Il Teorema di Margherita (Le Théorème de Marguerite), diretto da Anna Novion, è la storia di Marguerite, una brillante studentessa di matematica presso l’École Normale Supérieure di Parigi. Il film è stato presentato al Festival di Cannes 2023 e ha ottenuto due candidature ai César (nonché vinto il premio per la miglior attrice esordiente), e sarà nei cinema italiani dal 28 marzo distribuito da Wanted Cinema.
La trama
Marguerite, interpretata sapientemente da Anna Rumpf, che ha trionfato ai César Awards 2024 come Miglior rivelazione femminile, ha consacrato la sua vita agli studi. Fin da bambina, ha sempre mostrato una passione innata per la matematica, tanto da aiutare sua madre, anche lei docente della materia, a correggere i compiti della classe.
“Matematica divina Matematica”, per certi è una tavola di colori, per altri è uno di quei cruciverba senza i quadrati neri, per Marguerite la matematica è un’autostrada, un tunnel in cui cammina, ragiona, elabora il pensiero. Il film inizia in medias res: la ragazza ha 25 anni quando sta per terminare i suoi studi di dottorato all’E.N.S di Parigi, sotto la guida del professor Laurent Werner (Jean-Pierre Darroussin), il relatore che crederà sempre nelle sue potenzialità, pur mostrandosi in alcuni momenti molto freddo con lei.
Per raggiungere la laurea e l’agognata fama, Marguerite deve però affrontare l’ultimo step: risolvere il Teorema di Szemerédi, applicabile alle progressioni aritmetiche nei sottoinsiemi dei numeri interi. Il giorno dell’esame finale però, avviene quello che è il più grande incubo per un esaminando: si blocca e fa scena muta. Lei, così determinata per quella prova, ad un certo punto smarrisce le parole e la soluzione alla dimostrazione del teorema sembra svanire nel nulla.
I passaggi matematici non la riportano sulla giusta strada e dopo un crollo psicologico decide di abbandonare l’aula e di lì a poco anche l’università.
Cambio di rotta?
Seppur il professor Werner la inviti espressamente a ritentare la riformulazione del calcolo da lì a un anno, Marguerite, fin troppo emotiva (e si sa la matematica non ha bisogno di sentimenti) tergiversa. Il dado è ormai tratto e la protagonista di questa storia decide così di abbandonare la facoltà ripiegando con lavori di tutti i tipi, tentando di occupare e distrarre la mente turbata e angosciata dal ricordo del fallimento universitario (che poi, cos’è davvero definibile un fallimento?).
Durante questo periodo di down, Marguerite conosce Noa (Sonia Bonny), una ballerina che le offre un posto letto per andare a vivere insieme in un’altra zona della Capitale. Proprio qui, in questa nuova casa, busseranno di nuovo alla sua porta la logica, il conteggio, i numeri; nel condominio dove si è appena trasferita alcuni inquilini sono soliti ritrovarsi per giocare a Mahjong, un gioco basato sulle combinazioni. La ragazza di certo non vuole farsi sfuggire un’occasione come questa: intende vincere al gioco d’azzardo grazie al suo acume matematico, che le permetterà poi di saldare il rimborso della borsa di studio fino a pagare l’affitto per tutte le coinquiline della casa.
Marguerite “liberata”
Lontana dal contesto universitario, Marguerite si libererà dagli schemi abituali, trasformandosi da studentessa timida e solitaria in una versione meno assorta e più attiva di sé stessa. Inizia a concedersi piccoli spazi di leggerezza, prova a lasciarsi andare nelle relazioni riscoprendo, ad esempio, la sua vita sessuale, fino a quel momento messa in un angolo. In questo periodo uscirà un po’ fuori dai suoi schemi, distaccandosi da quello studio matto e disperatissimo.
Un giorno, ascoltando la radio, scopre che il suo relatore è riuscito a risolvere il famoso teorema che le ha causato il distacco dall’università. Marguerite, mossa da un forte senso di rivalsa, torna così sui suoi passi, imbattendosi in una nuova impresa ancora più ardua, la risoluzione alla congettura di Goldbach. Ma non farà tutto da sola, al suo fianco ci sarà Lucas (Julien Frison), ex collega di dottorato.
E quando problema si fa più imponente, per trovargli una soluzione c’è bisogno di una lavagna più grande: vetri, pareti dipinte di nero, carta igienica, ogni angolo della casa diventa un supporto per la trascrizione dei numeri (donandoci la sequenza più suggestiva di tutto il film). Il film di Novion non cede un attimo all’irregolarità, tutto funziona con meticolosità, fino alla conclusione, e forse proprio questa ricerca ossessiva della precisione “matematica” anche nella narrativa tende ad annoiare.
Ma al di là di questo Il Teorema di Margherita lascia ai suoi spettatori un grande spunto di riflessione sulla dinamica tossica e avvilente del “fallimento”, che si insinua tra le cattedre universitarie, e sulla passione viscerale come ostinata voglia di continuare ad insistere, provare, riuscire.