La Fase 5 ha debuttato con uno dei risultati di pubblico e critica peggiori del Marvel Cinematic Universe, nonostante fosse chiaro che Ant-Man and the Wasp: Quantumania fosse un prologo per qualcosa ancora da costruire.
Solo su una cosa tutte le recensioni concordano (e noi ve l’avevamo già anticipato qui): lo straordinario talento di Jonathan Majors nei panni di Kang il Conquistatore.
Formatosi nella scuola di recitazione di Yale, Majors si discosta da molte interpretazioni a cui l’MCU – seppur ricchissimo di grandi star – ci ha abituato. Il suo stile asciutto, consapevole, minimalista si addice più al cinema indipendente che ai blockbuster milionari, eppure non solo non appare fuori contesto ma diventa l’elemento migliore del film. Dà a Kang la potenza per diventare il nuovo grande villain Marvel e infatti sarà presente in tutti e tre i prossimi film degli Avengers in programma fino al 2026.
Kang in Quantumania
In Quantumania il suo ruolo ha a che fare con la solennità del tempo e in essa si specchia, ponendo gli altri personaggi di fronte alla sua ineluttabilità, per riprendere una parola cara a Thanos. Kang attraversa quindi il tempo, non solo lo spazio. E con la sua Time Ship viaggia accedendo alle tecnologie e alle conoscenze di qualsiasi secolo. Vede ogni futuro possibile, in ogni universo esistente.
Per interpretarlo sul grande schermo e renderlo credibile Jonathan Majors si rivela la scelta vincente, poiché ancora non troppo celebre (lo sta diventando proprio quest’anno anche grazie alla Marvel), poco familiare agli occhi del pubblico, sicuro di sé ma non arrogante, perturbante nell’aspetto, fra la dolcezza dei suoi tratti e il suo fisico imponente.
Lo sguardo rassicurante delle prime scene accanto a Michelle Pfeiffer è l’aggancio con cui conquista il pubblico. È la voce imperiosa del suo Kang, tuttavia, e la determinazione dei gesti, anche quelli appena accennati, a rivelarne la vera natura e a renderlo autorevole, affascinante e temibile.
Un nuovo Kang
Non è quello che ti aspettavi, vero? dice He Who Remains, una variante di Kang, al suo vero debutto Marvel, l’ultimo episodio di Loki (1×06). In quella versione He Who Remains/Kang esce in parte fuori dalla finzione ed è da subito consapevole di non corrispondere alle aspettative del pubblico. Fisicamente cioè non assomiglia ai fumetti ed è inoltre conscio della sua blackness. In Quantumania questo aspetto è molto ridotto, poiché l’ironia giocosa (e comunque allarmante) di He Who Remains lascia spazio a un altro tipo di villain che più che all’umorismo fa affidamento alla sua supremazia fisica e mentale su tutti gli altri personaggi, che in effetti riusciranno a salvarsi ma non a sconfiggerlo.
Sebbene non siano più rare le riscritture dei personaggi in chiave multiculturale, l’ultimo è stato Namor in Wakanda Forever, di solito non vengono accolte in modo del tutto positivo. Persiste sempre una coda di commenti inappropriati o razzisti. Né nel 2021 con la serie né adesso con Quantumania, tuttavia, sembra essersi ripetuta questa spiacevole situazione. Il Kang di Jonathan Majors convince tutti e tutte, da subito. Il perché forse lo spiega al meglio proprio l’attore, nella celebre intervista del numero di febbraio di Ebony: “Niente è un monolite. Né la Blackness, né la mascolinità né i villain dei fumetti”. Majors riesce a dare a ciascuno di questi tre elementi che compongono il suo personaggio una profondità e una serie di sfumature che conquistano lo sguardo e l’attenzione. Come ogni altra cosa che fa.
Vi consigliamo di scoprirlo anche in The Last Black Man in San Francisco (Netflix), Lovecraft Country (Sky) e presto in Creed III.
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