Manca pochissimo all’uscita in sala di Furiosa: A Mad Max Saga, presentato in anteprima Fuori Concorso al Festival di Cannes e al cinema dal 23 maggio, ma dove e quando inizia la serie cinematografica ideata e diretta da George Miller? Precisamente nel 1979, con il primo di cinque capitoli: Mad Max – Interceptor, con Mel Gibson nel suo primo ruolo da protagonista.
Nessuno avrebbe sperato in un successo così sbalorditivo, in pochi potevano immaginare che Mad Max avrebbe ridefinito l’immaginario distopico arrivando ad influenzare un determinato immaginario nell’arco di quarant’anni. Eppure quell’esordio fortunato non solo si è trasformato nell’inizio di una saga, ma si è conquistato uno spazio importante nella cultura pop; basti pensare al nickname di gioco di Max Mayfield di Stranger Things, appunto Mad Max, o all’episodio numero 600 dei Simpson, ispirato a Fury Road. Anche la serie di videogiochi di Fallout, soprattutto nella rappresentazione delle terre desolate post atomica, è fortemente influenzata dall’estetica di Miller.
E di sicuro avrete visto la foto di George Miller insieme ad un grato e affezionato Hideo Kojima, l’autore per eccellenza del mondo videoludico, in occasione di un’anteprima di Furiosa.
Per non parlare dell’influenza che ha esercitato sul cinema di genere: Mad Max sovrappone la fantascienza al western, è fortemente postapocalittico e nutre poche speranze per il futuro dell’umanità; senza i film di Miller sicuramente non avremmo avuto opere come 1997: fuga da New York (1981), Waterworld (1995) e The Postman (1997), ma anche tantissimi videoclip, da Wild Boys dei Duran Duran a California Love di Dr. Dre e Tupac.
Ma facciamo qualche passo indietro.
Mad Max – Interceptor, 1979
Interceptor è il primo lungometraggio nella carriera di George Miller che, dopo il cortometraggio Violence in Cinema: Part 1, si dedica a quello che sarebbe dovuto essere il primo film di una trilogia d’azione. Il progetto, basato su una sceneggiatura scritta da Miller e James McCausland, parte da un budget limitato (così tanto da avere i soldi per una sola giacca di vera pelle, tutte le altre erano di plastica) e ha come protagonista un semi sconosciuto Mel Gibson ventunenne che interpreta (Mad) Max Rockatansky, un poliziotto della Main Force Patrol (tra le poche forze dell’ordine ancora in piedi in una Victoria futuristica) definito il “top pursuit man”, ovvero il migliore inseguitore, colui che mantiene l’ordine sulle strade della città piena di delinquenti.
Si dice che l’idea originale fosse quella di realizzare un documentario a proposito della brutalità degli incidenti stradali, a Miller interessava il concetto di desensibilizzazione nei confronti di questi avvenimenti; inizialmente Max doveva essere un giornalista e non un poliziotto, ma nulla funzionava come la possibilità di mettere in scena un dramma personale per comunicare una tragedia del genere.
Sebbene l’accoglienza critica non sia stata delle migliori, Interceptor ha incassato oltre 100 milioni di dollari e si è costituito come un unicum nel cinema australiano, sicuramente diverso da tutto il resto.
Il film si apre indirizzandoci a few years from now, un futuro indefinito in un’Australia distopica sull’orlo del collasso, dove la crisi petrolifera sta portando ad una vera e propria guerra per il carburante. Qui Max si scontrerà con una banda di motociclisti senza pietà: la loro violenza colma di follia lo porterà a scegliere di mettere fine alla sua carriera da ufficiale, perseguendo una rabbiosa vendetta personale nello scenario di un luogo che la civiltà ha abbandonato da tempo.
Impegnato in inseguimenti forsennati con una Pursuit Special nera (chiamata anche Last of the V8 Interceptors), e vestito di pelle dalla costumista Clare Griffin, il personaggio di Mad Max diventa un vendicatore solitario con il terrore di perdere anche l’ultimo briciolo di sensibilità, e Mel Gibson, che si era presentato al casting pieno di lividi per colpa di una rissa della sera precedente, fece centro. L’attore è infatti il protagonista anche dei due sequel.
Interceptor – Il guerriero della strada, 1981
Uscito negli Stati Uniti come The Road Warrior, Mad Max 2, ovvero Interceptor – Il guerriero della strada, è ambientato circa tre anni dopo il primo capitolo e risuona come un western che si contamina anche di caos, azione, e un’inusuale pizzico di fantascienza.
Dopo un vagare solitario in questa wasteland bruciata e polverosa, con la sola compagnia di un cane (dettaglio che ritroviamo proprio nei videogiochi di Fallout), Max riscopre la sua umanità. Ma riscopre anche la possibilità di un guardaroba di tutt’altro livello rispetto a quello del primo film: subentra infatti la costumista australiana Norma Moriceau, che definisce una volta per tutte lo stile che avrebbe caratterizzato anche i film seguenti, arrivando fino a noi. Fortemente influenzati dal punk, alle ispirazioni dei costumi per Mad Max 2 aggiunge componenti fetish e dettagli curatissimi, anche per le comparse, senza dimenticare il modello di partenza, ovvero il look da motociclista.
Il questo secondo capitolo Max decide di aiutare gli abitanti di una raffineria, assediati dai predoni. Continuano le corse forsennate lungo le strade australiane, il protagonista diventa consapevole di aver ritrovato uno scopo, ma questo non lo salverà dalla decisione di proseguire da solo il suo viaggio.
Mad Max oltre la sfera del tuono, 1985
Nonostante il rifiuto di una possibilità di speranza per il genere umano, Max continua a far sue battaglie etiche che chiunque in quel panorama disastroso lascerebbe bruciare. In Mad Max Beyond Thunderdome torna l’antieroe ex poliziotto ormai senza macchina (distrutta nel film precedente), con un vago ricordo in brandelli della sua uniforme. Sono passati quindici anni dalle vicende del film precedente, e il protagonista si scontra qui con il personaggio di Aunty Entity, una leader spietata con mire dittatoriali che comanda l’insediamento di Bartertown. La tiranna (forse una volta un capo con buone intenzioni) è interpretata da Tina Turner, che non solo diventa iconica negli abiti scultorei futuristici (sempre ideati da Moriceau) ma che realizza anche due brani per la colonna sonora: We Don’t Need Another Hero e One of the Living.
Max viene esiliato dalla donna e si imbatte in una tribù di bambini selvaggi che lo “adottano” come loro salvatore: in realtà sono i figli dei superstiti di un incidente aereo e conoscono poco del mondo in cui sono finiti, i loro genitori non sono più tornati e loro sono in attesa di una sorta di Messia, che forse è arrivato al momento giusto. Le gesta di Max diventano leggenda e il suo riscatto sociale e morale avviene, dopo tantissima violenza, combattimenti e sangue, grazie al sacrificio per l’altro.
Mad Max: Fury Road, 2015
É il 2015 quando Fury Road esce al cinema, gli anni ’80 sono finiti e le nuove possibilità del mezzo donano un ritmo ancora più incalzante alla storia, specialmente attraverso il montaggio di Margaret Sixel e la fotografia di John Seale, e ovviamente la regia di Miller. Nel soggetto compare anche il nome di Brendan McCarthy, artista e fumettista britannico (che ha disegnato anche i bozzetti dei veicoli e dei personaggi).
Il film è il seguito diretto del terzo episodio della trilogia iniziale, Max non è più interpretato da Mel Gibson bensì da Tom Hardy, che viene trovato triste e mogio in mezzo al deserto dalla banda dei Figli di Guerra che lo usano come risorsa di sangue ambulante. Si tratta dell’esercito personale al servizio del tiranno che governa la zona, Immortan Joe, il quale impera grazie a risorse preziosissime d’acqua. L’uomo mira inoltre ad un progetto di riproduzione da brividi per mezzo di cinque giovani mogli rapite per mettersi al servizio di una procreazione tutt’altro che consenziente.
Max conosce così Furiosa (Charlize Theron), una ex Figlia di Guerra ribelle che sta trasportando un’autocisterna corazzata, contenente le donne destinate a Joe, per raggiungere prima Gas Town dove rifornirsi di carburante, e poi un luogo chiamato Luogo Verde delle Molte Madri, di cui ha ricordi di quando era bambina, prima che venisse rapita. Inizialmente poco propenso a farsi trascinare nell’ennesima fuga con inseguimenti, scontri e inquadrature così brevi da non comprenderne neanche i soggetti, finisce con lo sposare la causa, e, come aveva salvato i bambini selvaggi, salva anche le vergini vestite di bianco che scappano dal mostruoso Joe.
Mad Max: Fury Road comprende 120 minuti di adrenalina pura, si aggiudica sei premi Oscar nel 2016, ed è perfetto se cercate l’esempio da manuale di palette teal and orange applicata ad un lungometraggio action.
Ora non rimane che aspettare il 23 maggio. Continuate a seguire FRAMED anche sui social, siamo su Facebook, Instagram e Telegram.