Angeliki-Papoulia-in-Kynodontas-2009
Angeliki-Papoulia-in-Kynodontas-2009

Ogni cosa è bianca, pulita, morta. Gli animi si dispongono soggettivamente, seguendo regole e sprecando tempo. Fino a quando arriva qualcosa a distruggere l’equilibrio asettico, una passione che non fa più provare dolore. Non so effettivamente perché mi sia piaciuto, ma rimango affetta da un senso di incompletezza unica…

Nel 2009, dopo aver visto Kynodontas (Dogtooth) scrissi questo piccolo appunto. Non sapevo molto bene chi fosse Yorgos Lanthimos, se ne iniziava a parlare tra noi studenti di cinema negli anni in cui il termine “metacinematografico” non ci stancava ancora e le locandine dallo stile minimal ci facevano impazzire. Vinse il premio Un Certain Regard al 62º Festival di Cannes, e venne candidato all’Oscar come miglior film in lingua straniera nell’edizione del 2011.

11 anni (e due lauree) dopo Kynodontas esce nelle sale italiane: un film su gente che vive rinchiusa dato in visione a persone che hanno vissuto rinchiuse. Non per una vita intera, certo, ma per una giusta quantità di settimane, tante abbastanza da fare subito il collegamento. E quindi mi chiedo, chissà com’è rivederlo ora, dopo La Favorita, dopo The Lobster.

Storia di un’altra vita

La regia in Kynodontas è pulita e simmetrica, dalle prime immagini il film di Lanthimos ci introduce ad un micro mondo surreale e grottesco dove un nucleo familiare, apparentemente normale, vive.

Un villa bianca e geometrica è lo scenario di una rieducazione che Padre e Madre impartiscono a tre figli, i quali, nonostante l’età avanzata, vengono chiamati “bambini” e trattati come tali.

Kynodontas. Copyright LUCKY RED

Nessuno può uscire dalla casa, che è recintata e isolata da qualsiasi altra abitazione o traccia umana. Solo il capofamiglia si reca ogni mattina al lavoro e ad acquistare ciò che è necessario.

“I denti del cane” sono i canini che devono cadere, per dimostrare di essere adulti e poter uscire finalmente fuori. Ma i figli, un ragazzo e due ragazze, tutti senza nomi propri, non sanno che è solo una bugia, perché i loro denti non cadranno e le regole imposte dai genitori sono uno stratificato sistema di finzioni e sovversioni della realtà.

Solo l’incursione di elementi esterni influirà sulle prime manifestazioni di ribellione. In particolare in seguito alla visione di VHS in cui alcuni personaggi hollywoodiani colpiranno a tal punto la “Figlia maggiore”, da ossessionarla, e, probabilmente, liberarla.

Kynodontas 2009/2020

Non dirò altro sulla trama di questo film, perché vorrei lasciare a chi non l’ha mai visto l’illusione che sia tutto qui, per sorprendersi e suggestionarsi alla vista di un’opera che dura poco più di un’ora e mezza, ma racchiude già in sé la padronanza del regista greco nella gestione di momenti che tornano davanti agli occhi, anche dopo aver finito la visione.

Dopo tutti questi anni ritrovo l’equilibrio asettico che mi aveva fatto stare male, ma a colpirmi di più è il sangue che ne va a sporcare il bianco uniforme. Il senso di incompletezza che mi lasciava perplessa viene sostituito da un fuoco ardente di sovversione che brucia sotto al regime incomprensibile di un padre disturbato che crede di fare il bene, applicando regole per addestrare i suoi figli come cani per difendere la casa, unico paradiso, in cui l’uomo ha potere, e la donna è al suo servizio.

La visione di Kynodontas presagisce le logiche e le tematiche sfruttate in seguito dall’autore, e rimane un’ interessante opera sporca, volutamente imperfetta, assolutamente da vedere (o rivedere).

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.