Un corpo, nero, riverso nell’acqua. Morto, abbandonato. Una delle centinaia di anime perse nel cimitero da cui è circondato il Sud Italia, il Mar Mediterraneo. È l’incubo ricorrente di Almaz (Meninet Abraha Teferi), protagonista di Madame Luna.
La sua è una lunga storia, in gran parte avvolta nel passato e ben decisa a restarvi nascosta, fino a quando l’istinto di sopravvivenza la riporta in superficie. E pone Almaz di fronte alla domanda più complessa: una vera redenzione è possibile, quando hai le mani sporche di sangue?
Il film di Daniel Espinosa è stato presentato al Taormina Film Festival il 16 luglio ed è in sala con Europictures dal 18 luglio.
La trama di Madame Luna
Almaz è una donna eritrea che sbarca in Sicilia insieme a decine di altri migranti provenienti dalla Libia. Poco dopo viene trasferita in un centro di accoglienza a Lamezia Terme (in Calabria), dove condivide una stanza con altre due donne e una bambina. Poco più che un accampamento.
Parla bene l’italiano, oltre che il tigrino, l’arabo e il francese (caratteristica giustificata da un nonno giardiniere per una famiglia italiana, evitando l’affondo sul colonialismo italiano, purtroppo. Ma prima o poi riusciremo a fare film anche su quello). Comprende subito quindi, Almaz, come funzionano quegli uffici amministrativi. Per non restare bloccata in Calabria le servono dei documenti; per avere i documenti le serve un telefono e per avere un telefono deve pagare – sottobanco – i funzionari stessi con una parte della diaria ricevuta da ogni migrante.
È un sistema corrotto e illegale, ma Almaz decide di assecondarlo per un obiettivo preciso: riuscire a fuggire in Svezia. Quando tuttavia comprende la difficoltà del suo piano e soprattutto la concreta possibilità di restare per sempre bloccata in quell’angolo di mondo al sud dell’Italia, compie una scelta ancora più drastica. Accetta l’offerta di Nunzia (Claudia Potenza) entrando in un grande giro criminale. Non viene mai nominata, ma è chiaro che l’organizzazione è ispirata alle cosche di ‘ndrangheta.
Violenza e redenzione, i temi di Madame Luna
Ai comandi di Nunzia e dei suoi fratelli, Almaz si mostra una feroce kapò. Favorisce lo sfruttamento di altri migranti nei campi, esercita una violenza, soprattutto verbale, imprevista e disorientante. È così che il pubblico ottiene la conferma di quel che poco prima rivela Eli (Hilyam Weldemichael), un’altra giovane migrante arrivata dalla Libia: Almaz è in realtà Madame Luna, una spietata trafficante di esseri umani, caduta in sfortuna nei campi libici e quindi costretta a partire in uno dei barconi da lei organizzati.
Su di lei poggia il peso di decine di morti in mare, di torture indicibili e infatti non rappresentate. È stato coraggioso e visionario solo un anno fa, Matteo Garrone, nel voler provare a farlo nel suo racconto dell’orribile “viaggio” in Io capitano, ma Espinosa grazie anche alle sceneggiatura di Suha Arraf e Maurizio Braucci fa qualcosa di ancor più radicale. Rivolge la macchina da presa, quindi lo sguardo, sulle storture del sistema italiano, per denunciarlo, perché così fallace da cadere con troppa facilità nelle mani della criminalità organizzata.
Sono due, infatti, i filoni della scrittura. Arraf, autrice palestinese, è stata scelta dal regista appositamente per ricreare il conflitto interiore di Almaz e il suo desiderio di redenzione. Mentre Braucci (già sceneggiatore di Gomorra) si è aggiunto in seguito proprio per raccontare le cosche criminali.
Cosa aspettarsi da Madame Luna, in breve
Madame Luna è una storia vera, anche se non lo è. Una storia che, con ogni probabilità, sta accadendo proprio adesso e resta nascosta. Un film come questo di Daniel Espinosa si prende almeno la responsabilità di raccontarla, trasformandola anche a tratti in un gangster, in un film d’azione e criminalità in cui alla fine non si può fare a meno che tifare e per la protagonista e lasciarsi affascinare anche dai suoi lati oscuri, più forti e più violenti.
Madame Luna, come la luna stessa, ha una faccia che non vuole mostrare. Eppure il cinema ce la lascia immaginare. Crea un accesso privilegiato ai suoi pensieri, alle sue paure, ai suoi desideri. Al tempo stesso lascia il finale in sospeso, rendendolo impenetrabile. Perché, in fondo, nemmeno il cinema sa come asciugare quelle mani sporche di sangue.