La storia della Principessa Splendente (かぐや姫の物語?, Kaguya-hime no monogatari), Studio Ghibli
La storia della Principessa Splendente (かぐや姫の物語?, Kaguya-hime no monogatari), Studio Ghibli

Torna la rassegna Un mondo di sogni animati, dedicata ai capolavori dello Studio Ghibli. Nel ventaglio delle opere del maestro Isao Takahata, cui è dedicata l’edizione di quest’anno, non si poteva non concludere con il suo ultimo film, La storia della principessa splendente (Kaguya hime no monogatari, 2013), basato sull’antica storia popolare giapponese Il racconto di un tagliabambù (Taketori monogatari) e in sala dal 25 al 31 luglio.

Lo stile di animazione meraviglioso e pervasivo si mescola ad una storia esistenzialista che verte sul vero significato della felicità e l’ottusità che spesso ottenebra coloro che la cercano.

Il tratto che rivela lo spirito

Un anziano tagliabambù trova un giorno dentro un bambù una piccola creatura. Subito questa si trasforma in un neonato e con la moglie decidono di adottarla. La piccola creatura cresce a vista d’occhio, e intorno all’anziana coppia si moltiplicano gli eventi soprannaturali che li arricchiscono. Vista la ricchezza accumulata da quando hanno adottato la bambina, il padre prende una drastica decisione per il bene della ragazza, convinto che sia una creatura divina. Qui sospendo il resoconto della trama per non guastare ulteriormente la visione del film. L’animazione grafica che letteralmente disegna l’intera storia risplende dell’approfondito studio psicologico che Takahata ha dedicato alla protagonista.

Mentre tutte le figure che le danzano intorno sono poco più che accessori della trama, quasi tutti chiusi nelle loro profonde meschinità, Kaguya-hime è l’unico personaggio di cui possiamo osservare tutto lo spettro emotivo: lei affonda nell’angoscia e nella depressione di giorno in giorno, ma qualche volta sa anche tornare a sorridere e gioire. Ecco che si apre dinanzi a noi uno spaccato storico fiabesco che però della fiaba moderna ha tutti gli orrori e tutte le difficoltà.

Con le migliori intenzioni

La storia di Takahata è molto più dolorosa e priva di redenzione della storia originale, che per i giapponesi è proverbiale, soprattutto nel finale: Kaguya-hime dona un elisir immortale all’imperatore chiedendogli con una lettera di aspettarlo, e lui invece si reca sulla cima della montagna più alta e brucia lettera e elisir. Quel monte era il Fuji, il cui nome deriva dalla parola fushi (immortalità).

È una storia d’amore senza redenzione ma comunque d’amore. Invece il film di Takahata è una storia di tristi rimpianti che per oltre un’ora e mezza ci racconta di una ragazza che, contro i suoi desideri, deve diventare una principessa, e scende sempre di più nella depressione. Alla fine più che tornare sulla Luna, scappa, pur tra mille rimpianti, da una Terra e una vita che ormai sono una prigione per lei. Certo, il tratto animato elabora i vari stati d’animo della principessa lavorando anche sui vari temi del film; la bellezza della vita nonostante il dolore e la sofferenza, la natura effimera delle ricchezza materiali e il femminismo.

La storia di Takahata è decisamente più moderna. Se nel tradire il finale originale la piega degli eventi si dimostra più tragica, forse è perché l’autore non riesce a vedere una redenzione per Kaguya- hime che non sia forzata, che non sia una sottomissione ad una volontà esterna che invece per tutto il film lei combatte costantemente.

Lo sguardo su un grigio futuro (attenzione spoiler)

Solo quando si conosce la profezia la si può realizzare. C’è un che di mitologico nella condotta dei genitori di Kaguya-hime, una sorta di limitatezza tipica dei personaggi dei miti che nel voler lottare contro il fato promessogli da una profezia finiscono per realizzarlo.

Così il tagliabambù vuole lottare per dare alla sua figlia adottiva la felicità che è convinto tutti vorrebbero, ma che forse, sotto sotto ed egoisticamente, voleva soprattutto per sé. Il pregiudizio di una felicità materiale, profondamente vuota e chiusa in rituali arcaici e privi di ragione, la portano anche a vivere sempre con meno amore, sia ricevuto che dato. Nel cercare di combattere per la poca libertà che ancora ha, pure Kaguya-hime non fa altro che restare sempre più sola, delusa dal mondo e dalle persone, e maturare infine la speranza di essere salvata. Ma come nelle storie più realistiche (e drammatiche), il suo desiderio di fuga si rivela vero a metà, sofferto non meno della stessa vita triste e monotona che conduceva secondo l’etichetta nobiliare. Takahata ci parla della condizione della donna e dell’ottusità della gente che, pur con le migliori intenzioni, non fa altro che rendere sempre più oscuro e disastroso l’avvenire altrui.

In breve

Da vedere, da analizzare e da credere. Isao Takahata lascia qui il suo altissimo testamento artistico, regalandoci un’opera meravigliosa, profonda, riflessiva, ma anche indicibilmente tragica.

Illustrazione di Emma Aurdini 

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Francesco Gianfelici
Classe 1999, e perennemente alla ricerca di storie. Mi muovo dalla musica al cinema, dal fumetto alla pittura, dalla letteratura al teatro. Nessun pregiudizio, nessun genere; le cose o piacciono o non piacciono, ma l’importante è farle. Da che sognavo di fare il regista sono finito invischiato in Lettere Moderne. Appartengo alla stirpe di quelli che scrivono sui taccuini, di quelli che si riempiono di idee in ogni momento e non vedono l’ora di scriverle, di quelli che sono ricettivi ad ogni nome che non conoscono e studiano, cercano, e non smettono di sognare.