Uno squarcio sordo e mortale, poi il buio e la polvere dei calcinacci che si alza come una nebbia infernale, sulla casa della piccola Celestina (Dea Lanzaro), appena crollata. Sembra teatro, all’improvviso diventa cinema. È una tragedia, anzi no è l’inizio di una favola, quella di Gabriele Salvatores in Napoli New York. Al cinema dal 21 novembre 2024.
Da un soggetto di Federico Fellini e Tullio Pinelli, ritrovato in un baule a Cinecittà oltre 15 anni fa, nasce l’avventura di Celestina e Carmine (Antonio Guerra), due bambini della Napoli del 1949, affamata e distrutta dalla guerra, abbandonata ormai anche dai soldati americani, insieme a tutti i sogni di vittoria e di rivalsa. Celestina e Carmine sono soli al mondo, sopravvivono alla giornata, cercando di vendere sigarette di contrabbando o ingannando con i loro trucchi i turisti in viaggio su grandi transatlantici.
È così che finiscono su una nave in viaggio verso New York, dove è Celestina che convince Carmine a nascondersi a bordo e partire, per poter raggiungere la sorella maggiore Agnese (Anna Lucia Pierro), emigrata per poter sposare un soldato.
Le due metà del racconto
Come suggerisce il titolo, Napoli New York è diviso in due grandi atti, con un intermezzo, un raccordo fondamentale che è il viaggio per mare. La prima parte è anche quella più fedele al testo originale di Fellini e Pinelli, ha affermato Salvatores, quindi rappresenta una Napoli molto vera, seppur immaginata nei contorni della favola, o meglio, attraverso gli occhi di due bambini, che la vivono come un’avventura quotidiana e, nonostante tutto, familiare. Anche nei momenti più bui e pericolosi, Celestina e Carmine infatti sanno di essere a casa, di potersela cavare perché sono fatti della stessa sostanza di Napoli.
La parte difficile arriva dopo, quando se ne allontanano e per la prima volta si confrontano con qualcosa che non conoscono, venendo costretti dagli eventi a collocarsi nel mondo, in relazione con se stessi e con gli altri, in altre parole: costretti a crescere, pur non essendo mai stati davvero bambini.
Il viaggio in mare, in questo, è metaforico ed essenziale. È la trasformazione per eccellenza, oltre che il luogo fisico in cui si consolida la forte alleanza e il profondo affetto tra Celestina e Carmine.
Con gli occhi pieni di meraviglia
Che Napoli New York sia una favola, verosimile ma non reale, si comprende subito, dal modo in cui tutto sembra in fin dei conti, e quasi per magia, muoversi a favore dei due piccoli protagonisti. Emblematica – e così bella da restare impressa anche giorni dopo la visione – è la sequenza accompagnata da Be My Baby, celebre brano di The Ronettes. Racchiude nel suo respiro e nel suo ritmo vorticoso tutta la meraviglia e la vertigine che possono provare gli occhi di chi non ha mai visto, nemmeno mai immaginato, i grattacieli, i billboard, i taxi gialli e le strade larghe e luminose.
Non è certo la vera New York del 1949, quella in cui non era affatto consigliabile aggirarsi di notte, nemmeno a Manhattan, e che certamente aveva leggi e regole molto più ferree e razziste nei confronti dei rapporto fra bianchi e neri. La verità, tuttavia, non sarebbe funzionale al racconto di Salvatores e al suo messaggio, perciò la si può mettere tranquillamente da parte, almeno per il tempo di durata del film.
Anzi, pur scegliendo di non farne un racconto prettamente sociale, soprattutto attraverso il personaggio di Omar Benson Miller, Napoli New York riesce molto bene a raccontare il vero (questo sì) legame storico fra le comunità italiane di immigrati e quelle afroamericane, discriminate in egual misura a metà Novecento.
Un racconto femminista, a sorpresa
La svolta inaspettata di Napoli New York arriva grazie a un personaggio piccolo ma essenziale, Agnese. Vagamente ispirata a una storia vera, la tragedia che riguarda Agnese apre una lunga parentesi di lotte e solidarietà femminile nel film. Un momento di potente aggregazione che, legato al tema dell’attenzione mediatica aperto contemporaneamente dal regista, mostra la forza di una comunità intera, che vuole prendere il microfono, far sentire la propria voce.
Un messaggio di unità e resistenza femminile e femminista, contro le violenze del patriarcato, ancora più importante oggi alla vigilia degli annuali cortei del 25 novembre (e dopo le pericolose parole dei nostri ministri).
Il piccolo-grande ruolo di Favino
La grande questione che domina l’intero secondo atto, tuttavia, è: chi si prenderà cura di Celestina e Carmine adesso che non è più Napoli la loro madre? La risposta, dal primo momento in cui compare sullo schermo, è un perfetto Pierfrancesco Favino. Nei panni del comandante Garofalo è inizialmente il “nemico” dei due bambini, il cui solo compito è denunciarli alla polizia come clandestini. In realtà diventa poi il loro maggiore alleato, desiderando ancor di più diventarne il padre, per placare un dolore che lo accompagna ormai da tempo. E che Favino mostra in modo impercettibile, senza perdere l’aspetto comico e leggero del suo personaggio, anzi rendendolo più completo e più complesso.
Tema importante di Napoli New York, dunque, è l’accudimento, la famiglia, ma anche l’assoluta indipendenza, l’assenza di qualsiasi autorità sulla propria vita, come è sempre accaduto a Carmine. Salvatores, cioè, soprattutto nel rapporto al maschile fra Garofalo e Carmine affronta il significato dell’essere padri, dell’essere figli. E del necessario superamento dell’una e dell’altra condizione, per definire a tutto tondo la propria identità.
La linea della fortuna: Dea e Antonio
In questo viaggio fantastico, Garofalo come aiutante dell’eroe e come padre putativo è una figura accogliente, calda, cucita perfettamente nella storia, grazie anche all’indiscusso talento di Favino. È allo stesso tempo però una figura distante, persa in un dolore a cui lo spettatore non ha accesso, semplicemente perché non è questo il tempo e il luogo per approfondirlo. Napoli New York infatti non è la sua storia.
È la storia di Carmine, lo scugnizzo, e di Celestina, della loro forza, del loro incredibile spirito di sopravvivenza che li porta a reagire alla vita con una maturità che non appartiene alla loro età anagrafica e che anzi vi fa cortocircuito, risultando il loro maggiore punto di forza.
Dea Lanzaro e Antonio Guerra, cioè, sono l’anima di Napoli New York, singolarmente e insieme. Salvatores trova due volti eterni, credibilissimi nel 1949 come nel 2024, e guida due personalità straripanti da cui si è rapiti fin dalla prima scena.
Celestina e Carmine, nei corpi e nei visi di Dea e Antonio, insegnano a un pubblico molto più grande di loro che la linea della fortuna, nella vita, bisogna crearsela da soli, senza paura, senza esitazione e a costo di farsi male. Una morale della favola estrema, forse, che i loro occhi però riempiono di meravigliose sfumature.