Courtesy of Searchlight Pictures. © 2024 Searchlight Pictures All Rights Reserved.
Courtesy of Searchlight Pictures. © 2024 Searchlight Pictures All Rights Reserved.

Tripartito, disorientante, perverso: Kinds of Kindness di Yorgos Lanthimos gioca con lo spettatore sfidandolo in una gara di sopportazione, fino a che punto mostrare-fino a che punto guardare; lo stuzzica con fine ironia imbevuta di situazioni paradossali e scintille surreali, il tutto in un grande film, che rimanda alle origini della filmografia del regista greco. Non a caso torna a collaborare con Efthymis Filippou, già co-sceneggiatore di KynodontasAlpsThe Lobster e Il sacrificio del cervo sacro.

L’impianto analitico e scarno di opere come Kynodontas viene qui amplificato, muovendosi nel sistema che Lanthimos ha sviluppato in tre atti, dove tutto sembra tangibile e vero, ma al tempo stesso violentemente distaccato dalla realtà, visionario. Il cortocircuito è come una luce super attraente e noi non siamo che falene masochiste.

Sweet Dreams (are made of these)

Tutto ciò che dobbiamo sapere è contenuto nelle parole del brano che ci accoglie durante i titoli di testa: Sweet Dreams degli Eurythmics investe la percezione, e tra le righe ci concede la mappa per arrivare al senso, o verità, di ciò che siamo, di ciò che vedremo.

Tre sono le storie che si susseguono: un uomo che, incapace di controllare la propria vita, scende a compromessi senza misura, una donna che torna dal marito poliziotto dopo un incidente in mare, ma viene creduta una copia della vera moglie dispersa, una madre che ha abbandonato la sua vita per unirsi ad una setta e cercare una persona con capacità sovrannaturali.

Ogni episodio contiene un sogno, rivelatore di paure, sentimenti repressi, inadeguatezza cronica, raccontato ad alta voce, di volta in volta, nello spirito di uno scollegamento tra onirico e reale che Lynch ci ha indicato come linea guida per comprendere l’incomprensibile, e che Lanthimos accoglie come ispirazione. Il mostro dietro al Winkie’s in Mulholland Drive è diventato il riflesso di uno specchio che ci ritrae come bisognosi di accettazione, ma anche disposti a tutto per essere amati, e le conversazioni contraddittorie in Lost Highway, a metà tra l’incubo e l’allucinazione, diventano i fili alla base dell’intreccio delle interazioni che attraversano Kinds of Kindness.

I sogni del film si fanno di volta in volta più elaborati, come se da un sonno leggero passassimo ad una profonda fase REM. Sono incursioni in bianco e nero che sconfinano nel delirio cosciente, parabole simboliche che emergono dal subconscio.

Willem Dafoe and Margaret Qualley in KINDS OF KINDNESS. Photo by Atsushi Nishijima. Courtesy of Searchlight Pictures. © 2024 Searchlight Pictures All Rights Reserved.

Trittico del potere (cosa sei pronto a fare)

Il concetto di potere è ciò che lega le tre storie di Kinds of Kindness: al centro di abusi perpetrati, sottomissioni consenzienti, relazioni d’amore e malata dipendenza affettiva.

Rispettivamente i tre protagonisti, prima Robert, alle dipendenze del folle maniaco del controllo Raymond, che gli dice perfino cosa indossare o quando fare l’amore con sua moglie, poi Liz, che tornata dal marito (affetto da evidenti manie persecutorie), dopo un naufragio, arriva a compiere gesti estremi solo per convincerlo che è veramente lei, infine Emily, che per rimanere in una setta di esaltati cerca, a costo di trasgredire qualsiasi legge, una donna che sia in grado di resuscitare i morti, sono pedine di dinamiche sociali dissacranti e squilibrate. L’abuso di potere è prima psicologico e poi fisico e sentimentale.

Robert, Liz e Emily sono sia prede che predatori; come animali alla ricerca del proprio simile compiono atti pieni di efferata freddezza, fuggono da un tragico destino di rifiuto, e non il sangue, la sofferenza, la morte, possono fermare l’esigenza viscerale di essere amati. La gentilezza è priva di confini, le dimostrazioni di fedeltà richieste ai personaggi si confondono con la pura sottomissione, ad un potere più grande si risponde con servilismo totale. Non ci sono limiti e di sicuro non è Lanthimos a porne: chi è disposto a tutto è padrone di sé stesso, e schiavo di tutto il resto.

L’intrattenimento che propone risulta inadatto a chi ha lo stomaco debole (o a chi a Cannes 77 pensava di trovarsi di fronte ad una cosina semplice e ponderata), mentre è elettrizzante per chi ama crogiolarsi nel grottesco come affresco del realtà, gli stessi che si ritroveranno a ridere davanti a circostanze brillantemente assurde.

Coreografo del paradosso

Il manierismo registico di Poor Things lascia spazio ad una misurata indagine, esibita con chirurgico controllo in accordo alla fotografia di Robbie Ryan (La Favorita, Poor Things), ai costumi Jennifer Johnson (I,Tonya, Blonde) e alle scenografie di Amy Beth Silver (Killers of The Flower Moon).

Nella messa in scena di Lanthimos, in cui la paradossale ricerca dell’identità di Kafka posa i denti sulle più profonde depravazioni umane, un personaggio collega i tre atti, R.M.F., interpretato da Yorgos Stefanakos, mentre gli altri si alternano in ruoli diversissimi tra loro, trasformandosi.

Un cast spropositato a livello di bravura si mette alla prova con personaggi diversi per ogni episodio: l’effetto è volutamente frastornante, e riporta ancora una volta al reame onirico dove è comune che i volti sognati si sovrappongano, confondendo il ricordo. Emma Stone torna a collaborare con Lanthimos, lo stesso vale per Willem Dafoe e Margaret Qualley (sorprendente in ben quattro ruoli diversi). New entry per il regista sono Jesse Plemons, vero catalizzatore di ogni vicenda, nonché incredibile protagonista del primo episodio, e Hong Chau. A loro si aggiungono Mamoudou Athie e Joe Alwyn.

Jesse Plemons in KINDS OF KINDNESS. Foto di Atsushi Nishijima. Courtesy of Searchlight Pictures. © 2024 Searchlight Pictures All Rights Reserved
Emma Stone e Jesse Plemons in KINDS OF KINDNESS. Foto di Atsushi Nishijima. Courtesy of Searchlight Pictures. © 2024 Searchlight Pictures All Rights Reserved

Lo sguardo dietro alla macchina da presa intende mostrare qualsiasi sfumatura del soggiogamento condiscendente, e lo fa liberandosi da strutture di senso e vincoli narrativi, si esprime attraverso la recitazione dei suoi interpreti, al servizio di personaggi tanto controllati quanto repressi. La prima impressione non è mai quella giusta: in ogni episodio l’ovvio scompare dietro all’impensabile, alla verità inconfessabile; la ripetizione del tema è la costante significativa, che si avvale di una scrittura impeccabile, rendendoci inconsapevoli percorritori di un percorso autolesionista da cavie di laboratorio.

Kinds of Kindness scava a fondo, anche con la punta di un coltello se necessario, con un effetto che è sicuramente disturbante, ma soprattutto autoironico, dissacrante. Come riscattato da una celebrità che all’uscita di Kinetta (2005) non era che un miraggio hollywoodiano, Lanthimos torna a spogliare le sovrastrutture lasciando nudi personaggi ed intenzioni, esibendoli nella loro difettosa vulnerabilità, prendendosene gioco.

Chi lo ha amato dall’inizio non può che esultare, perché il Lanthimos che ci era mancato è tornato, e lontano da un cinema commerciale, celebra un proprio ritmo, inconfondibile.

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Silvia Pezzopane
Ho una passione smodata per i film in grado di cambiare la mia prospettiva, oltre ad una laurea al DAMS e un’intermittente frequentazione dei set in veste di costumista. Mi piace stare nel mezzo perché la teoria non esclude la pratica, e il cinema nella sua interezza merita un’occasione per emozionarci. Per questo credo fermamente che non abbia senso dividersi tra Il Settimo Sigillo e Dirty Dancing: tutto è danza, tutto è movimento. Amo le commedie romantiche anni ’90, il filone Queer, la poetica della cinematografia tedesca negli anni del muro. Sono attratta dalle dinamiche di genere nella narrazione, dal conflitto interiore che diventa scontro per immagini, dalle nuove frontiere scientifiche applicate all'intrattenimento. È fondamentale mostrare, e scriverne, ogni giorno come fosse una battaglia.