Elisa Fuksas, regista e scrittrice, porta alla Festa del Cinema di Roma 2024 il racconto di un film impossibile, a lungo scritto, riscritto e rielaborato, ma a cui non è stato semplice dare una forma, produttiva e narrativa.
Marko Polo, presentato nella sezione Freestyle, usando le parole della regista, non è un documentario e non è un mockumentary. «È un film molto scritto, anche se in maniera anomala. Copioni nascevano e morivano in continuazione, niente però ci riusciva», afferma Fuksas a FRAMED parlando del suo lavoro con la troupe. È proprio però quando una cosa non riesce – un film, come un’idea o una parte di sé – dice il film stesso, che bisogna fargli il funerale, per accogliere la possibilità del fallimento e trarne un nuovo inizio.
Cos’è Marko Polo
Marko Polo prende il titolo evocativo da uno dei traghetti dei pellegrini diretti a Međugorje. Non è però quello su cui si trovano effettivamente i protagonisti del film: Elisa Fuksas, la sorella Lavinia, la co-sceneggiatrice Elisa Casseri e l’attore Flavio Furno. Il vero Marko Polo resta a terra nei giorni in cui il film viene girato, nonostante i piani della troupe: «Ennesima disattesa di qualunque mia aspettativa. Insegna però che le aspettative le abbiamo per disattenderle, sono il segnaposto di qualcos’altro. Io stessa ho trovato qualcos’altro, proprio come Marco Polo».
Il viaggio su questa imbarcazione deserta, un limbo galleggiante, diventa dunque il fulcro stesso del film, più della sua destinazione. È il racconto di un percorso di riflessione in continuo divenire e contemporaneamente il racconto della «fede come atto di libertà, non ubbidienza, di reinvenzione dei propri confini». Ciò che Marko Polo affronta infatti è molto personale, per questo non semplice da realizzare. «È il catechismo di una donna adulta» che a 37 anni sceglie di battezzarsi riconoscendosi nella fede cattolica.
Un percorso che Elisa Fuksas aveva già anticipato in parte in libri come Ama e fai quello che vuoi e Non fiori ma opere di bene e di cui Marko Polo avrebbe dovuto essere un adattamento, poi trasformatosi in qualcosa di ancora diverso. È stato, a tutti gli effetti, «un lavoro fatto per fede, un atto di fede nostro e dei produttori (Fandango e Indiana Production, ndr). Non sapevamo neanche noi perché continuavamo nonostante le difficoltà, ma non ci siamo fermati».
A diventare il film attuale, perciò, è stata l’ultima stesura della sceneggiatura, «completata alla fine del 2023, scritta in dieci giorni e girata a gennaio 2024. Dietro di sé però aveva anni di lavoro».
Un nuovo inizio, partendo da sé
«Tra le tante strutture a cui avevamo pensato, una era il film a capitoli» da cui derivano anche «gli inserti che sembrano flashback ma sono evocazioni, momenti personali». Fra questi, un importante dialogo fra la regista e i genitori, Massimiliano Fuksas e Doriana Mandrelli, è il passaggio per entrare nel punto di vista del film e della sua autrice.
«Il battesimo una storia che ricomincia da zero, senza negare la tua provenienza», prosegue. «È un nuovo inizio in cui sei tu a piantare il seme, è una scelta. Io ho sempre vissuto male nella vita qualsiasi cosa sentissi come un obbligo e forse anche esistere è una non-scelta. Dipende da altre due persone e io sono molto riconoscente ai miei genitori, ma il battesimo è un atto di fondazione», un atto di autonomia.
Rappresentare le idee, rappresentare il cambiamento
La conversione, perciò, deriva da un naturale ricerca personale e non cancella, soprattutto, chi si è stati in precedenza, sottolinea Fuksas. Probabilmente oggi “l’ostacolo” più ovvio per una donna che sceglie di abbracciare i principi cattolici nella sua maturità, senza esservi cresciuta all’interno, è proprio la questione femminile (e femminista) nella Chiesa, a partire dal diritto all’aborto e dalle ultime, dure, parole di Papa Francesco. Come cambia allora la percezione di sé nel tempo, dal giorno del battesimo a oggi?
«Cambia in continuazione», risponde Fuksas. «Se si ha la fortuna di incontrare persone di un certo tipo, però, la fede resta una rivoluzione d’amore, di liberazione, parità e uguaglianza. Un cardinale una volta mi disse, se ti chiedono di cambiare tu non devi credergli. È per questo che io non posso credere al Papa quando parla di aborto. Io rimango quella che sono, imperfetta, con la mia storia. Ho aderito a una cosa molto più grande della Chiesa, ho aderito a una posta in gioco, a una visione della vita, della morte, a delle idee che sono il motore delle nostre vite. La Chiesa invece è politica, è fatta di uomini».
La fede che Elisa Fuksas racconta e rappresenta, dunque, è già di per sé qualcosa di intangibile da cogliere con un mezzo – al contrario – tangibile e sensoriale, il cinema, fatto di immagini e suoni. «Per me però il film è proprio invisibile, si fonda su qualcosa di molto visibile ma immateriale. Le cose che tocca, che muove, sono i sentimenti. I volti, gli attori, la fotografia sono solo delle porte verso qualcos’altro, qualcosa di inconsistente, perché la fede rimane una questione di invisibilità. Come quando ti innamori».