La quattordicesima domenica del tempo ordinario, distribuito da Vision Distribution
La quattordicesima domenica del tempo ordinario, distribuito da Vision Distribution

Nemmeno quando un concerto nasce da una canzone bella e sincera, la sinfonia risulta sempre  perfetta: i giusti strumenti, nelle mani dei giusti strumentisti, coordinati dal giusto direttore d’orchestra, possono non bastare a salvarla. Neanche se il direttore d’orchestra si chiama Pupi Avati e i suoi strunentisti sono Edwige Fenech, Gabriele Lavia, Camilla Ciraolo e Lodo Guenzi.

Come tutto ha inizio

Nella Bologna degli anni ’70, Samuele e Marzio (Nick Russo e Lodo Guenzi) sono due ragazzini che decidono di fondare un duo musicale, I Leggenda, col quale sugellano la loro promessa di amicizia eterna. Almeno finché Marzio non s’innamora perdutamente di Sandra (Camilla Ciraolo), aspirante indossatrice, che corteggia ostinatamente fino a convincerla a sposarlo. Ma moltissimi anni dopo, un Marzio ormai anziano (Gabriele Lavia) incontra Sandra (Edwige Fenech) al funerale di Samuele (Massimo Lopez), portandoci a scoprire cosa ne è stato di quell’amicizia e di quell’amore apparentemente eterni.

Dalla vita al film

Un film che prende il titolo dalla canzone intorno alla quale nasce, scritta a quattro mani da Enzo Cammariere e lo stesso Pupi Avati: “Cercavamo qualcosa di struggente ed evocativo”, racconta Cammariere in conferenza stampa, “e ci siamo riusciti scambiandoci messaggi su whatsapp, Pupi mi mandava una parte di testo e io una parte di musica, e questo ci ha permesso di costruire la canzone a partire dalla nostra spontaneità artistica”.

E in effetti, La Quattordicesima Domenica del Tempo Ordinario è un film che nasce da questa spontaneità, dalla genuina e quasi innocente volontà di un grande regista, ormai ultraottantenne, di raccontare una parte della propria vita, come non ha mai fatto prima: “A 84 anni entri in una fase della vita in cui ti guardi alle spalle per fare un rendiconto di ciò che hai vissuto”, spiega Pupi Avati, “nella mia filmografia mancava un film così sincero. Sono stato eclettico nei generi, ma mancavano alcune confidenze, e il momento perfetto è quando, dopo più di 50 film, il cinema e la vita non si differenziano più, come l’altro giorno, per esempio, quando con mia moglie parlavamo semplicemente di dover cambiare la caldaia di casa, e io la guardavo e mi spostavo, chiedendomi se sarebbe stato meglio inquadrarla da destra o da sinistra”.

La quattordicesima domenica del tempo ordinario, distribuito da Vision Distribution

Raccontarsi

Pupi Avati ci porta nel suo passato, al 1964, un viaggio indietro nel tempo, ma nel “tempo ordinario”, quel periodo dell’anno liturgico della Chiesa cattolica nel quale non ci sono ricorrenze festive e, per questo, viene dedicato ai matrimoni.

Più precisamente, ci dice lo stesso regista, “nella quattordicesima domenica, che corrisponde al 24 giugno: giorno del mio matrimonio che, come quello del mio protagonista, è il giorno più felice della vita, il coronamento di 4 anni di corteggiamento per conquistare quella che immaginavo essere la ragazza più bella di Bologna”.

La quattordicesima domenica del tempo ordinario, distribuito da Vision Distribution

Una sincerità vicina all’innocenza, quella con cui Avati crea il proprio film: “Racconto me stesso senza pudore, racconto come quel giorno credevo mi avrebbe garantito la felicità per sempre, illudendomi che tutto il resto sarebbe bastato”, rivela il regista, senza distinguere tra sé e il proprio protagonista, “ma la vita poi ti risveglia da queste illusioni. Alla mia età posso dirvelo: siamo destinati tutti ad essere dei falliti, perché nessuno realizza i propri sogni, nessuno arriva mai ad essere totalmente appagato nella vita”.

E dopotutto è proprio questo il concetto che esprime La Quattordicesima Domenica del Tempo Ordinario, anche nel testo della sua canzone, tutt’altro che una canzone d’amore realizzato e sereno, ma d’amore perduto. Un concetto realista, più che pessimista, che Pupi Avati dichiara di avere “il compito e il dovere di raccontare, di raccontare la mia vita, perché raccontarla è raccontare la vita di tutti“.

Una capacità che Lodo Guenzi definisce come “la forza dei poeti, che poi è quello che mi ha convinto a partecipare a questo film, costringendomi però anche a riflettere su me stesso e a capire che il protagonista che interpreto è senz’altro un fallito, ma meno fallito di me, perché io un po’ di successo l’ho avuto e so che la distanza tra i miei sogni e la realtà è incolmabile, mentre lui crede ancora e sempre che scriverà la canzone che gli cambierà la vita”.

In breve

È l’assenza di consapevolezza, quindi, che ci preserva dal fallimento, almeno da quello reale e definitivo: questo ci suggerisce La Quattordicesima Domenica del Tempo Ordinario, un film nel quale Pupi Avati confonde la propria realtà personale con la fantasia, ancora più personale.

“I vecchi subiscono le ingiurie degli anni, non sanno distinguere il vero dai sogni”, cantava Guccini: una potenzialità enorme, forse, per chi fa arte. Almeno se si riesce a gestirla nel modo giusto. E per questo la sinfonia di Pupi Avati risulta imperfetta, perché non è stato capace di gestire la sincerità del suo racconto, mettendola in secondo piano rispetto al compito stesso di raccontare: la spontaneità da cui il film nasce si perde nella preoccupazione di doverci spiegare tutto, fin troppo chiaramente, fino a diventare didascalico anche nelle emozioni, impedendoci di viverle direttamente, senza la sua voce fuori campo a descriverle.

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Alessio Tommasoli
Chiamatemi pure trentenne, giovane adulto, o millennial, se preferite. L'importante è che mi consideriate parte di una generazione di irriverenti, che dopo gli Oasis ha scoperto i Radiohead, di pigri, che dopo il Grande Lebowsky ha amato Non è un paese per vecchi. Ritenetemi pure parte di quella generazione che ha toccato per la prima volta la musica con gli 883, ma sappiate che ha anche pianto la morte di Battisti, De André, Gaber, Daniele, Dalla. Una generazione di irresponsabili e disillusi, cui è stato insegnato a sognare e che ha dovuto imparare da sé a sopportare il dolore dei sogni spezzati. Una generazione che, tuttavia, non può arrendersi, perché ancora non ha nulla, se non la forza più grande: saper ridere, di se stessa e del mondo assurdo in cui è gettata. Consideratemi un filosofo - nel senso prosaico del termine, dottore di ricerca e professore – che, immerso in questa generazione, cerca da sempre la via pratica del filosofare per prolungare ostinatamente quella risata, e non ha trovato di meglio che il cinema, la musica, l'arte per farlo. Forse perché, in realtà, non esiste niente, davvero niente  di meglio.