Nelle sue premesse La scelta di Anne – L’événement è un film piccolo e intimo. È il racconto e l’adattamento del romanzo autobiografico di Annie Ernaux (L’Orma Editore) attraverso lo sguardo di una regista, Audrey Diwan, a sua volta personalmente connessa all’esperienza narrata e poi incarnata nel corpo della straordinaria protagonista, Anamaria Vartolomei.
Tre generazioni di donne, attraverso tre mezzi di espressione differenti (la letteratura, la regia, la recitazione), si connettono nel profondo, dando forma a quella che, prima di diventare materia politica, è innanzitutto una questione individuale. E come tale necessita di trovare spazio nell’Arte, per farsi materia sulla pelle degli altri.
L’événement, ossia l’evento, a cui fa riferimento il titolo è infatti l’aborto, ancora illegale in Francia nel 1963 in cui è ambientata la storia.
La scelta di Anne – L’événement non intende farsi apologia esplicita dell’interruzione volontaria di gravidanza, né dare risposte morali sull’argomento. È un’opera che tuttavia riesce a colpire così a fondo la coscienza spettatoriale da indirizzarsi soprattutto a chi, a prescindere, rifiuta il suo messaggio e provare a convincerlo (il maschile qui è quasi d’obbligo), ad ascoltare senza giudicare.
Eccola, dunque, la potenza di questo “piccolo” film, Leone d’oro a Venezia 78, che non nasce quindi da premesse politiche, ma diventa politico nelle sue conseguenze. E fin quando il corpo della donna sarà terreno politico, non potrà essere altrimenti.
Mostrare e non mostrare: lo sguardo e la consapevolezza nel film di Diwan
La storia di Anne, come detto, è una storia allo stesso tempo individuale e collettiva. È la sua, irripetibile, ma entra in un gioco di potere universale e vecchio come il mondo. La scelta, a cui fa riferimento il titolo in italiano, non è quella tra l’essere madre e il non essere madre. È l’affermazione del proprio desiderio, dei propri sogni e delle proprie ambizioni contro una società in cui la maternità ha un peso sociale determinante e costrittivo.
Anne, nel 1963, non avrebbe potuto diventare scrittrice se fosse diventata madre. Il punto allora non è e non sarà mai la maternità nella sua essenza quanto il prosciugamento dell’identità di una donna nel momento in cui le scelte sul suo corpo e sul resto della sua vita sono imposte dall’esterno.
Anne, personificata da Anamaria Vartolomei, è un nucleo pulsante di desiderio. Desiderio sessuale, certo, come tutti i suoi colleghi uomini, ma ancor più nel profondo, desiderio di autodeterminazione. Questo la spinge agli atti estremi di cui siamo testimoni nel film e con cui Diwan riesce a farci empatizzare al massimo attraverso una particolare scelta registica.
L’événement è infatti realizzato in 4:3, in un’inquadratura cioè quasi quadrata. Privandoci della visione panoramica, Diwan ci costringe a focalizzarci esclusivamente sulla protagonista, a vedere ciò che vede lei e soprattutto a non vedere ciò che lei sceglie di non guardare. Perché troppo grande, troppo opprimente, o semplicemente troppo doloroso.
È tutto un gioco tra l’interno e l’esterno, tra ciò che muove Anne e ciò che innesca in lei quelle reazioni. L’intuizione brillante della regia è però appunto quella di non farci uscire mai del tutto dal punto di vista. È solo in questo modo che possiamo sentire la sua rabbia colpire le nostre reticenze e il suo dolore squarciare la nostra pelle.
Farà male guardare questo film e contemporaneamente farà così bene che uscendo tremanti dalla sala direte solo Grazie, Audrey Diwan. O, almeno, è quello che abbiamo fatto noi.
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