La più grande follia della storia del metal norvegese, tra leggenda e cronaca nera, e come certi biopic non sanno trattare le patate bollenti (e le chiese bruciate).
La cultura pop è, molto spesso e non sempre volentieri, musica tanto quanto una serie infinita di altri fattori, vicende, parole, immagini, che influiscono tanto quanto i giri armonici, le drum machine, il mixing. La grande notizia è che questo non accade soltanto sui palchi illuminati a giorno del Super Bowl, le birre da quaranta euro negli stadi e i fiori di Sanremo. La musica non è mai solo e soltanto musica.
Non lo è neppure nel profondo della Norvegia meridionale, tra qualche foresta oscura intorno ad Oslo, e nemmeno nei sotterranei di una cantina illuminata male in un negozio di dischi che si chiama “Helvete”, che in norvegese vuol dire “Inferno”, all’inizio degli anni ‘90. È qui che nasce il Black Metal Inner Circle, al lume di qualche scenografica candela nera e un sacco di paure inespresse di artisti poco più che diciottenni.
I nomi fondamentali da ricordare in questa storia sono due: Øystein Aarseth, o Euronymous se preferite lo stage name, e Varg Vikernes, che di nomi ne ha una sfilza e tutti piuttosto altisonanti e complicati. Attorno a questi due capelloni scandinavi borchiati ruota tutta una serie di altri capelloni scandinavi borchiati che si inseriscono prima o dopo nelle vicende. Qualche nome: Dead, Necrobutcher, Bard Faust, Samoth.
A Helvete, in Schweigaards gate 56, a partire dal 1991 si ritrova l’elite del black metal norvegese del periodo. Il negozio lo ha aperto Euronymous, fondatore e chitarrista dei Mayhem, con l’idea di dare spazio solo ai duri e puri. E lo fa pure con la sua etichetta, la Deathlike Silence, con cui produce un sacco di bei dischi, oggi pietre miliari del genere. Un giorno passa di lì Varg Vikernes con i suoi demo di Burzum, la one man band perfetta per soddisfare il suo evidente ego smisurato. Spoiler: Euronymous finisce davvero molto male e questo incontro con Varg alla Helvete è una valanga da cui non riuscirà più a tornare indietro.
La storia del Black Metal Inner Circle viaggia su tre binari paralleli che hanno più volte confluito l’uno nell’altro, con conseguenze tutt’altro che positive: il primo è quello di alcune delle band che hanno fatto la storia del metal scandinavo, determinando una cifra stilistica a cui gran parte della scena black successiva è debitrice. Il secondo è quello della cronaca nera e di una lunga serie di atti criminali che hanno colpito la Norvegia degli anni ‘90 come un treno in corsa e da cui nessuno è uscito vincitore. Il terzo, il più tragico, è quello della vicenda umana: giovanissimi artisti con una grande sensibilità musicale che non sono riusciti a trovare mai un posto nel mondo. Ragazzi sofferenti, incompresi, outsider figli della medio-borghesia che nessuno ha voluto ascoltare, non in tempo, almeno.
Il “circle” altro non era che un ritrovo tra gli intimi di Euronymous e Varg nei sotterranei del negozio di dischi, i più real, come direbbe uno Sfera Ebbasta qualsiasi. Dalla sua fondazione è stato costellato da eventi tragici che si sono intrecciati con la storia dei singoli in una matassa inestricabile di finzione e realtà, tutt’oggi non del tutto chiarita.
Nell’aprile del 1991 Dead, il sorprendente nuovo cantante dei Mayhem che di strada davanti a sé nella musica ne avrebbe avuta parecchia, si taglia braccia e collo e si spara un colpo in testa con un fucile. Lascia pure un messaggio, vicino al suo cadavere ormai esangue: “Ursäkta blodet”, “Scusate per il sangue”. La foto del suo corpo disperatamente martoriato dalle lame e dalla pallottola nel cranio diventa, poi, la copertina di Dawn of the Black Hearts, l’ormai famigerato bootleg dei Mayhem pubblicato nel 1995.
Intorno al 1992 un sacco di chiese sparse per la Norvegia prendono fuoco e vengono rase al suolo. Sono tutte piccole chiese medievali, completamente in legno, bruciano in fretta e non rimane niente. In tutto sono 52. L’Inner Circle rivendica alcuni roghi, in particolare Varg Vikernes, mentre di altre azioni simili non è mai stata confermata la paternità. Ma non importa, tutto fa brodo per alimentare l’alone di paura e mistero attorno al vero black metal.
Le cose si complicano, man mano che ci si avvicina al 1993. C’è un omicidio. Forse Euronymous è omosessuale e Varg è filonazista: le due cose non vanno a braccetto. Probabilmente i due si attaccano per questioni di soldi, di ideologia, di odio razziale. Il 10 agosto di quell’anno Varg prende un coltello e uccide Euronymous con 23 coltellate: 2 alla testa, 5 al collo, 16 alla schiena, forse pure una al cranio, per sfregio.
Tutto quello che rimane di questa storia è una condanna a 21 anni di carcere per Varg, che ha continuato a rilasciare discutibili interviste e pubblicare articoli e libri sulle sue arzigogolate idee politiche in bilico tra paganesimo e nazismo, i cadaveri di due giovanissime promesse dell’underground scandinavo e la musica.
Nonostante tutto, la musica c’è. C’è Deathcrush, il primo EP dei Mayhem del 1987, c’è De Mysteriis Dom Sathanas, l’album che ha cambiato il corso del black metal europeo – e non solo – con il suo tremendo nichilismo, il sound primordiale, crudo, che arriva dritto come la pallottola di un fucile.
Lords of Chaos
Fast forward a vent’anni più tardi. È il 2018 e Vice produce un lungometraggio ad alto budget con Rory Culkin ed Emory Cohen su Euronymous e la sua tragica fine, per il pubblico generalista. Cosa mai potrebbe andare storto?
Passi trasformare la storia di un gruppo che ha cambiato il corso di un certo sottogenere musicale in un coming of age in cui di musica si parla poco, passi pure trattare quelli che dovrebbero essere giovani artisti tormentati come macchiette senza spessore che ogni tanto urlano “Hail Satan” perché ci sta e “fa brutto”. Ma il più grande fallimento di Lords of Chaos è che non ama la materia che racconta. O almeno non sembra farlo fino in fondo. Eppure Jonas Åkerlund, il regista, ha alle spalle anni di militanza alla batteria dei Bathory e dietro la camera; un biopic sui Mayhem sarebbe potuto essere il giusto compimento di una carriera che attorno al metal ci ha campato. Ma non è così.
Euronymous e Varg sembrano soltanto due ragazzini annoiati, strafottenti, figli di una classe medio-borghese che regala le piantine da appartamento e chiama quando è pronta la cena. Ma sembrano anche fare quello che fanno per un motivo che non è mai approfondito, scavando in un’emotività che non si tocca mai fino in fondo. Non c’è spazio per le emozioni, in un racconto che sulle emozioni dovrebbe fare perno. Se è vero che l’immaginario black – e non solo – punta molto sulla drammatizzazione, è pur vero che non tutto ciò che è atto è da buttare via. Ci deve essere il trucco, il sangue, il satanismo, non importa se vero o finto, come ci deve essere tutto il resto. È difficile capire se Åkerlund creda davvero nella musica, o se in fondo non li veda come degli esaltati senza spessore.
Il ridicolo arco di redenzione di Euronymous, poco prima di morire per mano di Varg, termina con un simbolico taglio di capelli. Come a dire che con questa roba del metal, lui, in fondo, ci aveva chiuso. La stessa narrazione che si fa delle droghe, delle affiliazioni criminali, della malavita. Redenzione da che cosa? Il black metal rappresenta un passato di depravazione morale? Una fase adolescenziale che prima o poi passa? Euronymous torna ad essere Øystein, e infatti ha pure la camicia bianca, che notoriamente è sinonimo di rettitudine e rinascita morale.
Lords of chaos non potrebbe mai piacere ai fan dei Mayhem o del black metal in generale, ma nemmeno a chi si aspetta una semplice storia godibile, dal momento che, di fatto, non è neppure quello.
Unica nota positiva: il film, com’era prevedibile, ha fatto incazzare Varg Vikernes e va benissimo così.