Psichedelica, allucinata e schizofrenica. Sono le prime parole che ci vengono in mente descrivendo Legion, serie prodotta da FX e in collaborazione con Marvel Studios, uscita nel 2017 e conclusasi (contro ogni senso economico) tre stagioni più tardi.
E queste parole descrivono al meglio anche il protagonista, David Haller (interpretato dall’incredibile Dan Stevens), ovvero Legione, personaggio proveniente dal mondo degli X-Men, uno dei più potenti mutanti di sempre, che oltre ad avere poteri telepatici, è in grado di cambiare a proprio piacimento la realtà. Quindi un eroe (?) potenzialmente onnipotente, un dio sceso in terra, creato da Chris Claremont e Bill Sienkiewicz, i quali, per controbilanciare i suoi enormi poteri, lo hanno reso psichicamente instabile e con personalità multiple.
Proprio partendo da queste premesse il creatore della serie Noah Hawley (showrunner di Fargo), ha dato vita a una serie che riflette lo stato mentale del protagonista, con una sperimentazione visiva mai vista nella serialità, con una narrativa incostante e poco lineare ma sempre alla ricerca di idee geniali per raccontarci la storia del protagonista (e anche di tutti i comprimari), e con una colonna sonora molto ricercata che, con il passare delle stagioni, prende sempre più spazio.
Il tutto, attraversato da un costante rimando agli anni ’70, con richiami a costumi, estetica e scenografie che creano un’ambientazione unica, non limitandosi a essere un mero sfondo, ma attraversando la narrativa e caratterizzando i personaggi stessi.
Salvatore dei mutanti o distruttore di mondi?
Se, come abbiamo detto, Noah Hawley prende il personaggio creato da Claremont in New Mutants del 1982, e nel dettaglio, si basa sulla serie X-men Legacy: Legion di Simon Spurrier, la trama e i quasi tutti i personaggi di Legion sono creati appositamente, senza però mancare di citazioni al mondo Marvel. Ma andiamo per gradi.
David Haller è un trentenne rinchiuso nell’ospedale psichiatrico Clockworks (sì, Kubrick è una costante all’interno della serie) dopo aver tentato il suicidio, tormentato fin dall’adolescenza da problemi mentali che lo astraggono dalla realtà. Insieme all’amica psicotica e tossicodipendente Lenny (forse l’interpretazione della vita di Aubrey Plaza), trascorre inerme la routine quotidiana finché Sydney “Syd” Barrett (Rachel Keller), una ragazza con la fobia del contatto fisico, entra nella sua vita e i due si innamorano.
Ma dai flashback del passato di David intuiamo che l’uomo nasconde un oscuro potere che si rivelerà solo quando i due finalmente si toccheranno, svelando da un lato il potere/maledizione di Syd, ovvero quello scambiare il suo corpo con un semplice contatto con un’altra persona (citazione evidente al personaggio di Rogue degli X-Men), e dall’altro gli incredibili poteri telecinetici di David, che, nelle mani di Sydney, saranno incontrollabili e porteranno alla distruzione della struttura.
A causa dell’evento, David verrà inserito in una struttura della Divisione 3, un’oscura organizzazione governativa di “contenimento” del pericolo dei mutanti, dalla quale verrà salvato dalla stessa Syd (nel frattempo riuscita a scappare) assieme a un’organizzazione di mutanti fondata da Melanie Bird (Jean Smart), nell’oasi protetta di Summerville. Qui gli verranno rivelati i suoi enormi poteri e capirà che le forme di psicosi da lui sviluppate sono dovute proprio ad essi, ma anche a un pericoloso e antico mutante, lo Shadow King (Navid Negahban), insidiatosi nella sua mente fin da bambino, come vendetta dopo essere stato sconfitto dal suo padre biologico, un altro potentissimo mutante (del quale David non è a conoscenza).
L’instabilità mentale di David con il passare delle stagioni sarà il punto centrale di sviluppo della trama di Legion. Quando lo Shadow King minaccerà il mondo intero, il protagonista da possibile salvatore della comunità dei mutanti (ma anche degli uomini), rischierà lui stesso di diventare un villain, perché totalmente fuori controllo.
Si aggiungeranno anche la ricerca delle sue vere origini e la relazione con Syd, che in ogni stagione attraverserà uno stadio diverso, specchio stesso degli eventi e delle psicosi di David.
I bei tempi prima del MCU
Legion, come già detto, nasce nel 2017, quindi ben prima dell’acquisizione della Marvel da parte di Disney e della creazione del coerente (si fa per dire) Marvel Cinematic Universe composto non solo da film, ma anche da serie televisive; infatti la produzione venne affidata ad FX con solo una collaborazione dei Marvel Studios. E francamente, questo è il punto di forza di tutta la serie: Noah Hawley, non dovendo sottostare a collegamenti, personaggi esterni o rimandi forzati, crea un mondo unico, ambientandolo in una sorta di anni ’70 contemporanei, con scelte di costumi e scenografie proprie di quegli anni, estendendosi anche alle grafiche di introduzione e di chiusura degli episodi.
Kubrick, con il suo Arancia Meccanica, sarà, soprattutto nella prima stagione, il faro guida estetico di tutta la serie, con le architetture oppressive e le fantasiose scenografie che lasciano senza chiari punti di riferimento chi guarda, restituendo il senso di mancanza di realtà di David. A esse si affiancheranno anche citazioni musicali al film, così come una completa ricostruzione, nell’episodio 2×06 (Realtà parallele), della scena del pestaggio del clochard (in questo caso interpretato da David) da parte dei drughi, all’interno di un filler narrativo perso in un what if delle possibili vie avrebbe potuto prendere la vita di David (vi lascio immaginare come vada a finire l’aggressione).
Ma le citazioni non si fermano qui, anche il film Guida galattica per autostoppisti del 2005 di Garth Jennings (tratto dal celebre libro) ha ispirato chiaramente la serie, non solo a livello stilistico e con rimandi diretti ad alcune scene paradossali, ma anche per le sequenze animate e grafiche, contrappunto di approfondimento narrativo e non solo. Molti sono anche i collegamenti a Repo Man – Il recuperatore (1984), ai quali si aggiungono omaggi indiretti a David Lynch, John Lennon e Italo Calvino, in un mix citazionistico e metalinguistico che dimostra la strabordante fagocitazione culturale di Noah Hawley riversata nella serie.
Ma soprattutto, la libertà dal MCU ha permesso allo showrunner di creare personaggi unici che potessero sia portare avanti la trama fornendo ognuno il proprio contributo, che essere raccontati senza limitazioni. E infatti il risultato raggiunto da Hawley ha quasi dell’incredibile, facendo appassionare lo spettatore a ogni personaggio e riuscendo, anche con episodi dedicati, a raccontarci di loro in maniera coinvolgente, mai didascalica e svogliata o semplicemente dovuta.
Basti pensare al rapporto fraterno tra Cary e Kerry, il primo uno scienziato geniale, l’altra una feroce combattente, due mutanti che condividono però lo stesso corpo e che per tutta la durate della serie avranno una continua progressione del loro legame simbiontico (come non citare il commovente episodio finale, con Kerry, con una ciocca di capelli bianca a citare di nuovo Rogue, che lotta strenuamente per difendere Cary).
E poi ovviamente Lenny, prima amica di David, poi fantoccio nelle mani dello Shadow King: in questi panni, sarà la vera protagonista degli episodi 1×06 e 1×07, ambientati nella mente del protagonista, forse i più incredibili a livello tecnico, con una fotografia spinta al limite da tinte di luce, un montaggio sincopato e musica debordante accompagnata da silhouette danzanti e ambienti in spaesante mutazione. Lenny è un personaggio che però andrà oltre il suo mero guscio e che nel corso della serie rivelerà tutta la sua crisi personale e affettiva, costantemente incatenata al controllo di qualcun altro.
L’amore non ci salverà. È ciò che dobbiamo salvare
In questi deliri schizoidi, in un intreccio affabulatorio scostante e giocoso, l‘amore però si erge come faro guida per David e Syd, ed è il vero motore narrativo della serie, che la farà partire (è l’arrivo di Syd al Clockwork che da il via agli eventi) e tristemente concludere. Ogni stagione rappresenta uno stato evolutivo del loro rapporto e sarà forse la vera causa dei mutamenti mentali del protagonista, che, pur essendone innamorato, arriverà a commettere atti orribili anche nei confronti della compagna, per proteggere la loro relazione. L’impossibilità di contatto, apparente ostacolo tra la coppia, si risolverà parzialmente grazie ai poteri di David e non sarà mai un vero problema tra i due, come invece lo saranno la follia e le personalità multiple, che minacceranno quell’amore che all’inizio sembrava incrollabile.
Syd si aprirà totalmente a David, facendolo entrare nella sua mente nel magnifico episodio 2×04, Brucia con me (con un piccolo riferimento a Lynch), dove lui attraverserà i suoi ricordi, dalla nascita fino all’adolescenza, dai rapporti con gli uomini a quello con la madre, e dove alla fine, in un igloo con al centro un fuoco di carta, simbolo del ventre materno, i due giureranno di salvare insieme l’amore dall’apocalisse. Ma cosa succede quando l’apocalisse è il tuo vero amore? Nella stagione successiva, quando a causa di una distorsione spazio-temporale Syd entrerà in contatto con la sua versione adolescente, capirà chi è davvero, e chi davvero dovrà amare.
L’amore sarà un punto centrale non solo tra David e Syd, ma anche tra l’atipica coppia formata da Melanie e Oliver Bird (Jemaine Clement, attore feticcio di Taika Waititi). Oliver è un potente mutante bloccato in un sonno criogenico per conservare il proprio corpo mentre la sua mente è persa nel piano astrale, la compagna Melanie mentre aspetta il suo ritorno da molti anni, porta avanti il progetto della comunità di mutanti ideata e voluta da marito, Summerville. La separazione, l’attesa, l’odio per esser stati abbandonati, sono tutte tematiche che la coppia affronterà insieme, forse l’unico simbolo di un rapporto d’amore incrollabile, al di là della realtà stessa, tenace a prescindere dalla fine del mondo.
Gli anni settanta sono morti, viva gli anni ’70!
E proprio Oliver, con il passare delle stagioni, sarà uno dei rappresentanti più importanti della cultura anni ’70 (ma non solo), così importante non solo a livello estetico ma anche a livello narrativo.
Oliver è rimasto bloccato in un piano astrale proprio durante quegli anni, a sorseggiare whisky nel suo completo 70s, ascoltando fusion jazz mentre si esercita con poesie Beat. Durante la seconda stagione introduce alcuni capitoli narrativi con sorprendenti riflessioni sociologiche (ma anche mistiche) che proprio in quegli anni prendevano forma negli USA e che faranno di volta in volta da apripista alla fabula dell’episodio. Sospese in un ambiente bianco asettico (forse un piccolo rimando visivo a Matrix), le sue riflessioni spazieranno dalla follia, alla violenza, dalla natura umana alla psicosi di massa, sempre accompagnate da sequenze (anche animate), piccoli capolavori di scrittura e regia a sé stanti.
Ma i riferimenti non si fermano qui, il mondo hippie, le comuni e il fanatismo settario avranno un’estesa rappresentazione nella terza stagione, come spunto di riflessione sui leader e il potere, e la musica (principalmente quella dei Pink Floyd) avrà un ruolo fondamentale, con rimandi diretti anche alle grafiche dei loro album. Non a caso il nome del personaggio di Syd rimanda a Syd Barrett, fondatore dei Pink Floyd, affetto da disturbo schizoide della personalità.
Proprio la colonna sonora merita un plauso; partendo da una selezione musicale che dagli anni ’70 arriva fino ai giorni nostri, e che parte dai Velvet Underground, passando dai Radiohead, ai T-Rex fino a Bon Iver. Ad essa si aggiungono anche una serie di brani creati dal compositore Jeff Russo assieme allo stesso Noah Hawley, che oltre a brani originali, compongono una serie di cover di brani dei Pink Floyd, Cream, Talking Heads, Elvis Costello, R.E.M. e Eric Clapton, spesso cantante dagli stessi attori, dove non si può non sottolineare l’estrema ecletticità di Dan Stevens anche in questo capo, oltre la sua magistrale interpretazione attoriale (ve lo ricordate in Eurovision Song Contest?).
“Sono una brava persona. Merito di essere amato” (spoiler)
Proprio la musica sarà l’apice narrativo della serie nell’episodio finale, dove David, ricongiuntosi alla madre Gabrielle (Stephanie Corneliussen) dopo esser riuscito a raggiungerla nel passato, canterà assieme a lei Mother dei Pink Floyd, in un vero e proprio videoclip integrato all’interno dell’episodio. Infatti, nella stagione finale, tutti i nodi narrativi verranno sciolti e David capirà finalmente chi sono i suoi genitori biologici: da un lato Gabrielle, che ha attraversato gli orrori dei campi di concentramento nazisti, anche lei malata di schizofrenia e dall’altro Charles Xavier (Harry Lloyd, Viserys Targarien nella prima stagione de Il Trono Di Spade), icona degli X-Men.
In una stagione fatta di continui sbalzi temporali (ma che forse è la più lineare di tutta la serie), la mutante Switch (interpretata dall’attrice ed illustratrice Lauren Tsai), sarà il veicolo narrativo della stessa, grazie al suo strabiliante potere di poter viaggiare nello spazio/tempo, e sarà “sfruttata” da David per riuscire a sistemare il presente, andando alla radice di tutti i suoi problemi, lo Shadow King aka Amahl Farouk.
Raggiunto Xavier nel passato, tenterà con il suo aiuto di ucciderlo, evitando che poi si impossessi della sua mente da bambino, ma i loro piani non andranno in quella direzione. Xavier e lo Shadow King, i due “padri” di David, stabiliranno una pace e la linea temporale di tutta la narrativa sarà cancellata, in un hard reset narrativo tipico del mondo dei comics statunitensi ma, in questo caso, dotato di senso e di logica.
Tracciare la via tra autorialità e genere
“for me, the whole show started with this idea, even before I had assigned a character to it. It was just: What can I do in this genre? I felt like, for the genre to be great, it would have to be a great show regardless of the genre.”
Noah Hawley
(fonte: https://www.vulture.com/2018/06/legion-season-2-finale-noah-hawley-interview.html)
Legion riesce nell’incredibile risultato di mescolare autorialità, sperimentazione tecnica e sofistica narrativa all’interno di un contenuto di genere come quello dei “cine-comics” che, soprattutto negli ultimi anni sta perdendo il passo e forse anche il senso, limitato dai vincoli del MCU (ormai con il termine cine-comics si intendono solo i blockbuster supereroistici, mentre ci siamo dimenticati di Ghost World, Era Mio Padre e La Vita Di Adele, e molti altri). La totale di libertà creativa concessa da FX a Noah Hawley ha portato alla creazione di un prodotto unico: all’avanguardia per il suo medium, metalingiustico, citazionistico e tremendamente creativo che non ha pari in tutto il mondo della serialità televisiva.
Non sorprende che Legion non abbia purtroppo ottenuto il successo che meritava, con un pubblico generalista non abituato a questa tipologia di racconto (soprattutto seriale), ma sorprende come FX (e forse gli stessi Marvel Studios) lo abbiano voluto portare a termine a tutti i costi, forse anche grazie agli apprezzamenti della critica.
Legion non sarà ricordato dal pubblico, ma ha influenzato sostanzialmente le trasposizioni seriali di qualità dal mondo dei fumetti: impossibile non notare i collegamenti con la serie di Watchmen di Damon Lindelof, che esattamente come Hawley, non si è limitato a un semplice adattamento, ma ha utilizzato la narrativa originale come punto di partenza per creare qualcosa di nuovo, unico e fuori dai canoni, anche tecnici. Così come The Boys, che ha sfruttato il genere supereroistico sia per ridicolizzarlo che per raccontare la contemporaneità degli Stati Uniti. Forse senza Legion, queste serie non sarebbero mai nate.
Potete trovare tutte le stagioni su Disney+, quindi non avete scuse, immergetevi nella mente scostante di David (o meglio, di Noah Hawley), sperando di non perdervi anche voi.
Si ringrazia Leonardo D’Angeli per la guida nel mondo malato e sfaccettato di Legion.