Una delicata riflessione sulla caducità dell’uomo
Lezione ventuno rappresenta il debutto al cinema dello scrittore Alessandro Baricco. Il film del 2008 è un prodotto ben riuscito, e senza dubbio gran parte del merito è dato dai personaggi che animano la sceneggiatura. Lo stesso scrittore in un’intervista ha raccontato come il lavoro di squadra sia stato importante per realizzare il film (soprattutto per la caratterizzazione dei personaggi).
Nel film storia, favola e contemporaneo si fondono e compenetrano in più livelli. Sulle note della Nona Sinfonia di Beethoven lo spettatore è portato a conoscere la storia della Lezione ventuno del professor Kilroy, in una città metropolitana dei primi anni 2000, e al contempo a seguire il violinista Hans Peters nel suo singolare viaggio (mentale) prima di morire, nel 1831.
La storia nei costumi di Carlo Poggioli
Con il pretesto di approfondire la genesi della Nona Sinfonia, Baricco porta lo spettatore a riflettere sull’uomo e sulla sua fragilità. Lo stile del regista, contraddistinto dall’abilità di raccontare storie con la delicatezza di un narratore di fiabe, viene ben assecondato ed esaltato nei costumi di Carlo Poggioli.
Come Baricco, Poggioli attinge alla storia, ma con garbo. Non è la –purtroppo ormai consueta- superficiale rivisitazione di un periodo storico, dove la licenza poetica diventa sinonimo di approssimazione. Qui il contesto storico (principalmente dalla fine ‘700 al 1831) è pienamente “metabolizzato” nei costumi, che ce ne comunicano lo spirito. O perlomeno quanto di questo periodo si voglia comunicare, pur non rimanendo legati a una leziosa ricostruzione storica.
Lezione ventuno: il lavoro sui personaggi
Per comprendere appieno il lavoro fatto sui personaggi e sui costumi bisogna rifarsi al contenuto della cosiddetta “lezione 21”. Secondo il professor Kilroy l’Inno alla gioia non rappresenterebbe il massimo raggiungimento della carriera di Beethoven, ma al contrario, il simbolo della fine dell’epoca del compositore e del suo mondo. Così l’esecuzione della Nona nel 1824 non è altro che il canto del cigno del ‘700, del vecchio che viene superato dal nuovo.
Baricco introduce tra i filoni narrativi una serie di commenti di personaggi del “mondo di Beethoven” (quasi fossero i contributi speciali delle versioni dvd). Il costumista racconta questa visione della fine di un’epoca (s)vestendo personaggi che sono solo un ricordo sbiadito di quello che era il ‘700, un secolo che è ormai vinto, rassegnato, di cui è rimasta solo la polverosa cipria (che esalta le rughe del tempo anziché coprirle) e le vacue acconciature.
Ma non è un commento negativo a quell’epoca, anzi, non si può che provare tenerezza amara, quella stessa che si prova quando si vede un nostro caro, un tempo forte ed energico, lentamente invecchiare. Una ricostruzione storica alla lettera inoltre non avrebbe funzionato per vestire quel gruppo di personaggi che prendono vita nella mente del violinista.
Il lavoro fatto da Poggioli su questi (i “maestri”) è interessante e ben riuscito; per comprenderlo appieno è necessario capire cosa questi personaggi rappresentino. I “maestri” incarnano una sapienza antica, insita nella cultura popolare. Sono detentori di quella sensibilità genuina, vicina alla natura, in grado di percepire l’essenza profonda delle cose. Tutto questo trova voce e riscontro in un gruppo di costumi dalla matrice volutamente teatrale (scelta interessante), tanto da sembrare attori di una piccola compagnia di provincia. La scelta dei materiali e decori guarda al mondo rurale della periferia austriaca del primo ‘800, lontano dalle mode di Vienna, ma non per questo meno raffinato.
I dettagli della poesia
In linea con l’eterogeneità di questo gruppo di personaggi non c’è un colore dominante, ma una grande varietà di toni e tinte sapientemente combinati per creare una perfetta armonia di insieme. Soprattutto in questo caso, le scelte dei costumi sono indispensabili per rendere sullo schermo quella poesia e leggerezza (mai superficialità!) che contraddistingue lo stile di Baricco.
La stessa delicatezza che si ritrova anche nella costruzione del gruppo dei senzatetto che vivono con il professor Kilroy (che non sono altro che la trasfigurazione dei personaggi sopracitati). Non è posta attenzione sulla solitudine di questi individui né sul loro stato di degrado ma sulla loro umanità. Come per il gruppo dei “maestri”, le diverse fogge e colori non contrastano tra loro, ma creano un senso di armonia e vicinanza tra i personaggi.
Lezione ventuno in ultima analisi parla della precarietà e caducità dell’uomo. È forse per questo che Poggioli, con i suoi costumi, ci racconta i personaggi con uno sguardo misto di malinconia e tenerezza.