BOLOGNA – Prorogata fino al 21 febbraio (chiusa il sabato e la domenica), la mostra Monet e gli Impressionisti, a Palazzo Albergati, con le 57 opere provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi.
Era il 15 aprile del 1874 quando nella Ville Lumière, nel vecchio studio del fotografo Felix Nadar, in Boulevard des Capucines, un nuovo gruppo di artisti inaugurò un’esposizione che diede origine all’Impressionismo. Nonostante la critica non accolse con entusiasmo l’arte di questi pittori, giudicandola un attentato ai sani costumi artistici, al culto della forma e al rispetto dei maestri, il movimento nascente scardinò i cliché allora dominanti nella narrazione pittorica, alleggerendola dai soggetti politici e religiosi allora imprescindibili per poter accedere al Salon, indiscussa fortezza accademica dominante nel sistema espositivo francese.
Le opere di Monet e gli Impressionisti riportano su tela le percezioni che quegli artisti innovativi ebbero della luce sulle cose. Durante la visita si ha come la sensazione di uscire all’aperto proprio come scelsero di fare gli Impressionisti abbandonando gli atelier e dandosi alla pittura en plein air.
Nei lavori esposti l’acqua è uno degli elementi naturali più ricorrenti. Renoir ne Lo stagno, Cagnes o Paesaggio di Cagnes-sur-Mer (1905) utilizzò in maniera fluida i colori di cielo, vegetazione e acqua raffigurando un paesaggio mutato come da un sogno.
Corot ne Lo stagno di Ville-d’Avray visto attraverso il fogliame (1871) conferì al panorama bucolico e alle due sagome umane immerse nella nebbia ai piedi dello stagno il potere di un luogo sottratto al suo tempo. Boudin (Veliero con la bassa marea, 1883-1887 ca.) e Signac (La partenza dei pescherecci per Terranova – 1928) posero al centro delle loro pitture marine imbarcazioni arenate o in viaggio.
Monet, che considerava i “paesaggi d’acqua e di riflessi” come una vera ossessione, sentì per tutta la vita il richiamo del mare, dei fiumi e dei laghi. Ne Il mare a Fécamp (1881) le pennellate bianche e verdi, rapide e spesse, che portano in rilievo il colore, mostrano il movimento delle onde che s’infrangono sugli scogli, al contrario, quelle grigie, a tratti luminose, e più estese ritraggono il cielo carico di nubi.
Gli studi di Monet sulla costa normanna furono tanti e non fecero altro che anticipare l’interesse per la pittura “seriale” che diede i suoi primi frutti intorno al 1890. In mostra, testimoni di questa pratica sono La Senna a Port-Villez – effetto rosa (1894) e La Senna a Port-Villez – effeto sera (1894): nelle due vedute del fiume francese, una all’alba e una al tramonto, l’acqua diventa lo specchio del cielo dai colori pastello.
Monet a Giverny: il giardino di un colorista
“Amo l’acqua ma amo anche i fiori”, sostenne Monet, e la sua arte non fa che dargli ragione. La distesa fiorita di Campo di tulipani in Olanda (1886), quella gialla e infinita di Campo di Iris a Giverny (1887), Glicini (1919-1920 ca.), Iris (1924-1925 ca.) e l’incompiuto Le rose (1925-1926) offrono al fruitore della mostra la possibilità di poter ammirare boccioli, petali e steli attraverso gli occhi dell’artista. La passione del pittore francese per le piante non si limitò a emergere con l’arte ma esplose dando risultati eccellenti nella sua tenuta di Giverny, dove abitò dal 1883 fino alla fine dei suoi giorni.
Con l’aiuto di due giardinieri e cinque aiutanti, Monet diete vita a un giardino che considerò la sua perfetta fonte d’ispirazione. “Il giardino di un colorista” lo definì Proust, il quale aggiunse che era costituito da “un insieme di fiori che non è quello della natura […] fioriscono insieme soltanto i fiori dalle sfumature armoniosamente intonate tra loro, in una distesa infinita di azzurri e di rosa”. Con la nascita del giardino di Giverny, un paradosso però si fece evidente nella pittura di Monet: l’intento degli Impressionisti di rifiutare l’impostazione rigida dell’atelier concentrandosi sulla natura e sulle impressioni da essa generate cedette il passo alla creazione di un modello di natura ideale da osservare e ritrarre nella sua indiscutibile perfezione.
È a Giverny che nacquero le Ninfee (fruibili a Palazzo Albergati in diverse versioni realizzate dal 1917 al 1919), le celebri tele in cui nelle acque dello stagno i riflessi del cielo e delle chiome di salici piangenti si mescolano ai colori e alle forme delle piante acquatiche e dei fiori.
Del giardino di Monet fece parte anche Il ponte giapponese che, dipinto in più versioni realizzate dal 1918 al 1924, appare in continua trasformazione come fosse il riverbero dello stato d’animo dell’artista che lentamente cedette il passo alla vecchiaia e alla malattia.
La figura umana nell’Impressionismo
In Monet e gli Impressionisti, talvolta, la natura divide la scena con gli esseri umani fondendosi a essi, come in Fanciulla e bambino in un contesto campestre (1900 ca.) di Renoir, in Pastorella sdraiata (1891) e in Sul melo (1890) di Berthe Morisot e in Passeggiata ad Argenteuil (1975) di Monet, dove un campo di fiori lilla, rosa e gialli, un cielo frastagliato di nuvole e un albero dalle foglie copiose accolgono nella loro armonia cromatica e di forme il tranquillo incedere di un uomo, una donna e un bambino.
Le figure umane ritracciabili durante l’esposizione non sono solo quelle immerse nell’ambiente naturale, uomini e donne sono anche ritratti nel dettaglio delle loro fattezze somatiche e inseriti in contesti domestici. Ricordo Ritratto di Madame Ducros (1858) di Degas (un’opera volutamente incompiuta poiché probabile studio di un lavoro più ambizioso) in cui una donna vestita di scuro occupa un interno borghese, il Ritratto di Berthe Morisot distesa (1873) del Manet affascinato dalla bellezza di questa giovane artista e il Ritratto di Julie Manet (1894) in cui Renoir ha immortalato la figlia del fratello di Manet e di Berthe Morisot a mezzo busto, con un’espressione triste accentuata dallo sfondo grigio abbozzato.
Parigi e la modernità alle porte del XIX secolo
A fare capolino nel percorso della mostra, vi è il tema della modernità della Parigi di fine ‘800 ben rappresentato da Il treno nella neve. La locomotiva (1875) e da Il ponte dell’Europa. Stazione Saint-Lazare (1877) di Monet: in questi lavori il movimento dei treni e il fumo delle macchine a vapore, descritto dall’artista come una “vera fantasmagoria”, aprono la strada della rappresentazione pittorica di un nuovo paesaggio, quello urbano.
All’interno della mostra vi è anche una breve immersive experience, chiamata En plein air, che porta i visitatori nei suggestivi paesaggi di Monet grazie all’uso di immagini e di suoni della natura.
Sono partigiani di una realtà senza fronzoli, nemici assoluti dell’abbellimento, della selezione, dell’artista quando si permette, come ha fatto da che l’arte esiste, di preoccuparsi dell’idea del bello. L’unico territorio del pittore è il reale e l’essenziale della sua missione è dare l’impressione vivente dell’apparenza delle cose in un certo momento.
Scrisse Henry James degli Impressionisti, solo due anni dopo la loro prima esposizione. In effetti, è innegabile, la rivoluzione pittorica del nuovo movimento, individuata precocemente dallo scrittore americano, esplose negli anni successivi condizionando l’intero panorama artistico.
Informazioni utili della mostra bolognese
La mostra, patrocinata dalla Regione Emilia-Romagna e dal Comune di Bologna, è prodotta e organizzata da Gruppo Arthemisia, in collaborazione con il Musée Marmottan Monet di Parigi, e curata da Marianne Mathieu, direttrice scientifica del museo.
Per maggiori informazioni consultate anche il sito ufficiale del Palazzo Albergati.
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