La vita prima dell’uomo, un romanzo del ’79 di Margaret Atwood, è stato da poco pubblicato in Italia da Ponte alle Grazie con la traduzione di Raffaella Belletti. La celebre scrittrice canadese de Il racconto dell’ancella e de L’altra Grace scandaglia ancora una volta le dinamiche umane immerse nelle sabbie mobili dei meccanismi sociali.
Elizabeth, Nate, Lesje. Attraverso le voci di questi tre personaggi, che nel libro si alternano di capitolo in capitolo in un arco temporale che si estende dall’ottobre del ‘76 all’agosto del ’78, il lettore assiste al disgregarsi di relazioni e al dissolversi di certezze. Elizabeth e Nate sono sposati ma entrambi sanno di avere delle storie extraconiugali; quando Chris, l’ultimo amante di lei, decide di porre fine alla sua vita, l’equilibrio sui generis della coppia inaugura il suo processo di lenta erosione. A dare il colpo di grazia al traballante matrimonio di Elizabeth e Nate sarà la giovane Lesje. Sintetizzare, però, con un banale triangolo amoroso il romanzo della grande Atwood, sarebbe ingiusto e non terrebbe conto della maestria della scrittrice di scavare nei suoi personaggi rendendo manifesti al lettore i nessi tra azioni e ricordi, pensieri e ferite, sbagli ed esperienze vissute.
Elizabeth
Cresciuta con zia Muriel, una donna non bella ma dalla forte personalità e per questo punita dalla società patriarcale, Elizabeth non seppe mai cosa fosse il calore di una famiglia. Abbandonata dal padre, con una madre inaffidabile e una sorella con gravi problemi psichici, crebbe prigioniera di un ambiente austero. L’adulta Elizabeth è rigida e controllata: calcola, riordina, compila liste, stabilisce regole; i suoi legami sono come oggetti, li possiede con la consapevolezza di poterli buttare via. Elizabeth ha due linguaggi. “Quello garbato, chic, che ha imparato e che è solo una facciata, ma le torna utile: insinuante, duttile, accomodante. E l’altro, più antico, più duro, che le è rimasto da quelle strade e da quei cortili di scuola tutt’altro che raffinati”. Elizabeth è finzione e miseria, mangia troppo e meccanicamente, inabissa il corpo nella vasca da bagno, scomparendo nella sua imperscrutabilità (la sorella Caroline, a sedici anni, nella vasca da bagno di un istituto ci è morta). Lavora in un museo, ha due figlie, su Nate sa di poter contare, con lui si confida, è un buon padre: la sua vita è come un salotto borghese in cui sorridere, bere tè e trangugiare pasticcini che poi, forse, vomiterà.
Nate
Nate ha scelto di non essere un avvocato e ha preferito costruire giocattoli, “le sue mani hanno deciso che era ora di diventare un altro”. Nonostante questo suo atto rivoluzionario, Nate è una vittima della madre, un’incallita attivista collezionista di cause impossibili nelle quali vorrebbe coinvolgere il figlio, e di Elizabeth, la moglie calcolatrice che monitora la sua vita pretendendo di conoscerne anche i lati più oscuri, quelli per cui solitamente le coppie sposate chiedono il divorzio. Nate è fragile, beve molto, incontra Lesje e comincia a frequentarla, di lei non dice niente alla moglie. Si farà presto trascinare dagli eventi, dal volere della nuova lei, si ritroverà presto intrappolato in una nuova gabbia.
Lesje
Da bambina, contesa tra le due nonne, una ebrea e l’altra ucraina, Lesje ascoltava lingue che non capiva. Appassionata della sua collezione di minerali, imparò tutti i loro nomi appropriandosi di un linguaggio solo suo. Poi venne il tempo dei dinosauri e definirli ne decretava la loro esistenza. “Lesje intendeva scoprire una terra tropicale, ricca, pullulante di meravigliose forme di vita, tutte arcaiche e ritenute estinte o sconosciute perfino in forma di testimonianza fossile”. Questa sete di scoperta la conduce a lavorare come paleontologa in un museo, lo stesso di Elizabeth. Convive con William, un dipendente del Ministero dell’Ambiente, premonitore di sciagure climatiche, che ben presto lascerà per Nate. La vita prima dell’uomo è per lei come un Eden da preservare; il tempo antico appare come una speranza futura. Con Nate capirà che in una coppia voler cambiare l’altro in ciò che vorremmo che fosse è inevitabile.
La tentazione dell’abisso
Elizabeth, Nate, Lesje sono diversi ma legati dal richiamo delle tenebre. I tre personaggi vivono trascinando le zavorre dei loro ruoli sociali e talvolta a richiamarli è l’abisso dell’insensatezza. Ne La vita prima dell’uomo una Toronto immersa nei fatti di attualità e spesso innevata diventa il palcoscenico di una commedia umana che si trasforma in tragedia. Nelle più di quattrocento pagine del romanzo i protagonisti indossano delle maschere che quando cadono lasciano intravedere le vertigini del vuoto esistenziale. Chris si è tolto la vita e il suo fantasma richiama Elizabeth dal mondo dei morti, Caroline si è lasciata annegare, Lesje per rabbia e “paura di essere niente” d’impulso aveva quasi deciso di uccidersi comprendendo d’un tratto le ragioni, fino a poco prima oscure, che avevano spinto Chris a compiere il folle gesto.
“Nonostante l’impeto del vento, le voci che la chiamano da sottoterra, gli alberi che si dissolvono, le voragini che si aprono ai suoi piedi; e si apriranno sempre, di tanto in tanto. Non ha difficoltà a vedere il mondo visibile come un velo trasparente o un turbine. Il miracolo è renderlo solido. Pensa piena di aspettativa alla sua casa […] Nonostante lo sfacelo. L’ha costruita sull’abisso, ma cos’altro poteva fare? Per il momento è ancora in piedi”.
La questione femminile
“L’ho trattato nel modo in cui gli uomini trattano le donne”, pensa Elizabeth riferendosi a Chris. Il comportamento della donna lascia trasparire un tema molto caro ad Atwood, quello della sottomissione della donna all’interno della società, cavallo di battaglia di molte sue opere come La donna da mangiare, Lesioni personali e Il racconto dell’ancella, qui riproposto con una sorta di ribaltamento della prospettiva femminile. Elizabeth, tutta d’un pezzo, usa gli uomini senza alcun trasporto sentimentale; al contrario, Lesje tende a dare un grande peso emotivo alle sue relazioni e si ritrova a vivere una violenza sessuale senza riuscire a reagire.
La vita prima dell’uomo è rifugio
La vita prima dell’uomo è quella custodita nel museo dove lavorano Elizabeth e Lesje. È l’età incantata senza gli esseri più avidi che siano mai esistiti. In definitiva, la vita prima dell’uomo è quella in cui trovare rifugio, anche solo col pensiero, dall’oscurità generata dalle nostre azioni che minacciano noi stessi e il nostro pianeta.
Ringraziamo Ponte alle Grazie per averci dato la possibilità di leggere La vita prima dell’uomo.
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