Johnny Depp e Leonardo DiCaprio in Buon Compleanno, Mr. Grape (1993) – Paramount Pictures
È comprensibile che, parlando di Johnny Depp, il primo pensiero vada a Jack Sparrow o Tim Burton. Anzi la collaborazione simbiotica con Burton è così radicata, anche nel tempo, da non poter essere in alcun modo separata dall’evoluzione di Depp come attore. Ma se siete nati/e negli anni Novanta e anche prima, sapete già che la parte migliore della sua filmografia è altrove, scevra dal trasformismo cristallizzato che oggi lo caratterizza.
Per questo, pur amando i titoli che hanno reso Depp celebre, qui non troverete Edward, né Sweeney o Ed Wood. Prendetela come un’occasione per scoprire o, anche meglio, ricordare chi c’era una volta dietro la maschera.
Il trittico del 1993: tre film imperdibili
Il valzer del pesce freccia (Arizona Dream)
Se siete cinefili, sapete già che Arizona Dream vinse l’Orso d’argento a Berlino. Se invece già il titolo vi sembra peculiare, aspettate di vedere il film! Vi lascerà perplessi e abbagliati. Parliamo infatti del cinema di Emir Kusturica: surreale, grottesco, satirico. È facile perdersi ma è impossibile non esserne rapiti. Johnny Depp qui è Axel, un ragazzo ingenuo e goffo che, orfano, si rifugia a New York, lavorando nel Dipartimento di caccia e pesca. Due dettagli non irrilevanti, in quanto prima di tutto la metropoli amplifica enormemente la sua solitudine. E in secondo luogo, il lavoro fa maturare in lui il desiderio di trasferirsi in Alaska, a pescare gli halibut.
Anziché inseguire questo sogno, tuttavia, torna nella sua Arizona, regredendo in parte in un atteggiamento infantile. Una caratteristica che contrasta volutamente con la trama e con il triangolo amoroso che si viene a creare con Grace (Lili Taylor) ed Elaine (Faye Dunaway).
L’halibut (o il pesce freccia) diventa così metafora di tutto ciò che Axel abbandona o si lascia sfuggire per paura di crescere. Ed è una metafora che rimane in costante comunicazione con la morte per tutto il film. A smorzarne l’angoscia è però proprio il nonsense grottesco che caratterizza la visione di Kusturica. La risata impotente, che esplode all’improvviso quando è meno attesa e che libera lo spettatore dalla morsa dell’incubo, senza riuscire però a diradare del tutto l’irrequietezza dettata dal film.
Benny & Joon
Joon (Mary Stuart Masterson) è una ragazza alle soglie della vita adulta ma che, a causa della sua salute mentale non vive in autonomia. È molto legata all’iperprotettivo fratello Benny (Aidan Quinn) che un giorno, per una scommessa persa, accetta di ospitare il bizzarro cugino di un amico, Sam (Depp). Sam ama Buster Keaton e Charlie Chaplin. Lo si nota nell’abbigliamento, nelle movenze e nelle dirette citazioni ai due pilastri del cinema muto. Memorabile è, per esempio la sua danza dei panini presa in prestito da La febbre dell’oro.
Sam è anche l’unica persona, a parte Benny, in grado di stare accanto a Joon. E, mentre il fratello inconsapevolmente usa la malattia di Joon per costruire un muro fra sé e gli altri, Sam cerca di abbattere ogni possibile ostacolo, attraverso il suo amore. Nella dolcezza della relazione fra lui e Joon si fa spazio l’importante messaggio di autorealizzazione e indipendenza di una persona con disabilità. Per questo si tratta, a prescindere, di un film prezioso e ancora troppo spesso dimenticato. A ciò si aggiunge la straordinaria capacità mimica di Depp, in grado di creare un personaggio stralunato ma deliziosamente realistico. Il suo Sam, recitato con estrema fisicità e quasi senza dialoghi, è un’immagine che ci si porta dietro per sempre, una volta incontrata.
Buon compleanno Mr. Grape (What’s Eating Mr. Grape)
È curioso come nello stesso anno Depp torni a interpretare un film che, seppur in maniera collaterale, ritorna sulla malattia mentale. Questa volta però si tratta più di un dramma familiare che di una commedia romantica. Ed è lui stesso a interpretare il fratello premuroso e iperprotettivo.
Buon Compleanno Mr. Grape, fra i tre titoli del 1993, è forse il più noto. È anche il film che vale a Leonardo DiCaprio la prima nomination all’Oscar, nei panni del piccolo Arnie. La regia di Lasse Hallström racconta con delicatezza una storia apparentemente angosciante, di dolore, lutto, frustrazione e solitudine, trovando una chiave di liberazione. È la provincia americana, sperduta nelle immense praterie, dove non succede nulla e non succederà mai nulla. Eppure già solo la relazione e l’affetto tra i due fratelli, Gilbert e Arnie, basterebbe a fare l’intero film.
Gli spunti di riflessione sono numerosi, alla fine però convergono tutti verso l’insoddisfazione e l’insofferenza di Gilbert, ingabbiato dalle circostanze ma desideroso di una libertà assoluta e radicale. A dissotterrare questo suo bisogno soffocato è Becky (Juliette Lewis), giovane donna nomade in cui Gilbert intravede una via di fuga.
Se vi sembra di aver già collegato il nome di Lasse Hallström all’attore, inoltre, è proprio lui che ha diretto sette anni dopo (2000) Johnny Depp nel ben noto Chocolat.
Donnie Brasco (1997)
Che te lo dico a fare.
O Forget ‘bout it è quella che oggi forse chiameremmo catch frase. La battuta che sublima tutto l’essere di Al Pacino e di Johnny Depp in questo gangster di tutto rispetto. Il regista è Mike Newell e non siamo certo ai livelli di Scorsese, Maestro del genere, ma le atmosfere sono molto simili. Interessante, in particolare, è la discesa del protagonista (Depp) nell’oscurità e nell’ambiguità della malavita. Da agente dell’FBI sotto copertura a criminale la linea diventa sempre più sottile: un conflitto interiore che logora la mente e l’anima.
The Brave (1997)
Non uno dei migliori della sua filmografia, è da ammettere, però entra di diritto in questa lista per due motivi. Il primo è Marlon Brando. Il secondo è perché segna l’esordio alla regia di Depp stesso. In The Brave (Il coraggioso) Depp, oltre a dirigere, interpreta il ruolo principale, Raphael, un piccolo criminale che non riesce a mantenere la famiglia né ad allontanarsi dalla strada. Tentato da un ingente pagamento accetta di diventare il soggetto di uno snuff movie per il ricco McCarthy (Brando), ossia di morire di davanti alla telecamera, per il piacere sadico del suo voyeur. La settimana che intercorre tra il pagamento e la tortura, sarà quella in cui ovviamente Raphael rifletterà di più sulla sua vita e sui suoi errori.
Come prima prova registica non fu eccelsa, né totalmente fallimentare. Avrebbe potuto forse scavare più a fondo nell’aspetto socio-economico che si limita solo ad accennare, presentando un protagonista nativo americano, isolato a causa del razzismo sistemico e dei pregiudizi. Nel tempo e tal proposito è infatti diventato anche attivista in questo campo, rivendicando con orgoglio la sua ascendenza cherokee. Purtroppo, però, l’accoglienza mista ricevuta a Cannes spinse Depp a non distribuirlo più in Europa e a non dirigere altri film.
The Libertine (2004)
The Libertine di Laurence Dunmore è l’ultimo film prima del grande salto con La fabbrica di cioccolato di Tim Burton. Prima cioè della fase mainstream di Johnny Depp, durata circa per altri dieci anni. È anche, probabilmente, uno dei film da lui meglio recitati, cosa che rende ancora più frustante il poco interesse attorno a quest’opera.
È un film in costume, la storia vera di John Wilmot, II conte di Rochester, vissuto a metà del XVII secolo presso la corte di Carlo II d’Inghilterra. Era un celebre letterato e libertino, che morì di sifilide a soli 33 anni. Depp restituisce allora un’immagine vivida e fremente di un’esistenza portata all’estremo, tra sesso (soprattutto) e abuso di alcol, tra la ricerca ossessiva del piacere e lo sgretolamento fisico dovuto alla malattia.
Memorabile è il suo prologo che, se non avete mai visto, vi consigliamo di recuperare su YouTube in versione originale.
Ruoli iconici, da ripassare
Se avete vissuto l’adolescenza nei primi anni Duemila, non serve nemmeno nominare Paura e Delirio a Las Vegas, Blow o Secret Window. Si tratta ormai di veri e propri cult della generazione millennial. E se magari Paura e delirio di Terry Gilliam è ancora un po’ di nicchia, Blow (Ted Demme) è stato letteralmente fatto a pezzi e riassemblato come fenomeno di culto da tutti i ragazzini, ora adulti, che vent’anni fa copiavano ovunque il celebre monologo. Che tu possa avere sempre il vento in poppa...era scritto dappertutto, sui muri e su Facebook. E quanta ironia c’è nel fatto che di un film così amaro rimanga superficialmente in mente solo quel dolce augurio.
Secret Window (David Koepp), poi, insieme alla Nona porta, costituisce la svolta un po’ oscura di Depp. È tratto, dal racconto Finestra segreta, giardino segreto di Stephen King e regge ancora molto bene la prova del tempo. È infatti un giallo di cui non importa più sapere il finale, dopo la prima visione, perché il suo fascino risiede nei giochi mentali e orrorifici che esercita sullo spettatore ogni volta. Mentre La nona porta di Polański, che meriterebbe molto più di una menzione, è un vero e proprio thriller d’autore che vira sull’occultismo e l’esoterismo. Decisamente inquietante, ma tutt’oggi uno dei film più interessanti della filmografia di Depp.
Sarebbe impossibile concludere questa carrellata senza includere, infine, almeno Cry Baby e Dead Man. Ma è ugualmente impossibile che non ne abbiate mai sentito parlare! Cry Baby di John Waters è solo il quarto film di Depp (1990) ed è quello che lancia la sua carriera, rendendolo già un’icona degli anni Novanta. Un film musicale che prosegue sul registro irriverente di Waters e parodizza, tra l’altro, il grande successo di Grease. Dead Man (1995) è invece uno dei film più apprezzati di Jim Jarmusch. Si potrebbe definire un western, ma è molto di più. Grande cinema indipendente e d’autore. Abbiamo già parlato in parte di entrambi qui.
E si conclude così, per ora, questo percorso, necessariamente non esaustivo attraverso alcuni dei ruoli più belli di Johnny Depp. Forse però entro fine anno, quando in sala uscirà Minimata, potremo aggiungere un altro tassello. Con il beneficio del dubbio, il film di Andrew Levitas sembra infatti aprire una fase di rinascita per la star hollywoodiana.
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