Il 27 ottobre del 2013 il profeta dei Velvet Underground, cantante e chitarrista solista, nonché icona della musica e del mondo del rock abbandonava il lato selvaggio della vita e si concedeva l’eterno riposo, quell’uomo era Lou Reed.
Tipping the Velvet (Underground)
Lou Reed aveva studiato poesia con Delmore Schwartz e al college aveva fatto il dj radiofonico notturno. La sua era una formazione artistica, e l’avrebbe portata nella musica.
A metà degli anni ‘60, insieme ad un altro genio come John Cale, violista di formazione classica, fondò i Velvet Underground, che furono presi sotto l’ala protettrice di Andy Warhol e con il maestro della Pop Art come manager realizzarono The Velvet Underground & Nico (1967).
Duro, quasi grezzo, spietato, era la cinica risposta newyorchese all’escapismo dei Beatles di Sgt. Pepper e all’esaltazione di una sensorialità “acida” dei Doors. Il disco fu un flop, e questo ne decretò l’immortalità.
Perché i Velvet Underground erano la risposta cruda e inaudita all’esaltazione lisergica della fine degli anni ‘60, e il loro fu un idillio senza industria che durò fino al 1970, quando Reed abbandonò il gruppo lasciandovi un pezzo di sé stesso.
Lou Reed non era un musicista da prima pagina, da gala e concerti mondiali. Amava i vicoli, le periferie oscure e gli piaceva riflettere sulla natura dell’uomo. Dentro di lui pulsava una New York che non avrebbe mai smesso di esaltarlo e di farne un poeta decadente del capitalismo.
Cosa ascoltare su Radio Brooklyn
Adorno scrisse, “l’opera d’arte giunge al di là del mercato, che le è eteronomo, solo quando porta l’immaginario di esso alla propria autonomia; la modernità è arte per mimesi dell’irrigidito e dell’estraniato”. Lou Reed, con la sua poetica realistica e cruda fatta di decadenti, ma oltraggiosamente vere, poesie moderne sulla vita da strada, sugli emarginati e il menefreghismo sociale e della società stessa, invece che evadere da o lottare con essa, scelse di impadronirsene, di iniettarsela per vomitarla tramite la musica sul mondo stesso.
Il binomio di album live Rock ‘N’ Roll Animal (1974) e Live: Take No Prisoners (1978), esprimono bene la sua vena artistico-musicale e il suo astio per la società consumistica, capitalistica e ipocrita.
Street Hassle (1978) fu un vero punto fermo della narrazione sociale delle grandi città e del malessere che le infestava (e continua ad infestarle).
Ma anche in un successo di critica e pubblico come Transformer (1972) Reed non trasgredì la sua poetica e la sua visione del mondo.
Mito, icona, idea
Lou Reed e i Velvet Underground non sono stati il mito di una generazione umana, ma di una generazione musicale. I critici hanno versato fiumi di inchiostro per arrivare a definire quella modesta band come il La creativo di buona parte della musica di questo secolo.
A 10 anni dalla morte possiamo dire che la produzione del chitarrista con la giacca di pelle, i jeans e gli occhiali da sole, in gruppo o solista, ne ha fatto un mito della musica e un’istanza senza tempo di rivoluzione sociale e di anticonformismo.
Il filosofo e politico Vaclav Havel disse che senza Lou Reed e la sua musica non sarebbe mai diventato presidente della Repubblica Ceca.
Lou, I’ll see you in the wild side of heaven.