Pochissimi i cinema dove è stato programmato, brevi i tempi in cui è rimasto nelle sale; Misericordia, il terzo film di Emma Dante, ha avuto un destino sfortunato, ma ancora più sfortunati sono gli spettatori che non sono riusciti a vederlo.
Sull’onda di un trattamento riservato ad un determinato cinema che continua ad avere poche possibilità di emergere, la stessa regista scrive sul suo profilo Facebook che dopo il primo weekend di programmazione le copie del suo film sono state dimezzate, Ormai non ho più niente da perdere. Ho perso tutto quando il mio film è stato sfrattato dalla sua casa: il cinema, aggiunge. La sua dichiarazione porta alla luce un sistema cannibale, come lo definisce la drammaturga, e rivela la paura che film del genere siano destinati a subire l’ingiusto oblio quando avrebbero tantissimo da offrire. Nell’intersezione tra il profitto e la visibilità, si incastra un elemento da non sottovalutare: Misericordia è lontano dall’essere un film non entusiasmante, poiché è forse una delle opere più preziose del panorama italiano dello scorso anno.
Presentato alla Festa del Cinema di Roma e distribuito poco dopo, il 16 novembre 2023, Misericordia è tratto dall’omonimo spettacolo teatrale di Emma Dante. Ma dove il palco vive di un suo respiro, lo stesso fa il cinema: il film riesce a conquistarsi una forte personalità capace di vivere di luce propria, grazie alla regia e agli interpreti, che solo insieme riempiono la superficie visibile allo spettatore, ma attraversano anche quella invisibile, dei sogni e delle proiezioni.
La violenza del reale e la poesia del racconto
Cruento e immaginifico, Misericordia è un film che fa suoi codici complementari, innestati nel racconto di una vita posta ai margini, dove tutto è, e rimane, sporco, povero, immutabile. La violenza è la prima cosa che ci viene mostrata: un uomo picchia la donna che porta in grembo suo figlio, la massacra per poi gettarla in mare, mentre il bambino viene ritrovato tra le rocce, puro e indifeso come una perla.
A crescerlo sono due prostitute, Betta (Simona Malato) e Nuccia (Tiziana Cuticchio), in uno squallido complesso di baracche arroccate in un luogo indefinito della Sicilia. Altre prostitute lavorano e vivono lì, e anche bambini, che giocano con un Arturo, il superstite, ormai cresciuto ma solo nel corpo: di fatto un bambino anche lui, con disturbi psicologici e fisici, che si aggira libero nelle terre desolate, rimanendo prigioniero dell’occhio di suo padre (Fabrizio Ferracane), l’ambiguo padrone di quella realtà devastata.
La violenza, il sesso, la miseria, non bastano ad offuscare la leggerezza di Arturo, filtrata dalla sua impetuosa ipercinesia, dalle azioni ossessive che ripete incessantemente, e dal terrore del genitore, che continua a disprezzarlo. Come una stella il ragazzo si solleva tra gli stracci, la solitudine, la sofferenza, diventando altro, più un alieno che una vittima.
Esigenza di abitare lo spazio
L’effetto lacerante e al tempo stesso sublime che ci offre Misericordia è merito soprattutto dell’interpretazione di Simone Zambelli (diplomato all’ Accademia Nazionale di Danza di Roma con indirizzo contemporaneo), che dopo essere stato Arturo nello spettacolo omonimo, trova una nuova versione del suo personaggio. Non più confinato allo spazio teatrale, Zambelli danza nello spazio che gli viene offerto: la performance fisica a cui si dedica è un volo costante, alternato da giravolte, movimenti irruenti e ripetuti, corse a piedi nudi.
Il suo è un gioco con lo spazio che lo circonda, ma anche una sfida, quella di rimanere in piedi, di non cadere. Si circonda di oggetti simbolici con i quali interagisce secondo schemi mentali agli altri incomprensibili. Colleziona fili, che prende da gomitoli colorati: allestisce un ambiente dove il suo corpo può esprimersi, attraversato da intrecci e incastri; è un parco giochi che ricorda l’arte di Maria Lai e il senso della materia. La scena in cui ci viene mostrata questa installazione sembra appartenere ad un mondo molto distante da quello del degrado e dei corpi stanchi, usati come valuta.
La performance fisica è parte integrante del tessuto attoriale nel film; i gesti circolari sono come versi in rima che possiamo vedere, l’interazione tra Betta, Nuccia, e la nuova arrivata Anna (Milena Catalano) si avvale di un fascino arcaico, magico.
E infine, musica leggera per unirci
E sul finale, un’esplosione di musica leggera totalmente inaspettata arriva a rompere la ripetitività della vita di Arturo, e a portarlo via da quel luogo. Grazie ad Emma Dante Avrai, il brano di Claudio Baglioni del 1982, si avvale di un nuovo potere, ed è come se per la prima volta ogni parola del testo avesse il suo corrispettivo di terra e carne, volti e prospettive. Una canzone conosciutissima diventa nuova, e sembra scritta apposta per il film.
Avrai un telefono vicino che vuol dire già aspettare
Schiuma di cavalloni pazzi che s’inseguono nel mare
E pantaloni bianchi da tirare fuori che è già estate
Un treno per l’America senza fermateAvrai due lacrime più dolci da seccare
Avrai, Claudio Baglioni
Un sole che si uccide e pescatori di telline
E neve di montagne e pioggia di colline
Avrai un legnetto di cremino da succhiare
La portata emotiva della conclusione che Arturo si conquista (e che la regista disegna per lui) è così potente da ammutolire ogni altra emozione o sentimento che non si colleghi direttamente a quelle immagini, senza parole a descriverne il senso se non quelle di Baglioni, innestate nel contesto narrativo.
Misericordia di Emma Dante si assume il rischio di essere diverso, non necessariamente didascalico, ma suggestivo, intenso in un modo non morboso. Forse per questo è stato penalizzato e non capito, e sempre per questo merita di rientrare tra le vostre visioni.
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