Quando nel 2022 uscì nelle sale X: A Sexy Horror Story era difficile (ma non impossibile) immaginare il successo che avrebbe riscontrato. Eppure eccoci qui, due anni e un film dopo (Pearl), ad accogliere l’ultimo atteso capitolo della trilogia X di Ti West: MaXXXine, al cinema dal 21 agosto.
La trama di MaXXXine
Avevamo lasciato Maxine Minx (Mia Goth), porno-star convinta di essere destinata a grandi cose, mentre fuggiva su un furgone dopo essere riuscita a salvarsi da un’anziana coppia di assassini del Texas.
Adesso, anni ’80, la ritroviamo nell’appariscente e sregolata Los Angeles, intenta più che mai a perseguire il suo sogno, costi quel che costi. Anche questa volta, però, dovrà fare i conti con più di qualcuno che minaccia alla sua vita e che, soprattutto, ha intenzione di ostacolare la sua grande occasione di rivalsa.
Sesso e sangue
Arrivati a quello che potrebbe essere la fine delle avventure di Maxine (non facciamo spoiler), è possibile guardare in maniera organica tutto ciò che ci ha regalato in questi anni il regista Ti West: una panoramica sul violento mondo dello showbusiness, visto attraverso lenti splatter e sessuali.
Sangue e sesso, due degli espedienti che più vengono utilizzati da West in tutti e tre i film, un po’ giocando su quello che viene normalmente ritenuto amorale e scabroso, un po’ mettendo in chiaro come una Pearl che tira colpi d’ascia nel cranio di qualcuno sia molto meno spaventoso di qualsiasi suo monologo nel corso del film, in cui descrive la sua situazione di solitudine e abbandono.
Perché in un’America sporca, brutta e cattiva è logico e naturale che l’unica via di scampo finisca per essere rappresentata dalle luci di Hollywood, sia che si tratti della sperduta campagna dei primi del Novecento o che si parli delle strade iper-criminalizzate e alienanti delle colline californiane.
Peccato che, anche attraverso i decenni, le cose non cambino: la realtà quotidiana rimane sporca, brutta e cattiva, le luci della ribalta rimangono l’unico miraggio di salvezza in una realtà altrimenti deprimente e questo stesso stimolo inverosimile a raggiungere l’alveo dei pochi eletti che “ce l’hanno fatta” porta chiunque a fare qualsiasi cosa, generando un loop infinito di violenza, solitudine, rancore, chiaramente contornato, ancora una volta, da sesso e sangue.
MaXXXine, le due facce della medaglia
Una delle scelte migliori messe in atto per raccontare questo paradosso viene dall’utilizzo di una sensazionale e spregiudicata Mia Goth come presta-volto per entrambe le eroine della saga: Maxine e Pearl, la porno star e l’anziana, la figlia del pastore e la ragazza di campagna, entrambe divenute pluriomicide nel tentativo di realizzare il sogno di farcela come attrici.
Un paradosso che viene mostrato soprattutto nel primo film, quando le due si confrontano, ma che viene espresso in maniera più approfondita nel prequel dedicato a Pearl e nel nuovo film dedicato a Maxine. Entrambe sono figlie di un mondo che le ha messe di fronte a una sola possibilità di evasione da una vita altrimenti priva di significato, entrambe sono due sognatrici, entrambe vengono spinte a dover spostare sempre di più l’asticella del limite personale nel momento in cui si parla di dover raggiungere l’unico sogno mai avuto. Un sogno che non riguarda tanto la carriera, la possibilità di emancipazione, il futuro, quanto lo strumento chiave per ottenere ciò che altrimenti nella loro quotidianità non potrebbero mai ottenere: amore, riconoscimento, attenzione, cura.
In questa partita a scacchi generazionale sicuramente c’è chi riuscirà a sfruttare meglio di altri le proprie pedine, ma alla fine dei giochi sarà davvero possibile riuscire ad essere viste, in un mondo che mastica e risputa a velocità disarmante?
L’horror vintage di Ti West
Pur senza insegnarci niente di nuovo e senza avere la pretesa di sconvolgerci la vita, dunque, Ti West ha dato vita a una trilogia che pur criticando e condannando il paradosso dell’Hollywood di ieri (e perché no, anche di oggi), non si pone chiaramente come film a tema sociale, ma preferisce approdare nell’horror, settore sempre un po’ complicato da navigare e in cui il rischio di “già visto” è sempre dietro l’angolo.
In un panorama, soprattutto, in cui gli horror che davvero funzionano stanno affrontando temi sempre più introspettivi e disturbanti (si pensi ai film di Jordan Peele o al lavoro di Ari Aster), West sfrutta cliché ed effetti visivi che più classici non si può (innumerevoli le reference a classici dell’orrore come Non aprite quella porta o Psycho), riuscendo a ricavarsi una nicchia tutta sua, in cui gli amanti delle scream-queen possono dirsi soddisfatti ma senza togliere il posto a chi vuole vedere un rimando a quello che fa paura oggi, come la costante ricerca di attenzione e validazione su larga scala.
Sarebbe stato molto facile (e banale) andare a sfruttare quest’analisi portando in scena la nostra realtà iper-connessa e iper-social, ma la lettura quasi vintage, come ci hanno insegnato molti dei prodotti di successo degli ultimi anni quali Stranger Things, ripaga sempre.
E quindi bravo Ti West, sei una star.