Lovecraft Country è la nuova serie HBO ispirata all’omonimo romanzo di Matt Ruff (2016) che affronta il tema e il trauma del segregazionismo statunitense intrecciandolo alla letteratura e al cinema di genere, dall’horror alla fantascienza. L’abbiamo già presentato nella nostra recensione, ma qui ci focalizziamo sugli innumerevoli riferimenti artistici, letterari, culturali e filosofici che la rendono imperdibile.
Questa è la seconda parte della nostra Guida a Lovecraft Country, interamente basata sui riferimenti alla cultura afroamericana. Per la prima parte, sui riferimenti culturali più ampi, cliccate qui. Attenzione, per ovvie ragioni, la Guida contiene SPOILER!
Riferimenti storici e antropologici alla black culture in Lovecraft Country
Jim Crow e Sundown Towns
Jim Crow Laws o più semplicemente Jim Crow sono le leggi della segregazione che caratterizzano un lungo periodo storico dal 1877 al 1964, negli Stati Uniti, tanto da poter usare il termine con accezione temporale. Sono gli anni dei linciaggi pubblici e, per esempio, delle Sundown Towns: città e paesini in cui era concesso sparare a vista o linciare gli afroamericani, senza particolari motivazioni di pericolo, dal tramonto all’alba. Lo si vede bene nel primo episodio, in cui la fuga dei protagonisti toglie il respiro.
Il Green Book
Due dei personaggi, George Freeman e la moglie Hippolyta, per professione curano un volume-guida che ricorda molto il Green Book. Ossia la guida stradale che durante la segregazione aiutava i viaggiatori afroamericani a trovare alberghi e ristoranti a cui poter accedere.
Emmett Till
Rimanendo in tema segregazione, infine, negli USA ha colpito moltissimo la chiara presenza di Emmett Till tra i personaggi della serie. Emmett, detto Bobo, era un ragazzo di Chicago linciato e ucciso da un gruppo di bianchi durante un viaggio in Mississippi. La sua morte fu la miccia che accese il Civil Rights Movement, anche perché la madre scelse un funerale con open casket (bara aperta) per denunciare pubblicamente la tortura subita dal figlio. In Lovecraft Country compare nel terzo episodio vestito esattamente come in una nota foto vera del ragazzo. L’ottavo episodio è poi quello dedicato al suo storico funerale.
Vudù e Santeria
La prima volta che vediamo Emmett sta giocando con altri ragazzi con una tavola Ouija e quando lo spirito si manifesta predice appunto il suo tragico viaggio al Sud. Questo ci porta a una componente essenziale di Lovecraft Country, quella spirituale, che nel terzo episodio è al suo picco. Si intitola proprio Holy Ghost (Spirito Santo, ma letteralmente Fantasma sacro) e fa riferimento a molti aspetti del Vudù e della Santeria. Primo fra tutti la costante presenza degli spiriti e degli antenati attorno ai vivi. Il discorso sugli Ancestors è focale nelle serie.
Il modo in cui Leti, protagonista assoluta dell’episodio, impara a comunicare con gli spiriti che infestano la sua casa è quasi una lezione di antropologia, qualcosa di così ancestrale e lontano dalla cultura occidentale che rischia quasi di non essere vissuto pienamente nella sua importanza. È rarissimo vedere una rappresentazione del genere in una serie “commerciale” anche se pur sempre HBO.
Quel che accade, poi, non sarebbe possibile, senza l’aiuto della Sacerdotessa che probabilmente rappresenta un altro culto sincretico afroamericano e caraibico, la Santeria. Non è specificato ma è deducibile dagli abiti della donna ed è comunque un riferimento potentissimo in una serie di questo calibro.
Il massacro di Tulsa
Infine, ultimo riferimento storico, a cui è dedicato l’intero nono episodio è il Massacro di Tulsa, avvenuto nel 1921. Fu un attacco mirato e crudele a un intero quartiere afroamericano, Greenwood detto Black Wall Street, totalmente incendiato. Un vero e proprio conflitto civile in poche ore (la notte tra il 31 maggio e il 1° giugno), in cui furono distrutti ben 35 isolati, anche per via aerea. Quest’ultimo dettaglio, che evidenzia la premeditazione dell’azione, fu spesso negato dalle autorità, ma l’episodio decide di mostrarlo. Per l’occasione, particolarmente tragica la produzione ha commissionato anche un’opera originale, cantata dal soprano Laura Karpman.
La musica
A parte il bellissimo requiem originale del nono episodio, tutta la serie è ricchissima di grandi brani della tradizione black, da Nina Simone a Billie Holiday, da Etta James a Cardi B o da Timbaland a Solange. Trovate la playlist su Spotify!
Citazioni artistiche e letterarie della black culture in Lovecraft Country
La prima, evidente, citazione è quella alle celebri fotografie di Gordon Parks, accompagnate dalla voice over di James Baldwin che pronuncia il suo discorso sull’American Dream, costruito a spese degli uomini neri. In realtà lo pronunciò nel 1965, dieci anni dopo gli eventi narrati dalla serie, ma dà il tono e la spinta iniziale a Lovecraft Country. Ne evidenzia i forti temi sociali.
Il secondo episodio, Whitey on the Moon, prende il titolo da un brano spoken-word (poesia parlata) di Gil Scott-Heron (1970). Una canzone di denuncia contro la società che manda l’uomo bianco sulla Luna mentre il popolo nero, nello stesso Paese, sopporta una vita ai limiti dell’umano. La scelta di inserirla negli ultimi minuti, al momento del (primo) sacrificio di Atticus (Jonathan Majors) non è casuale. È un modo per marcare il continuo progresso della società bianca tramite lo sfruttamento del popolo nero, come diceva esattamente Baldwin nel discorso citato prima.
Si tratta poi di un tema caro al produttore Jordan Peele che è probabilmente citato in modo diretto nell’episodio 5, quando il Capitano della Polizia (colluso con i Braithwaite, i maghi nemici), mostra parte del suo torso “rubata” a un corpo nero. Il pensiero va subito, chiaramente, a Scappa – Get Out.
Il settimo episodio, I Am, cambia tono e presenta l’Afrofuturismo, interessantissima corrente culturale nata negli Anni Settanta. Nell’arte ha dato vita a molte versioni alternative di un’Africa mai colonizzata e prospera. L’esempio oggi più famoso è Wakanda in Black Panther (Ryan Coogler, 2018), il riferimento diretto dell’episodio però è a Space is the Place. Un film del 1974 in cui il jazzista Sun-Ra pronuncia il monologo che si sente fuori campo, ossia un ragionamento per assurdo tra un alieno e un uomo nero. Ecco un breve passo del monologo tradotto: Non sono reale. Sono come te. Tu non esisti nella società. Se esistessi, il tuo popolo non lotterebbe per i diritti civili. (…) Quindi noi siamo entrambi dei miti.
Nell’ottavo episodio i riferimenti sono così fitti che si rischia di perdersi. Innanzitutto c’è La capanna dello zio Tom, celebre romanzo diventato poi uno stereotipo per indicare i neri troppo servili. Tra i suoi personaggi, però, si riconosce Topsy, una bambina dispettosa e ineducata, rappresentazione del pickaninny, che qui però diventa un doppio demone spaventoso, perfetto per le scene da jump scare (vi farà cioè saltare sulla sedia, assicurato!).
Protagonista di questo episodio è Dee/Diana, che si rivelerà molto importante nel finale, ma che qui fa le veci di tutte le brillanti ragazze afroamericane, spesso sottovalutate o svalutate. Infatti nel momento più coraggioso dell’episodio risuona in voce fuori campo il discorso sulle black girls di Naomi Walder che a 11 anni l’aveva pronunciato alla grande March for Our Lives (2018) a Washington.
Similmente nell’episodio successivo (il nono), risuona ancora un’altra voce fuori campo. È quella dell’attivista Sonia Sanchez, che recita la sua poesia Catch a Fire.
Where is your fire? I say where is your fire?
Can’t you smell it coming out of our past?
The fire of living… not dying
The fire of loving… not killing
The fire of Blackness… not gangster shadows.
Gli ultimi due riferimenti su cui mi soffermo sono quelli nel finale (1×10). Hippolyta nomina chiaramente una certa Afua, artista del futuro, che è Afua Richardson, autrice di tutte le tavole e le illustrazioni presenti nella serie. Infine le parole che Atticus/Tic dedica al padre Montrose, citate da Alexandre Dumas, che come spiegato dalla serie, è considerato un black man.
Con queste parole, che sono anche il messaggio ultimo di Lovecraft Country, si conclude la Speciale Guida di FRAMED:
Non esiste la felicità né la tristezza. Esiste solo il paragone fra uno stato dell’Essere con l’altro. Chi ha provato il dolore più profondo è ben più capace di riconoscere anche la felicità suprema.
Il Conte di Montecristo – A. Dumas
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