Un breve commento sulla mostruosità dell’amore ne La forma dell’acqua
Ma quando penso a lei, a Elisa, l’unica cosa che mi viene in mente è una poesia, sussurrata da una persona innamorata centinaia di anni fa: Incapace di percepire la tua forma, ti trovo ovunque intorno a me, la tua presenza mi riempie gli occhi con il tuo amore, il mio cuore si fa piccolo perché tu sei ovunque.
Unable to perceive the shape of you, I find you all around me. Your presence fills my eyes with your love. It humbles my heart, for you are everywhere. – The Shape of Water.
La mente di Guillermo del Toro è popolata da mostri. Forme umanoidi, a tratti familiari, a tratti destabilizzanti, ma mai del tutto terrificanti. Prendiamo il Mostro, o la Creatura, della Forma dell’Acqua, per esempio. È un predatore, un dio dell’Amazzonia, crudele e cruento, al di sopra degli affari degli uomini. Divora un tenero gatto a morsi, strappa due dita al suo carceriere. Eppure è capace di innamorarsi, come qualsiasi essere umano, e di agire per amore.
Scoprire un tratto così comune a tutti lo rende improvvisamente una figura empatica, goffa pur nella sua maestosità, anche se sempre aliena. Il mostro non conosce il mondo degli uomini, ma inizia a scoprirlo attraverso Elisa (Sally Hawkins) e il filtro della sua esperienza. Si innamora in un primo momento dell’amore stesso, ossia delle cure, delle attenzioni che lei gli riserva e che mai nessuno prima ha usato con lui. Man mano però l’attaccamento si trasforma in sentimento e il sentimento acuisce il dolore per l’inevitabile separazione.
Non va dimenticato che Elisa e la Creatura appartengono a mondi diversi, non sono fatti della stessa materia. Così come sono, ognuno nella propria individualità, non possono sopravvivere una nel mondo dell’altro. La forma dell’acqua non è infatti La Bella e la Bestia. Non è solo una favola sull’amore che oltrepassa le apparenze e le differenze. È una favola sull’amore che plasma, trasforma e trasfigura – non senza sofferenza – tutto ciò che ci separa, per permettere a ciò che ci unisce di sopravvivere.
La storia di Elisa e del Mostro non può avere un lieto fine se ognuno rimane esattamente quel che è, quel che era prima di incontrarsi. Ciò che ci fa innamorare non basta a tenerci insieme, se non si crea un processo di trasfigurazione, di due unità separate che si mutano a vicenda in qualcos’altro. La favola e la fantasia cavalcano indisturbate, e con un’irresitibile ironia, nel film, ma poi è Del Toro stesso che non permette di arrivare con facilità al dovuto happy ending. Elisa muore e rinasce a nuova forma per poter vivere felice e contenta con la Creatura degli abissi.
E forse è proprio nella scelta di questo finale che si comprende che, molto più dei mostri, è l’Amore stesso a essere terrificante e onnipotente.