Film come La conversazione di Francis Ford Coppola sono un’intuizione d’autore, una visione d’insieme che spesso solo gli artisti, solo i maestri hanno. Non potrebbe altrimenti riuscire a parlare ancora al presente dopo cinquant’anni dall’uscita.
Palma d’oro nel 1974, infatti, il “passion project” realizzato dal regista tra Il padrino e Il padrino: Parte seconda ha compiuto quest’anno mezzo secolo di vita, senza perdere nulla del suo significato, anzi arricchendosi sempre di più. Il fatto che Coppola l’abbia incastrato fra due dei suoi film maggiori, insistendo per realizzarlo è il primo indizio per capire quanto fosse necessario al tempo per lui, come autore, e quanto sia ancora oggi spunto di riflessione.
Cosa racconta La conversazione
La storia è nota, La conversazione è la storia di Harry Caul (Gene Hackman), tecnico esperto di intercettazioni ingaggiato da un misterioso “Direttore” (Robert Duvall) per registrare l’incontro fra un uomo e una donna all’ora di pranzo nell’affollatissima Union Square di San Francisco. Da qui la splendida sequenza iniziale che stringe l’inquadratura dall’alto, focalizzando gradualmente l’attenzione sulla squadra di investigatori in ascolto e sulla coppia misteriosa.
Harry Caul ha costruito autonomamente tutta l’attrezzatura, riuscendo così a captare l’audio da diversi punti, anche in movimento. Questo permette di ascoltare l’intera conversazione, in apparenza banale e innocua. I due, successivamente identificati come Ann e Mark, sono una coppia che cerca di nascondersi tra la folla, camminando in cerchio senza fermarsi mai, anche per non essere ascoltati.
La rivelazione finale spiega che il loro strano comportamento è dovuto effettivamente alla sensazione di essere intercettati, poiché Ann è la moglie del direttore e sta programmando l’omicidio del marito insieme all’amante. Prima di arrivare alla comprensione totale della storia, tuttavia, il pubblico è trascinato dentro la spirale di paranoie e ossessioni di Harry Caul.
La conversazione, l’ambiguità e la paranoia del controllo
L’investigatore, infatti, non solo non riesce a smettere di riascoltare il nastro, convinto che ci sia un senso nascosto al di là delle parole udibili, ma è anche intenzionato a non ripetere un grave episodio del passato, che l’aveva reso complice della morte di un’intera famiglia. Raggiunto dal Direttore e dal suo autoritario e spaventoso assistente, Martin Stett (Harrison Ford), Caul si convince di dover salvare Ann e Mark da un pericolo imminente. A confermare la sua intuizione è una frase del nastro, prima incomprensibile, che riesce a ripulire dal rumore: “He’d kill us if he got the chance”.
Nulla è casuale nella costruzione di questa storia. Coppola sceglie di dare una caratterizzazione particolare al personaggio di Caul, rendendolo fortemente cattolico e praticante, per accentuare il suo senso di colpa. E per inserire la scena del sacramento della confessione, secondo il regista immagine chiara di un parallelismo con l’invasione della privacy delle intercettazioni.
Nulla è casuale, dicevamo, e quella frase che ritorna più e più volte si trasforma in un incubo per Caul, impedendogli – a causa della sua stessa paranoia e del suo senso di colpa – di cogliere un aspetto essenziale. È il modo in cui le parole “He’d kill us if he got the chance” vengono pronunciate da Mark a cambiare tutto. Caul si focalizza sul verbo kill, uccidere. L’uomo invece pone più enfasi su “us”: “Lui ucciderebbe noi, se ne avesse l’opportunità”. Sottinteso è: noi dobbiamo farlo prima.
Il contesto storico di La conversazione
La parte migliore, però, è che il pubblico fino all’ultimo non può saperlo, perché sa, vede e sente solo ciò che Caul crede di sapere, vedere e sentire. L’ambiguità, il dubbio e il bisogno del controllo sono i tre pilastri su cui Coppola, da attento osservatore della realtà e del mondo attorno a sé, usa per raccontare questa storia e al tempo stesso la storia degli Stati Uniti in quell’esatto momento storico.
La conversazione è un film spesso associato allo scandalo Watergate, soprattutto per la curiosa coincidenza dell’attrezzatura usata per le intercettazioni, simile a quella poi scoperta nel caso che ha scosso la politica statunitense. È stato girato, però, nel 1973 quando ancora molte delle rivelazioni-chiave di Bob Woodward e Carl Bernstein non erano pubbliche e Nixon era ancora lontano dalle dimissioni (avvenute nel 1974).
Ciò che porta con sé, tuttavia, è il pesante clima di controllo, tensione e sorveglianza che negli Stati Uniti ha pervaso il periodo della Guerra Fredda, coinvolgendo nel decennio precedente, gli anni Sessanta, anche personalità come Martin Luther King Jr. Ne parla bene il documentario MLK/FBI. La sensazione di essere controllati da una pesante e invisibile mano politica è ciò che nel cinema ha reso grande lo spy thriller in quegli anni, anche se nessun film forse raggiunge il livello di La conversazione di Coppola, che riesce a connettersi al presente pur rimanendo coerente nel suo passato.
Quella stessa sensazione, infatti, La conversazione oggi riesce facilmente a trasportarla sulle nuove tecnologie, sul senso di perdita del controllo che porta a temere i nuovi media e le intelligenze artificiali (soprattutto quando vengono usate per sorvegliare e classificare le comunità marginalizzate). Richiama ancora paure, incertezze e ossessioni che portano il pubblico a immaginare la propria verità, che non è mai assoluta. E mai lo sarà.
La conversazione è disponibile in streaming su Paramount+.
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