Con il film Le Favolose, presentato a Venezia 79 il 1° settembre alle Giornate degli Autori, la regista Roberta Torre ci dona un viaggio introspettivo attraverso l’identità umana. Un’astronave temporale tra il passato ed il presente, che viaggia per mezzo di un armadio ricolmo di ricordi. Un percorso che viene modellato sul significato di vita e di libertà. Ma che cosa sono la vita e la libertà per Roberta Torre? Lo spiega nella nostra intervista.
L’intervista
Nella casa dove si incontrano le Favolose c’è un armadio: cosa rappresenta in realtà questo oggetto per loro?
È come dicono in una battuta del film “un’astronave che le porta in mondi lontani”. Un oggetto che contiene tutte le loro memorie, negli abiti che le vedevano trasformarsi nelle persone che volevano diventare ci sono tutti i desideri e gli immaginari che le hanno attraversate per anni, nascosti tra le pieghe dei tessuti e nei fili delle trame di quei tessuti.
Il ricordo ed il passato sono una presenza costante. Che ruolo riveste il passato per una persona che, attraverso un percorso di transizione, chiede di rinascere?
Abbiamo parlato a lungo con tutte loro su questo passaggio temporale, il prima e il dopo. Per chiunque esiste una linea temporale che ci fa attraversare la vita come un percorso che va dall’infanzia alla vecchiaia e se ci guardiamo indietro possiamo recuperare, seppur in modo frammentario, talvolta distorto, lo scorrere degli eventi.
Quando c’è una trasformazione che porta una persona ad abitare un genere diverso da quello di nascita, anche la memoria si frammenta in modo diverso e questo è molto affascinante; può essere complicato, oppure drammatico, a seconda della persona e del suo rapporto con il tempo, oppure può semplicemente costruire un senso diverso da chi nasce e muore con lo stessa appartenenza di genere. Sicuramente complesso e affascinante. Anche per questo ho voluto mettere nelle ultime scene del film le immagini di loro da bambini, per ricostruire un filo emotivo e narrativo.
La narrazione del film gira intorno al desiderio di libertà. Cos’è per lei la libertà?
Libertà è poter attraversare la propria vita secondo quello che il tuo daimon, la tua voce segreta dell’anima ti chiede e poter realizzare il tuo destino nella vita. Una vita senza libertà è una vita che non può essere vissuta e non deve esserlo.
Una donna trans (o un uomo trans) quando può ritenersi veramente libera/o?
Credo che come per tutti gli esseri umani, trans o no, valga lo stesso criterio: libertà. Se nasci in un corpo che non corrisponde al tuo più intimo desiderio di stare al mondo, se non ti riconosci in un’identità di nascita il tuo desiderio forte è quello di poter diventare ciò che sei intimamente. Il corpo è il nostro modo per stare al mondo, il corpo sente freddo, caldo, fame, sonno. È sempre dal corpo che partiamo per stare nel mondo. E sui corpi più deboli si accanisce da sempre il potere, ne fa bottino di guerra, li scambia come simbolo di vittoria. Dunque il corpo è il campo di battaglia dove la ricerca della libertà è più evidente.
“Alla morte bisogna arrivarci da vivi”. Qual è il senso intrinseco di questa frase?
Molte persone vivono una vita che li vede morti prima della morte biologica. Una vita fatta di obblighi, costrizioni, violenza, negazione della propria stessa identità. Una vita simile è certamente una non-vita, credo sia questo il senso della frase estrapolata da una poesia di Alfonso Gatto.
“Tra il delirio ed il dramma noi abbiamo scelto lo “spettacolo”, dicono le Favolose. Quale significato attribuiscono al delirio, al dramma e allo spettacolo, le protagoniste?
La loro vita ha oscillato in continuazione tra il caos delirante di esistenze non conformi, non accettate socialmente e quindi necessariamente delirante e spesso drammatica. Ma a questo loro hanno opposto appunto una forza vitale e di senso invece di trincerarsi nel vittimismo e nel pietismo che spesso le ha raccontate come persone fragili, perdute, incapaci di costruirsi un’esistenza piena di senso. Hanno scelto e hanno avuto la forza, la dignità di mettersi in scena secondo quello che è stato il loro immaginario, non quello che altri avrebbero voluto per loro. In questo senso sono state attrici della loro vita.
Che tipo di elaborazione ha svolto sugli scritti di Porpora Marcasciano?
Ho letto i suoi libri e mi hanno molto affascinato. Porpora ha una grande capacità narrativa e una profondità di sguardo dovuta al fatto che la sua elaborazione dell’esperienza trans è potente, immaginifica e non retorica. Si basa su fatti di vita vissuta, anche personalmente, ma allo stesso tempo ha la lucidità di analisi di uno sguardo da sociologa, capace di vedere senza giudicare, nel bene o nel male. Ho voluto cominciare dai suoi libri e poi ho cercato qualcosa in cui potessi ritrovarmi personalmente , visto che la mia esperienza è diversa e non avrei potuto raccontare il mondo trans dall’interno. Quando ho scoperto la storia di Antonia, sepolta dalla sua famiglia con abiti maschili dopo una vita passata da donna, ho sentito che era la storia che cercavo. Era una storia universale di diritti negati, di identità cancellata, una violenza che mi scuoteva profondamente. E da lì ho cominciato a costruire il film.
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