Laputa Miyazaki Studio Ghibli Lucky Red

Lo troverete in sala dal 27 luglio al 2 agosto, primo lungometraggio ufficiale dello Studio Ghibli, Laputa – Castello nel cielo.

Pietra miliare e capolavoro inalterato dello steampunk, un’avventura epica e romantica capace di travolgere i sensi e le emozioni degli spettatori ancora oggi.

I giovani eroi

Una ragazza, Sheeta, fugge da un dirigibile governativo durante il raid aereo di una banda di pirati. La giovane precipita fin dentro una cittadina mineraria venendo salvata dal potere levitante che improvvisamente manifesta la pietra che porta al collo, chiamata gravipietra. In città fa la conoscenza di Pazu, un giovane orfano che decide di aiutarla e proteggerla dagli uomini che la minacciano. I due, braccati dal governo, e in particolare dal diabolico Muska, e dai pirati, intraprendono un viaggio alla scoperta dei misteriosi poteri della pietra che sembrano essere connessi con la leggendaria città volante di Laputa.

Il film è pregno della tipica magia visiva del regista e di un’epica intima; grazie ad un esercizio magistrale di limatura della storia e puntualità nel trattare i temi Miyazaki regala un’esperienza sensoriale pervasiva che si consuma in due ore.

Al centro di tutto vi è la città che dà il nome al film, Laputa, una meta bramata da molte parti, ognuna con una sua diversa morale con cui lo spettatore deve fare i conti.

C’è il sogno infantile perseguito con audacia e testardaggine da Pazu, che riecheggia nelle storie di moltissimi personaggi di svariate opere.

Muska invece ha uno spregiudicato obiettivo personale, mascherato da missione militare, di potere e di controllo. E infine ci sono i pirati, che però nella loro umana e sgangherata sete di ricchezze, sono più vicini allo scopo puro del giovane ragazzo che all’eminenza governativa.

E non ultima c’è la misteriosa figura di Sheeta, chiave dell’accesso alla città volante, che però è in cerca solo di uno spiraglio di felicità e amore.

Quando sei scesa dal cielo mi sono così emozionato. Doveva essere per forza l’inizio di qualcosa di grandioso

Pazu a Sheeta

Opera prima senza un difetto

Il film è l’ultimo ad avere quello stile grafico che Miyazaki ha sviluppato con vari lavori televisivi degli anni ‘70. L’estetica invece è subito riconoscibile come miyazakiana; da quel primo Il castello di Cagliostro (1979) a l’ultimo film che esce quest’anno la sua cifra stilistica è rimasta immutata, sensuale e coinvolgente.

Persino nella scrittura e nel ritmo c’è una maestria invidiabile, frutto dell’esperienza del regista e della grandezza dello studio appena fondato.

Ancora una volta tocchiamo avidamente con mano i temi cari al regista, da quell’antimilitarismo che ci accompagnerà sempre in vari modi, all’ambientalismo, l’aviazione e l’infinita lotta tra natura e progresso.

La musica di Joe Hisaishi incornicia con dell’oro armonico alcune delle migliori sequenze mai viste nell’ambito animato cinematografico.

La scena del risveglio della pietra e del robot conserva ancora oggi un’estetica lovecraftiana inquietante, nel design della creatura e nella regia d’animazione del suo inseguimento di Sheeta.

Ma soprattutto il grande scontro finale su Laputa tra l’illusoria divinizzazione e il coraggio e la purezza umani fanno oggi sembrare l’intera sequenza immortale quanto i miti di Tebe e Troia, e le loro storie di splendore, grandezza e infine rovina.

Ghibli, così nasce la leggenda

Laputa fu il primo film del neonato Studio Ghibli. Troppo spesso si sovrappongono le immagini mentali dello studio e del regista, portando molti a credere che sia Nausicaa della Valle del Vento (1984) il primo film del Ghibli, e che tutti i film dello studio siano di Miyazaki.

In realtà questo e Nausicaa furono le uniche due collaborazioni fra Takahata, come produttore, e Miyazaki, come regista e sceneggiatore.

Lo studio nacque il 15 giugno 1985, da Hayao Miyazaki, Isao Takahata, suo amico e mentore, e Toshio Suzuki, che in seguito subentrerà a Takahata come produttore dei film di Miyazaki.

Se pensiamo che Laputa uscì il 2 agosto dell’86, poco più di un anno dopo la fondazione dello studio, ci rendiamo conto di cosa era capace già all’epoca questa fucina di sogni.

La qualità del loro lavoro porta molte opere dello studio ad essere toccanti ed avvincenti come le rose dei giardini dei poeti. I grandi film sopportano il tempo, lasciando che ad invecchiare sia il guscio tecnico mentre l’aspetto estetico e pervasivo resta invece inalterato, e sono così capaci a distanza di decenni di commuovere ed emozionare come fecero il giorno del loro rilascio in sala.

Dove è arrivato Laputa?

Guardando il film si nota immediatamente come molti elementi siano i progenitori visivi e caratteriali di alcuni iconici personaggi dei successivi film di Miyazaki.

Dola per esempio è decisamente la madre delle grandi Yubaba e Zeniba de La città incantata (2001), come Pazu lo è in parte di Sosuke di Ponyo sulla scogliera (2008).

Molti temi ripresi hanno qui un primigenio trattamento, dalla distruzione totale che si abbatte sul mondo, frutto della corruzione umana, che verrà ripresa in Principessa Mononoke (1997), alla pirateria volante di Porco Rosso (1992).
Ma oltre il suo regista molti altri autori sono stati influenzati da Laputa.

Makoto Shinkai lo ha definito il suo film animato preferito, omaggiandolo in Viaggio verso Agartha (2011). L’opera miyazakiana ha influenzato moltissimo la Pixar, e soprattutto John Lasseter, ex CCO; nel robot lasciato a curare il mondo in stato di abbandono potrebbero esserci le radici di WALL-E (2008).

Doveroso poi citare Nadia e il mistero della pietra azzurra (1990) dello studio Gainax, e quindi il film Disney Atlantis – L’impero perduto (2001).

Per finire

Possiamo affermare, con giuste prove, che Hayao Miyazaki sia uno dei pochi registi che nella sua filmografia non ha un singolo lungometraggio “brutto” (aspettando il suo ultimo film); si possono ordinare soggettivamente in base ai propri gusti, ma sono oggettivamente opere dai difetti minimi o nulli.

Laputa – Castello nel cielo è una corroborante opera che riflette sulla natura del potere e dell’amore.

Magniloquente nelle animazioni e calibrato nella storia, è uno di quei film seminali in grado di tracciare mille e più rotte verso la comprensione e l’apprezzamento di moltissime altre opere che da esso traggono fortemente ispirazione. La sua visione è un piacere caldamente consigliato.

Illustrazione di Chiara Fiordeponti @fiordip del @collettivoviscosa per FRAMED Magazine

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Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.