La Bête (The Beast). I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection. © Carole Bethuel
La Bête (The Beast). I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection. © Carole Bethuel

La visione de La Bête (The Beast) spinge in un limbo oscuro, in cui viene da chiedersi quale sia il significato di ciò che stiamo guardando. Cosa abbiamo appena visto? Cosa è successo sullo schermo mentre due vite si attorcigliavano e i secoli si sovrapponevano? Tutto, nel nuovo film di Bertrand Bonello è rappresentato il tutto, attraverso una storia costretta a ripetersi, una storia d’amore, preda di un destino che ragiona sulle immagini e sul futuro.

Liberamente ispirato al racconto La bestia nella giungla di Henry James del 1903, il nuovo film di Bonello si muove attraverso molteplici generi, gioca con lo spettatore, nasconde dietro al regime distopico e alla fantascienza romantica un sentimento sottile e delicato, eterno e ricorrente, sistemato sotto alla pelle dei protagonisti, adagiato nei loro cuori dal principio alla fine dei giorni.

La premonizione

Il presentimento che qualcosa di orribile colpirà dal nulla, balzando nel buio pronto ad aggredire: questo è il pensiero costante che affligge Gabrielle (Léa Seydoux), sin dal primo istante del film, dove la vediamo recitare su un set con un imponente green screen rispondendo alle indicazioni fuori campo di un regista, e in un passato lontano, nella Parigi degli anni ’10, dove a una festa rincontra Louis (George MacKay), a cui qualche anno prima aveva confidato la sua fobia.

Un senso di tragica inquietudine percorre tutto il film di Bonello, capiremo poco a poco quanto sia inestricabilmente legato alla insormontabile irreversibilità con cui Gabrielle e Louis saranno destinati a innamorarsi, esistenza dopo esistenza, reincarnazione dopo reincarnazione, e a soffrire con pari intensità.

La sensibilità di Gabrielle crea una paranoia che diventa solida negli anni, portandola a temere costantemente questo fantomatico evento, il mostro, pronto a colpirla. L’intera messa in scena del regista richiama delle dichiarate passioni, prima di tutto quella evidente per il perturbante lynchiano e le sue sfumature (dalla malata solitudine di Los Angeles ai sogni). Il senso di pericolo si muoverà su binari che esulano dalla diretta manifestazione, diventando il leitmotiv dell’intera narrazione.

La Bête (The Beast). I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection. © Carole Bethuel

Il futuro di Bonello

Il futuro descritto da Bonello è dominato da tinte neutre e la (quasi) totale assenza di emozioni. L’intelligenza artificiale è dominante e contribuisce alla purificazione di chi ancora è alle prese con traumi mai superati o dolori che continuano a condizionarne il presente. Così Gabrielle si sottopone a un procedimento di immersione sensoriale per liberare il suo subconscio. Dal 2044, dove in una vasca colma di liquido nero la protagonista si addormenta entrando in trance, arriva agli inizi del ‘900, a Parigi, per poi ritrovarsi nella Los Angeles nel 2014, dove la donna lavora come attrice.

Nel presente come nel passato, oltre alla continua premonizione della belva in agguato, c’è Louis, o almeno le sue reincarnazioni. Nei tre scenari i due continuano a incontrarsi, e le emozioni residue di Gabrielle appartengono proprio a tale relazione, mai vissuta realmente, eppure così intensa da attraversare la carne e il tempo.

Il 2044 de La Bête è uno scenario in cui le catastrofi sono già successe, il peggio ha fatto il suo corso, lasciando spazio all’equilibrata era dell’assenza di estremi ed emotività, in cui bisogna tornare al passato per sentire ancora qualcosa, ballando sfrenatamente in luoghi underground che ricordano le ambientazioni di Blade Runner, uno scenario post apocalittico in cui i sentimenti umani si stanno estinguendo.

La crudeltà del destino – Spoiler alert

Prima a Parigi, poi a Los Angeles e infine nell’incontro del futuro/presente, Gabrielle e Louis sono destinati ad amarsi ma senza realizzare il sogno di stare veramente insieme. Il fato, che governa il tempo come un despota perfido, è forse il risultato della loro tendenza a ripetere, negli anni, gli stessi errori, rispondendo ai medesimi desideri.

Il loro incontro avviene sempre al momento sbagliato: quando Gabrielle è sposata, pur decidendo di lasciare il consorte il destino spezzerà la possibilità di vederla felice con Louis, e a Los Angeles, dove le solitudini dei due saranno così devastanti da separarli senza possibilità di connessione alcuna. Le parole attraversano le ere e assumono un significato sempre più chiaro, nella struttura a incastro de La Bête non c’è possibilità di redimere o dimenticare ciò che è accaduto per Gabrielle, così come per Louis, e ogni volta che la possibilità di amarsi brilla come un diamante nascosto in un cassetto mai più aperto, la frustrazione delude qualsiasi prospettiva di felicità.

La condanna a ripercorrere gli stessi dolori, seppure in epoche e con dinamiche diverse, suggerisce come non sia effettivamente possibile correggere i propri errori, come le proprie pulsioni, in netto contrasto con una forma di intelligenza che non prevede coinvolgimenti emotivi e che si è riscattata dall’ultimo residuo di sensibilità.

La Bête (The Beast). I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection. © Carole Bethuel

Il ragionamento sulle immagini (fantasmatiche e digitali)

La Bête è fantascienza, romance e anche interpretazione critica della società. Sono le immagini le vere protagoniste del complesso ragionamento che Bonello mette in atto con il suo film. Prima Gabrielle e Louis ammirano i quadri di un pittore, lei è prima pianista e poi attrice, l’emozionabilità fa parte della sua vita. L’interpretazione della realtà attraverso l’arte rende la donna parte della vita che sta vivendo.

La percezione inizia a cambiare nella rappresentazione degli anni ’10 del 2000, dove il personaggio misogino e disturbato di Louis (ispirato a Elliot Rodger, l’assassino di Isla Vista) comunica con il suo pubblico immaginario attraverso uno smartphone, promettendo un massacro, e quello di Gabrielle si confina in una gabbia di desolazione e invasivi pop-up durante la navigazione online notturna, mentre tutto intorno a lei tace.

Le immagini, compresa quella della belva, prima digitale e poi fantasmatica (o viceversa), ci indirizzano verso l’idea di un’assenza totale di emozioni applicate all’arte, o all’interpretazione della realtà, e alla più che mai vicina, e preoccupante, supremazia di un’intelligenza creata dall’uomo, ma progressivamente indipendente. L’imperfezione tipicamente umana continua a trascinare Gabrielle e Louis in un loop di irrisoluzione e passioni inesprimibili, e si contrappone alla perfezione di un’era in cui tutto è già accaduto e nulla potrà più accadere. Cosa è meglio quindi: vivere il presente senza turbamenti o continuare ad esperire le sofferenze del passato?

La Bête di Bertrand Bonello sarà nei cinema italiani dal 21 novembre con I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection.

Continua a seguire FRAMED anche su Facebook Instagram.

Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.