li ha uniti per sempre. Da qui la scelta della semi-soggettiva nel presente, che mostra sempre tutto ciò che vede il personaggio, includendolo però nell’inquadratura. Ancora prima della rivelazione finale, di questo “Elwood” adulto, sempre di spalle, si scorge già una pelle più chiara, come quella di Turner – primo indizio di qualcosa che volutamente stona, per far sorgere delle domande. La sua schiena, barriera alle risposte che il pubblico cerca fin da subito, entra nell’inquadratura portando tutto il peso della storia di Elwood e della sua morte. Solo quando Turner trova il coraggio di parlare, di confessare ciò che sa del cimitero segreto, per rendere giustizia ai suoi compagni della Nickel, possiamo vedere finalmente il suo volto e tornare a chiamarlo con il suo nome.
La domanda che chiude il film, Turner, cosa farai? pronunciata a nero, quando ormai ogni immagine è sparita, è la stessa che Nickel Boys rivolge al suo pubblico. Cosa farai, di fronte a un mondo così ingiusto. Mentre l’uomo bianco è sulla Luna, Whitey is on the moon, tu cosa farai? Cinquanta, sessanta o settanta anni fa durante il movimento per i diritti civili, come oggi insieme a Black Lives Matter.