Modi – Tre giorni sulle ali della follia non è un biopic e non è un film sull’arte, ma il tentativo di capire un artista, mettersi nei suoi panni e forse aspirare a somigliarvi. È la storia di 72 ore nella vita di Amedeo Modigliani a Parigi, interpretato da Riccardo Scamarcio accanto ad Antonia Desplat, Bruno Gouery, Ryan McParland, Luisa Ranieri e Al Pacino.
Johnny Depp ne firma la regia, segnando così il suo inaspettato ritorno dietro la macchina da presa a oltre 25 anni dall’opera prima, Il coraggioso (The Brave, 1997). Un ulteriore tentativo verso il pieno ritorno in scena dopo la fredda accoglienza dei suoi precedenti Minamata e Jeanne du Barry, come attore.
Il filo rosso tra The Brave e Modi
Le due prove dietro la macchina da presa arrivano i due momenti molto diversi della vita di Johnny Depp, ma in un certo senso sono legate. Nel 1997 Depp era Donnie Brasco. Era una star anarchica, molto prima dell’esplosione pop con Tim Burton in La fabbrica di cioccolato o con la Disney in Pirati dei Caraibi. Aveva già lavorato con Marlon Brando in Don Juan de Marco e, pochi anni prima, nel 1993 aveva raggiunto “l’anno perfetto” con la candidatura al Golden Globe per Benny & Joon, la collaborazione con Emir Kusturica in Arizona Dream e l’intensa interpretazione accanto a un giovanissimo Leonardo DiCaprio in Buon compleanno Mr. Grape.
La regia era forse il passo più scontato per un divo al massimo della sua notorietà e dell’apprezzamento del pubblico. La storia che scelse, tuttavia, raffreddò gli entusiasmi, nonostante fosse abbastanza coerente con il suo personaggio. Depp trovò nella trama di Il coraggioso uno spunto per raccontare una sua riflessione sulla paternità (anche se la prima figlia nacque due anni dopo), sulla responsabilità familiare e sulle sue stesse origini nativoamericane.
Scelse la storia di un inquietante snuff movie, ossia di un uomo (Depp stesso) che accetta di farsi uccidere davanti a una telecamera per il piacere di un altro (Marlon Brando), in cambio dei soldi che serviranno alla sua famiglia per sopravvivere. L’accoglienza è così controversa, soprattutto a Cannes dove presenta il film, che Depp sembra intenzionato a non tornare mai più dietro la macchina da presa. Fino a oggi. Fino a questa nuova fase che si impone quasi come un’evoluzione dei suoi eventi privati.
Durante e dopo il duro divorzio che l’ha visto protagonista, infatti, non recitando più Depp ha orientato la sua creatività verso una forma d’arte diversa, la pittura, che per anni ha monopolizzato anche la sua immagine sui social network.
Nella pittura cioè ha espresso qualcosa di sé che non riusciva e non poteva esprimere in altro modo, diventando al tempo stesso creatore di qualcosa, di una tela, di opere tangibili, concrete. La stessa concretezza – la stessa capacità decisionale – si trasferisce all’opera cinematografica, nell’idea della regia. E non a caso Modi è un film su un pittore (e scultore).
Com’è Modi di Johnny Depp
Le intenzioni che hanno spinto Depp in questa nuova avventura sono chiare, interessanti anche. Non bastano tuttavia a chiudere un film senza difetti o un film sicuro di ciò che è. Paradossalmente Il coraggioso era ed è ancora un film migliore, pur sembrando improvvisato rispetto al budget e alla cura dei dettagli di Modi. È più grezzo ma più vero, motivato da un’urgenza espressiva che invece in Modi si perde inseguendo il mito dell’artista maledetto.
C’è comunque più di una buona intuizione. Scene o sequenze che emergono dal film con più forza, ma che da sole non sono sufficienti a dare una direzione forte, narrativa o estetica. Restano come dei capitoli solitari, persi in un tono da commedia che vorrebbe irrompere per mostrare la poesia e la leggerezza della vita, dentro il dramma dell’esistenza, ma spesso si ferma alla slapstick comedy per strappare un sorriso.
Al di là del vecchio amico Al Pacino, una scelta non scontata di Johnny Depp in ogni caso è quella di lavorare con Riccardo Scamarcio. Sorprendente, perché Scamarcio fa un affascinante Modigliani. Rischioso, però, perché è un attore che può dare molto, ma nella sua lingua, risultando forse meno libero in dialoghi in inglese in un film in cui la libertà di Modigliani è tutto, è il centro.
Si tratta tuttavia di difetti comprensibili per un’opera seconda che vale quasi come un nuovo esordio e che ha messo Johnny Depp di fronte a una sfida produttiva inedita, che nessuno si aspetta perfetta. Forse nemmeno lui stesso. È piuttosto un segno, un modo per dire: io non vado da nessuna parte, al massimo distruggo tutto e ricomincio daccapo. Un po’ come fa il suo Modigliani.